Quello tra Dante Alighieri e Guido Cavalcanti è un rapporto certamente complicato, fatto di omaggi e rispetto, di distanziamenti e opposizioni, ma al tempo stesso indissolubile. Guido Cavalcanti è, infatti, uno dei due poli, di cui l’altro è Beatrice, all’interno dei quali si muove l’autore Dante.
Attraverso i loro testi è possibile conoscere i momenti di dialogo e dissenso tra i due, l’amicizia e la rottura.
Dante Alighieri e Guido Cavalcanti iniziarono a frequentarsi, con ogni probabilità, intorno al 1282 ma è nel 1283 che inizia il vero e proprio sodalizio tra i due e cioè dopo l’entrata ufficiale di Dante sulla scena letteraria. Col tempo però, si sa, si consumerà una rottura… ma andiamo per gradi.
Tra i due intellettuali si instaurò subito un fortissimo legame che si fondava, forse prima di tutto, su un’assoluta affinità professionale. Dante e Guido, infatti, insieme fondarono quella scuola poetica che prende il nome di Stil Novo.
Accomunati dalla convinzione di base che solo i “cuori gentili” (e cioè nobili) possono provare amore e quindi, di conseguenza, che l’amore non può trovare sede in cuori volgari, pensavano che la poesia d’amore dovesse dunque rivolgersi solo ad un pubblico selezionato di gentili.
In questo stesso periodo Dante iniziò a studiare filosofia su stimolo di Guido, sul cui fronte si muovevano insieme. Guido aveva stretti rapporti sia con Bologna, sia con l’Università della città stessa dove si consumavano gli studi filosofici e in particolar modo, dal 1200, quando iniziarono a circolare in Italia, i temi di Avicenna e Averroè, entrambi filosofi e medici arabi, il primo fondatore della medicina moderna, il secondo continuatore della ricerca del primo ma passato alla storia principalmente per il commento che fece al De anima di Aristotele.
Le letture di Averroè (i quali pensieri lo resero eretico) incisero su Guido, rendendolo non tanto ateo, quanto pensatore non ortodosso; infatti, con Averroè, si era affermata la tesi secondo la quale la verità può essere raggiunta senza la mediazione divina e, in più, che l’anima intellettuale non ha niente di spirituale, cioè non ha connessioni col divino ma è vincolata alla sfera della natura.
È proprio sul terreno della filosofia che matura, da tensione a tensione, la rottura tra Dante e Guido: le loro filosofie e morali non avrebbero mai coinciso.
Nel 1294 Dante pubblicò un’opera, la Vita Nova, contenente testi che dicono che da Guido lui si era ormai staccato completamente e per sempre. Dante, questo, lo dice in versi: scriverà «Donne ch’avete intelletto d’amore» cui Guido risponderà con «Donna me prega, ch’eo voglio dire»…Tutto si basava sulla concezione che i due avevano dell’amore e che rimandava a pensieri e concetti completamenti opposti.
Guido ha dell’amore una visione pessimistica e irrazionale, legata alla dimensione fisica, libera da ogni influenza spirituale e religiosa; Dante basa la sua posizione sulla convinzione che l’amore è strumento di elevazione etica e morale.
Di Guido si legge che è impossibile descrivere la donna (che in lui produce effetti psichici e fisici quasi sintomi di una malattia) perché l’intelletto non può andare oltre i propri limiti imposti dalla natura e dalla realtà terrena: non è possibile dire ciò che non è possibile conoscere. Il processo intellettivo diventa inetto di fronte agli effetti che colpiscono i sensi e quindi l’intelletto non è più capace di restituire a parole.
Guido è, in tutto e per tutto, filosofo naturale.
L’amore paralizza, la fantasia viene sconfitta, l’intelletto soccombe: per lui non c’è rimedio.
Dante, invece, dice di voler cantare qualcosa di migliore e di nuovo; introduce così il tema della dolcezza alla vista di Beatrice. Alla base c’è una concezione dell’amore e della donna completamente diversa di cui non c’è traccia nelle liriche di Guido. Dante va così oltre l’amico, rimasto fermo al dolore e all’ineffabilità; gli diventa superiore, concentrandosi solo sulla composizione di testi che hanno come argomento esclusivo la lode di Beatrice che è, in Dante che prova beatitudine e benessere quando si trova in sua presenza, nessuno sconvolgimento e nessun turbamento, una manifestazione sensibile della divinità.
Dante dice, ed è questa la sua soluzione, contrapposta in assoluto al non dire di Guido.
Ed ecco che Guido non riconosce più Dante che è diventato un qualcuno di superficiale e vile, attaccato ad un pensiero illusorio che non ha nessun legame con la vita vera.
In Donna me prega, ch’eo voglio dire (trattato filosofico sull’amore in lirica), opposto alle rime di Dante, l’amore è passione, accidente crudele e irrazionale.
Alla vista dell’amata è in atto il processo immaginativo basato sulle sensazioni, per Dante è attivo, invece, il processo intellettivo.
La differenza netta sta, dunque, tra l’intendere e l’immaginare.
Ma amore e ragione, in Dante, si equivalgono; il desiderio della donna scatena un risveglio spirituale.
Guido, alla vista dell’amico, è ormai un folle perché non vede che cosa sia davvero l’amore; amore che è solo e soltanto libera scelta. Dante, comunque, non manca di omaggiare il primo dei suoi amici: gli effetti devastanti dell’amore, gli stessi di cui aveva tanto scritto Guido, si trovano nei versi del XXX del Purgatorio, nell’attesissimo incontro tra Dante e Beatrice.
Ma c’è anche un altro omaggio a Cavalcanti, quello di in Purgatorio XXVIII. Qui la descrizione dell’incontro con Matelda, abitatrice dell’Eden, sembra appartenere al genere del componimento della pastorella. L’incontro da Dante e la donna, infatti, è la ripresa totale dello schema narrativo di Guido in «In un boschetto trova’ pasturella».
Ma, quando Dante nello scorrere delle terzine, riesce a udire bene le parole della donna nella selva dell’Eden, spunta la parola “Delectasti”. Si parla dunque della gioia generata dalla bellezza del creato e quindi risulta chiaro che l’amore che prova la donna, Matelda, non ha niente a che vedere col contesto erotico dello schema narrativo della pastorella: l’amore è l’amore per ciò che Dio ha creato.
Dante interrompe la sequenza degli eventi del genere codificato della pastorella perché la voce della donna è quella della liturgia; l’omaggio si trasforma: la realtà di Dante è davvero diversa da quella di Guido.
Dante facendo poesia arrivò a conciliare l’amore con la morale cristiana.
Guido non si piegò al conforto che scende dalla passione e che permette di mantenersi sulla “directa via”.
«Lui, senza illusioni né trascendenze» (Domenico De Robertis, Introduzione alla Rime di Cavalcanti).
Fonte principale: materiale didattico fornito dalla professoressa Marina Riccucci (Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica, Pisa)
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Merci. Voici un très bon article que je découvre alors que je suis en train d’écrire un petit essai: “Quel avenir pour Cavalcanti ?”
Merci beaucoup Claude