PISA – È il Camposanto monumentale di Pisa la sede del penultimo appuntamento di Anima Mundi 2018. La sera di martedì 18 settembre ha visto protagonista il quintetto d’archi dei Lucerne Festival Strings Chamber Players, formazione d’archi svizzera ormai ritenuta «una delle più brillanti orchestre da camera attualmente esistenti al mondo»; in questa occasione l’ensemble era composto dal Daniel Dodds, primo violino nonché direttore artistico della formazione, Droujelub Yanakiew al secondo violino, Sylvia Zucker e Regula Maurer rispettivamente alla viola e al violoncello e al contrabbasso Michele Clavenna.
Prima di entrare nel merito dell’esecuzione, è il caso di notare l’intelligenza della stesura del programma in cui si prevedevano i tre Divertimenti giovanili di Mozart, una selezione dei 44 duetti di Bartók e il Terzetto in do maggiore di Dvořák. Il tipo di formula adottato è piuttosto comune negli ultimi anni e personalmente trovo che sia da approvare: prevedere all’interno del programma concertistico un buon numero di elementi di richiamo (in questo caso i Divertimenti) e, tra l’uno e l’altro, inserire brani meno conosciuti o pressoché ignorati dal grande pubblico. In questo modo la platea avrà sicuramente qualcosa con cui ben si sa orientare e non rimarrà spiazzata dalle “novità”.
L’apertura della soirée era affidata al celeberrimo Divertimento per archi in re maggiore KV 136 di Wolfgang Amadeus Mozart. Composto tra il gennaio e il marzo 1772 assieme agli altri due Divertimenti, quello in si bemolle maggiore KV 137 e quello in fa maggiore KV 138, rappresenta un’intersezione salisburghese nel periodo tra il secondo e il terzo viaggio in Italia. La scrittura intima e ricca d’affetti testimonia, più che una particolare destinazione esecutiva, proprio il particolare momento in cui queste tre composizioni gemelle videro la luce e i solisti dei Lucerne Festival Strings Chamber Players si rendono interpreti straordinari delle molteplici anime di questa composizione: la raffinatezza della conduzione delle parti, l’eleganza stilistica imposta dalla destinazione formale del genere (ossia i trattenimenti serali per nobili o ricchi borghesi), ma anche il calore familiare e i forti moti dell’anima, ora mirabilmente celati ora assai più evidenti. Ognuno di questi tre divertimenti – sotto il profilo tanto esecutivo quanto interpretativo – è stato un piccolo miracolo di perfetto equilibrio tra rispetto della prassi esecutiva del XVIII secolo, grazia, brio e leggerezza, con interessanti squarci introspettivi.
Ardita e interessante la scelta di proporre un estratto di una composizione che solitamente esula dai normali contesti concertistici, ossia i 44 duetti per due violini Sz. 98 di Béla Bartók. In effetti si tratta di una composizione a scopo didattico e come tale destinata a degli studenti, analogamente al pianistico Mikrokosmos. Ciò che i Maestri Dodds e Yanakiew hanno fatto è stato irradiare di nuova luce una composizione usualmente inquadrata solo in una prospettiva accademica. Si tratta indubitabilmente di un’azione meritoria: i 44 duetti non sono stolidi pezzulli, ma composizioni di grande raffinatezza, in cui Bartók riesce a condensare in quelle che possono essere considerate delle miniature le più importanti innovazioni e le caratteristiche fondamentali della propria musica e lo fa con grande signorilità. Dagli accenti ironici della Canzone beffarda, all’atmosfera cordialmente popolare di Cornamuse, alle spezie inebrianti della Canzone araba i due violinisti conducono lo spettatore nell’universo sonoro bartokiano, attraverso la sua ritmica e i suoi accordi caratteristici, il forte legame colla tradizione musicale magiara, lo studio etnomusicologico, il tutto concentrato in duetti che nell’esecuzione di Dodds e Yanakiew perdono ogni connotazione meramente scolastica mostrando in modo inequivocabile la ricchezza dell’invenzione musicale del compositore ungherese.
Il “pezzo forte” della serata è stato però, senza dubbio, il Terzetto di Antonín Dvořák. Curiosamente, anche questo brano non è stato pensato per essere eseguito in concerto: nel più puro spirito cameristico, Dvořák scrisse questa composizione affinché fosse eseguita tra amici ossia un violinista dilettante, il suo maestro e l’autore stesso alla viola. Curioso anche il titolo dell’opera: trattandosi di archi sarebbe stata più appropriata la dicitura «Terzetto», invece Dvořák decide di richiamare alla mente dello spettatore una composizione vocale (appunto il «Terzetto»). Proprio questa connotazione cameristico-vocale è stata fortemente sviluppata nell’esecuzione dei Maestri Dodds, Yanakiew e Zucker, intessendo dialoghi eterei in cui brillavano l’eleganza della melodia e lo splendore dei timbri dei tre solisti, facendo risaltare ora le sonorità squisitamente popolaresche ora i momenti più delicati e lirici, aggiungendo anche effetti non presenti in partitura (come l’arco al ponticello nello Scherzo) ma perfettamente consoni allo spirito voluto da Dvořák, arricchendo la composizione di ulteriori cangianti sfumature coloristiche.
Al termine del concerto, dopo la grande tensione emotiva del Divertimento in fa maggiore di Mozart, i cinque solisti dei Lucerne Festival Strings Chamber Players hanno regalato al pubblico un’ultima, intensa, pagina di musica, lo straordinario Andante cantabile dal Quartetto per archi n. 1 op. 11 di Pëtr Il’ič Čajkovskij, in questa sede presentato in una trascrizione per quintetto d’archi. Un concerto straordinario, non solo per la perfezione tecnico-esecutiva dei solisti ma soprattutto per la loro grandissima potenza espressiva, di cui difficilmente si è potuto ammirare l’eguale ad Anima Mundi.
Photocredit: La Reclame – Massimo Giannelli
lfmusica@yahoo.com
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