Federico Maria Sardelli tra Mozart, Haydn e Beethoven

PISA – Quando un’istituzione come l‘Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino incontra una personalità raffinata, poliedrica ed eclettica come quella di Federico Maria Sardelli è naturale che le aspettative siano particolarmente alte, soprattutto se il menù proposto offre portate create dai signori Mozart, Haydn e Beethoven.

L’entrée consisteva in una delle otto sinfonie salisburghesi composte da Mozart a cavallo tra il secondo e il terzo viaggio in Italia. L’aria italiana si sente molto in questa Sinfonia n. 17 in sol maggiore KV 129, dove regnano cantabilità delle melodie, semplicità e asciuttezza di scrittura, con l’aggiunta di qualche spezia pregiata (forse memore dei suggerimenti del buon maestro Giovanni Battista Martini). È proprio questo forte legame con il linguaggio musicale italiano – nonché i forti rimandi al mondo operistico – che Sardelli ha saputo esaltare nell’esecuzione di domenica 6 maggio nella sala grande del Teatro Verdi di Pisa: il grande slancio, la freschezza dell’invenzione melodica, il tutto immerso in un linguaggio sicuramente tradizionale (cosa che si evince anche dalla struttura in tre movimenti). Questa è una delle caratteristiche salienti della tonalità di sol maggiore in Mozart: usata molto spesso in gioventù, è – per usare le parole di Carli Ballola – «il linguaggio della tradizione, […] effusa in una cantabilità tersa e limpida», con rare increspature di malinconia. La malinconia, anzi, la nostalgia è l’elemento che più traspare dal secondo movimento, un incantevole Andante in do maggiore intessuto di intenso lirismo; in questo movimento è molto interessante l’apporto fornito dal clavicembalo, capace di evocare rimembranze di profumi e delicatissimi arabeschi.

Però dopo un antipasto si attende la portata, e Sardelli non pone certo tempo in mezzo. La grande Sinfonia in re maggiore Hob. I: 96 di Haydn – detta Il Miracolo – è opulenta, maestosa, nell’esecuzione di percepisce nettamente l’orchestra ergersi in tutta la sua statura. La prodigiosa ricchezza timbrica è resa magistralmente dall’interpretazione dall’Orchestra del Maggio solidamente guidata dalla bacchetta di Sardelli: le audaci commistioni timbriche appaiono nitide sull’intricata trama degli archi e su tutto risplendono solenni e cangianti gli ottoni, che l’orchestra ha saputo dotare di una splendida sonorità, morbida e maestosa a un tempo. Una lettura di questo tipo è ciò che ogni amante della musica del tardo Settecento possa desiderare: lo stile galante è impeccabilmente rispettato, ma è costantemente pervaso di tensioni, percorso da un fuoco sottile mirabilmente contenuto (eppure così innegabilmente presente). Il testimone del gusto tutto haydniano, che abbina semplici archi melodici a dense strutture dialettiche, non poteva essere raccolto da mani migliori.

Molto diverso è il discorso che riguarda Beethoven, ossia il digestivo. La Sinfonia n. 1 in do maggiore op. 21 è l’unico esempio sinfonico del Beethoven “prima maniera”,  anche se, in nuce, sono giù ben riconoscibili molti dei suoi temi fondamentali. Prima di eseguire la sinfonia, in un clima meravigliosamente “cameristico” e informale, il M° Sardelli ha letto al pubblico il programma della première (a titolo informativo: erano previsti una sinfonia di Mozart, dei brani dall’oratorio La Creazione di Haydn, e infine il «Settetto», il secondo Concerto per pianoforte e la Sinfonia n. 1 di Beethoven, nonché una sua improvvisazione al piano-forte).
Sin dalla prima battuta è emerso immediatamente un grandissimo elemento di disturbo: il clavicembalo. Mai mi sono trovato di fronte a un simile avvenimento. Presumo che, data la personalità del M° Sardelli, la presenza del vecchio clavicembalo in una sinfonia del Maestro di Bonn debba intendersi come un atto puramente provocatorio (forse una sorta di vendetta trasversale per come si suppone Beethoven abbia diretto una sinfonia di Mozart), ma il risultato non cambia: è inascoltabile. Sentendo quel suono metallico si ha l’impressione di vedere il famoso ritratto di Beethoven di Joseph Karl Stieler, dove il compositore è inzibettatto, impomatato e con calcata in testa una parrucca del 1747. Già nelle ultime sinfonie di Mozart è assolutamente improponibile inserire un clavicembalo in orchestra, figuriamoci in Beethoven (lo spirito del tempo cambia, ogni Zeit ha il proprio Geist).
Anche la direzione non ha centrato in pieno lo spirito beethoveniano: troppe galanterie (in senso negativo, ovviamente) e troppa poca “pancia”. Nonostante in questo lavoro Beethoven si rifaccia espressamente agli autori classici, in particolar modo Haydn e Mozart, si respira un clima molto diverso; ne è una prova il terzo movimento: nominalmente è un Minuetto, ma de facto possiede l’impeto e l’irruenza di uno degli Scherzi che appariranno così frequentemente nel gruppo delle nove sinfonie.

Analogamente all’orchestra non sono richieste quelle sonorità caratteristiche della musica di Beethoven: Sardelli tratta gli ottoni allo stesso modo della Sinfonia n. 96 di Haydn, mentre qui si richiede (soprattutto alle trombe) di essere più incisivi, con meno delicatezze. In alcuni punti il fraseggio non è troppo chiaro. Ad esempio avrei apprezzato maggior articolazione in questo passo dei violini:

In quest’altro passo (per non fare che degli esempi concreti), il meraviglioso disegno ricco di cromatismi di violoncelli e contrabbassi era coperto pressoché del tutto da violini e viole, tanto che sembravano loro i protagonisti del passaggio:

Con questo non si vuole sminuire la qualità del concerto (che in Haydn tocca indiscutibilmente l’apice), questo Beethoven è stato evidentemente un esperimento: si è provato a leggerlo con gli occhi dei classici e si è appurato che è una lettura che non funziona (unica eccezione il Minuetto: essendo stato letto nel modo corretto, l’esecuzione è stata impeccabile), ce ne faremo una ragione.

lfmusica@yahoo.com

Luca Fialdini
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