FIRENZE – Sono solo le 21, ma l’atmosfera è incandescente. All’interno del Nelson Mandela Forum gli spettatori cominciano a intonare canzoni e a esaltarsi con cori. Percepiamo una bellissima intesa. Tutti siamo là per un motivo. Fra noi risuonano congetture su come Alessandro Mannarino deciderà di aprire i sipari a questo attesissimo concerto.
Apriti cielo rappresenta un punto di svolta in Mannarino, un cambio di prospettiva da cui guardare il mondo, dove vedere un cielo che si schiarisce dal nero delle nuvole.
Il cantautore romano inizia con il suo primo album Il bar della rabbia dove i suoi compagni sono un barbone, un ubriacone, una strega che formano una specie di nicchia intorno a lui. Mannarino si era creato una sorta di habitat naturale che gli permetteva di chiudere tutto fuori sentendosi protetto in questo luogo appartato dal resto del mondo.
«So’ ‘na montagna… se Maometto nun viene…
mejo… sto bene da solo, er proverbio era
sbajato».
Poi con Supersantos Mannarino è uscito dal suo bar per scoprire una città pericolosa, senza speranza, dove non potevano che esserci nuvole e pioggia.
«Chi pe strada va pe strada more».
Ma poi qualcosa cambia, tant’è che con l’album seguente, Il Monte, Mannarino si allontana per andare a osservare ciò che lo ha sempre circondato, ma provando a discostarsene per un attimo. In un’intervista il cantante paragona questo album a un gioco di tarocchi: a ogni cosa viene collegata un’immagine precisa (Scendi giù con la giustizia per esempio). E questo continuo abbinare concetti, figure e storie rendono più chiaro il meccanismo del mondo. Dietro questo album quindi troviamo le riflessioni di un uomo che non vuole più limitarsi alla sterile denuncia. Forse per questo la musica ci appare più cupa e malinconica.
Cosa spinge Mannarino a comporre il nuovo album? Un incontro particolare. Una ragazza, dopo un suo concerto, era riuscita a raggiungere il cantautore romano nel camerino: voleva solo abbracciarlo e dirgli che grazie alle sue canzoni riesce a fuggire dalla difficile situazione in famiglia con cui ogni giorno deve fare i conti. Indossa le auricolari e i problemi per qualche minuto si dissolvono. Così Mannarino, quando si trova a dover (e a voler) scrivere il nuovo album, pensa di avere una responsabilità: anche quella ragazza ascolterà la sua musica e le parole dei testi dovranno essere una via di fuga per lei e per chiunque ne senta il bisogno.
Sono le 21.20 quando le luci si spengono e le urla delle persone fanno in modo che il buio non ci spaventi.
Un lento fischio ci catapulta in un altro mondo e…
«Apriti cielo e manda un po’ di sole a tutte le persone che vivono da sole».
La band è numerosissima e il palco riesce ad ospitarla tutta quanta, dalle storiche coriste agli strumenti portanti a quelli meno conosciuti, come il duduk. Il Brasile ha donato tanto a Mannarino, perfino il celebre percussionista che ha lavorato con i Red Hot Chili Peppers. La musica ci avvolge e la tromba delizia il nostro frenetico ballo. I generi musicali si uniscono e rilasciano note sudamericane.
Il tema di Apriti Cielo sono i colori e il Carnevale. Infatti Mannarino prende ispirazione dalla sua esperienza in Brasile, dove è venuto in contatto con una cultura che non aspira a un Paradiso ultraterreno reputando la vita una “valle di rabbia”, ma cerca di trovare il bello qui sulla terra, nel quotidiano, e perché no, anche nella tristezza stessa. «La mia musica – ha dichiarato Mannarino – si ispira ad una frase di Vinicius De Moraes: “il samba è una tristezza che balla”». Ecco spiegata la scelta di tantissimi colori e stracci di bandiere sparsi sullo sfondo nella copertina dell’album: non importa da dove tu provenga o a quale stato tu appartenga, ora le bandiere non hanno più senso, se non per essere indossate per un grandissimo carnevale.
L’artista romano ci racconta una storia in cui sentiamo una sensazione di dispersione, come se ci trovassimo in un grande deserto dove le parole si ammassano e acquistano senso solo se viste globalmente, dove si raccontano verità, anche se velate. Poi, però, si cambia: la lacrima di una donna salva la nostra serata e «forse basta questa lacrima d’amore a riempire il gran deserto e farci il mare».
Questa canzone sancisce un cambiamento: giunge il momento di ballare, crescono i fiori e viviamo senza motivo, le nostri impressioni cambiano.
Poi si fa notte, arrivano le prime allucinazioni e si fanno i conti con i propri mostri, lo scenario muta. Sul palco vengono proiettate figure geometriche in movimento e tutto appare confuso in questa nebbia in festa.
Potremmo paragonare questo concerto proprio ad una vita, in cui ci si rende conto dei propri errori e, anche quando le cose si fanno dure, non possiamo che esultare del fatto che, in fondo, «è proprio bella questa fregatura».
Alla fine di questa serata siamo cresciuti, siamo diventati più forti perché «vivere la vita è come fare un grosso girotondo, c’è il momento di stare su e quello di toccare il fondo e allora avrai paura perché a quella notte non eri pronto, ma al mattino alzerai le gambe e sarai il più forte del mondo».
Gli spettatori, dopo circa due ore chiedevano ripetutamente che fosse suonata Marylou e Mannarino, non ancora stanco, ha chiesto, quasi timidamente, di poterne fare un’altra prima.
Era arrivato il momento di volare con le nostre ali, senza più l’aiuto dell’artista, ma il saluto è stato più che caloroso: correndo da una parte all’altra del palco donava a tutti i suoi baci e si inchinava in segno di riconoscenza, portando al petto il suo fantomatico cappello.
Sara Mariani
Anna Urbani
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