Gianfranco Chiavacci: tra pittura e binarietà

Gianfranco Chiavacci un artista pistoiese precursore dei tempi

Gianfranco Chiavacci è stato un artista poliedrico che pur avendo una formazione autonoma e autodidatta è riuscito a sviluppare innumerevoli forme d’arte che hanno spaziato tra pittura, fotografia, ready-made e arti plastiche riuscendo a portare un contributo significativo e contribuendo a innovare ognuna di queste.

La peculiarità che ha caratterizzato il suo percorso artistico, il suo lavoro e tutta la sua vita è stata quella di ricercare un metodo analitico attraverso il quale fosse possibile creare arte senza perdere la soggettività e l’emotività dell’artista stesso.

Biografia

Chiavacci nasce il 1 Dìcembre 1936 a Cireglio paesino in provincia di Pistoia e muore il 1 settembre 2011 a Pistoia città dove si trasferisce in tenera età.

L’interesse verso l’arte comincia a undici/dodici anni quando, camminando per strada comincia a notare gli avelli della Chiesa di San Paolo. Crescendo, durante il periodo delle scuole superiori, va spesso di domenica a Firenze per visitare la Galleria degli Uffizi.

Chiavacci

Gianfranco Chiavacci

Luglio 1956: si diploma in Ragioneria, presso l’Istituto Commerciale di Pistoia.

1 settembre 1956:  viene assunto in banca.

Questo lavoro gli permette di seguire la sua passione artistica.

1958: viene considerato l’anno di inizio della sua carriere artistica perché Chiavacci decide di distruggere tutte le opere d’arte che aveva creato fino a quel momento, perché come dirà lui stesso “le opere create fino a quel momento non erano una base solida da cui partire, poiché non c’era ordine”

1962: Il vero anno di svolta della sua carriera artistica. La Cassa di Risparmio presso la quale Chiavacci lavora lo seleziona per svolgere un corso di programmazione organizzato dall’IBM.

Quì Chiavacci conosce ed entra in contatto con la logica binaria e gli si apre un mondo. Comprende immediatamente che questa logica sarà determinante nel futuro della società e decide di farla diventare il perno della propria arte. La logica binaria diventerà così la peculiarità del suo lavoro e della sua arte.

Carriera artistica

0011

La prima opera definita binaria è del 1963 (0011). L’opera è formata da semplici elementi di carta nera incollati su fondo di carta bianca secondo una logica binaria.

 

Per Chiavacci la binarietà è la grammatica con cui elabora il pensiero artistico del mondo. La binarietà diventa quindi la risposta alla sua ricerca di un metodo analitico, per creare arte. La binarietà inserisce una logica strutturata all’interno della sua arte, trasformandola così da uno stile astratto figurativo a uno logico. Il sistema creato da Chiavacci è visto dall’artista come un procedimento logico a due stati: aperto/chiuso, 1/0, assenza/presenza, colore/non colore, destra/sinistra, alto/basso, dove l’elemento binario è l’ elemento mutante controllato e controllabile in base alle scelte dell’artista.

Da questo momento in poi Chiavacci continuerà per tutta la sua vita a modificare, aggiungendo o togliendo variabili, il suo metodo, testandone i limiti e la tenuta. Come tutti i percorsi artistici e soprattutto i percorsi sperimentali l’artista andrà incontro ad alti e bassi, a momenti di esaltazione e altri di sconforto. Attraverso alcune sue opere possiamo vedere l’evoluzione dell’artista e del suo metodo di lavoro.

Chiavacci

Grande presenza gialla

La prima crisi con la quale entra in contatto Chiavacci è la non controllabilità dell’evento cromatico. Chiavacci ricerca un colore che possa essere oggettivo, non trovandolo le opere degli anni settanta ricadono spesso nel monocromo, vedi ad esempio la 0294 o Grande presenza gialla (1969)

È proprio negli anni settanta che Chiavacci si avvicina anche alla fotografia. Anche in questo ambito il lavoro dell’artista è caratterizzato dalla ricerca e dalla sperimentazione. La ricerca fotografica affianca quella pittorica che non viene mai abbandonata. Chiavacci anche nella fotografia segue un metodo rigoroso. Il suo principale interesse non è creare opere artistiche con il nuovo medium, ma, il suo vero interesse è quello di creare arte attraverso la logica che sta dietro allo strumento.

Chiavacci, negli anni, sperimenta vari metodi e ricerche per analizzare le principali caratteristiche tecniche della macchina fotografica. Chiavacci inizialmente è affascinato dalla luce in fotografia e questo lo porta a effettuare giochi/esperimenti che danno vita a vere e proprie opere d’arte fotografiche. Le ricerche dell’artista in fotografia e pittura creano continui parallelismi che vanno avanti per circa vent’anni, cioè fino alla fine degli anni ottanta. Un’altra caratteristica della fotografia che affascina l’artista è la granulosità del negativo, decide così di voler riportare questo aspetto anche in pittura, per far ciò individua come elemento adatto la segatura mischiata con collanti sintetici.

Nasce così l’opera 0574. Da questo momento Chiavacci approfondirà la variabile della matericità dandogli sempre una maggiore importanza. Come possiamo vedere nell’opera 0880 del 1992 chiamata Il vegetale la materia diventa essa stessa l’opera.

Il Vegetale

Spingendo sempre più avanti la sua ricerca Chiavacci arriva nel 1995 alla creazione di una serie di opere che vanno dalla 0952 alla 0960 che sono riunite in un unico ciclo denominato I cieli, le terre, gli elementi dove oltre all’utilizzo della materia nella costruzione dell’opera viene aggiunto un ulteriore e importante elemento che è l’emotività della materia stessa. Chiavacci, infatti, per il ciclo delle terre sceglie di utilizzare tre terre a lui particolarmente care, così facendo l’artista vuole mettere parte del suo vissuto all’interno dell’opera d’arte.

I cieli, le terre, gli elementi

Tra le variabili che Chiavacci sperimenta nel suo percorso artistico è degna di nota anche la tridimensionalità, che ritroviamo sia in fotografia – con le sculture fotografiche – che in pittura. Per Gianfranco Chiavacci la tridimensionalità in pittura è solo una variabile in più all’interno del processo di costruzione logica dell’opera. Oltre alle variabili destra/sinistra, sopra/sotto adesso si aggiunge anche davanti/dietro. Questo porta alla costruzione di opere con una forma aperta, non più controllate da un regolare contorno, e di conseguenza, a una maggiore importanza di un nuovo elemento: il vuoto (in pittura identificato con il colore bianco) non più visto come spazio non elaborato ma funzionale a essa. L’opera 0780 – Silesia ne è una testimonianza.

Silesia

Man mano che l’artista prende confidenza con la sperimentazione data dall’inserimento delle variabili, la struttura delle sue opere diventa meno rigida e quindi prende piede maggiormente l’errore, la mutazione. L’aumento delle variabili di contaminazione esterna porta Chiavacci da una binarietà hard molto legata a una ortodossia teorica tipica dei primi anni a una più soft. Questo processo va dall’inizio degli anni ottanta fino al culmine raggiunto nel 1994 con la mostra “Limiti”. Il titolo è significativo. Avvicinarsi sempre di più al limite, consente la verifica delle possibilità di una teoria e allo stesso tempo la tenuta del metodo. La mostra organizzata dall’associazione culturale Opera si tenne a Perugia nello spazio dell’associazione. La stanza adibita a sede della mostra affacciava sulla piazza di Perugia campeggiata dalla fontana realizzata da Nicola e Giovanni Pisano. Tra le varie opere della mostra degna di nota è l’opera 0821 – rete in fili di cotone – che Chiavacci decise di incernierare alla finestra consentendo così di vedere la famosa fontana attraverso la sua opera instaurando un dialogo tra nuovo e antico.

1820

Con l’avvento del nuovo millennio assistiamo a una inversione totale di tendenza nella pittura di Chiavacci che portò a una ricaduta nel monocromo e a una pittura malinconica e tetra rispetto alla maggiore libertà espressiva raggiunta dal pittore negli anni novanta. Possiamo vedere questa fase come la fine di un ciclo all’interno del quale Chiavacci non ha perso fiducia nel pensiero binario ma nella sua applicazione nel mondo dell’arte. L’opera 1820 che segna la massima espansione del nero della produzione pittorica di Chiavacci ne è un esempio. Qui compare ancora un esile rappresentazione del sistema binario nei colori perimetrali come a significare che la teoria è rappresentabile sul confine estremo tra ciò che è arte e ciò che non lo è più. Il cerchio si chiude con l’opera 1890 del 2006 – Il bit – opera che l’autore stesso definisce come l’ultima opera binaria, dove troviamo un unico bit abbandonato che si si allontana dal centro e si deteriora fino a scomparire del tutto all’interno di quattro quadrati monocromatici. Quest’opera rappresenta per Chiavacci la morte del bit e lui stesso dichiarerà che in un mondo completamente cambiato rivisitato in chiave binaria e bittizzato non c’è più spazio per la binarietà all’interno della sua arte.

Chiavacci

Il bit

La parte fondamentale di Gianfranco Chiavacci è il pensiero che sta dietro la sua arte ed è il maggior contributo che l’artista ha lasciato all’arte contemporanea. L’idea di legare il bit all’arte già a partire dagli anni sessanta e di aver colto l’importanza che la logica binaria avrebbe avuto nel mondo contemporaneo è stato senza dubbio uno dei suoi maggiori meriti. Inoltre aver visto con intelligente anticipo quale sarebbe stata la direzione in cui si sarebbe mosso il mondo e di conseguenza l’arte e citando Zjgmunt Bauman “questa peculiarità è solo di chi artista lo è davvero”.

Dario Soriani
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