Il cinema, inteso come proiezione di fronte ad un pubblico di una pellicola stampata, nasce grazie ai fratelli Lumiére nel 1895. Esordisce come muto per poi svilupparsi in sonoro, ovvero con dialoghi e musiche di sottofondo, nel 1927 per merito della Warner Brothers’ con Il cantante di jazz.
La radio è frutto di esperimenti scientifici di fine ‘800 per poi arrivare alla prima regolare trasmissione temporanea concessa in Inghilterra alla stazione Marconi nel 1920.
Ciò ha creato una sorta di concorrenza tra le due forme di trasmissione perché lo sviluppo ed il perfezionamento della radio venivano adottati per alcune soluzioni relative a problemi del cinema sonoro. Quest’ultima piuttosto che perdersi, o ricevere meno importanza come tanti altri tipi di comunicazione, si è inserita nelle case, nei luoghi di lavoro, nei bar, ma anche nel cinema, acquisendo un ruolo fondamentale sociale e culturale.
Lo stesso Charlie Chaplin nel “discorso all’umanità” del film Il grande dittatore sostiene che «l’aviazione e la radio hanno riavvicinato le genti. La natura stessa di queste invenzioni reclama la bontà nell’uomo, reclama la fratellanza universale, l’unione dell’umanità» e continua dicendo «perfino ora la mia voce raggiunge milioni di persone nel mondo, milioni di uomini, donne e bambini disperati, vittime di un sistema che impone agli uomini di torturare e imprigionare gente innocente». La radio quindi viene vista come collante sociale, come unione tra gli esseri umani capace di combattere i soprusi che sono stati subiti a causa di pochi anche se potenti. Quest’ultimo discorso ritorna spesso e volentieri nel cinema anche sotto forma di metafora. Se, tralasciando film di argomento storico, analizzassimo ad esempio un film come Harry Potter e i doni della morte potremmo associare benissimo il protagonista e i suoi amici a dei partigiani che cercano di sconfiggere il nemico crudele e razzista. Per farlo hanno bisogno di restare uniti nonostante la lontananza; infatti l’unico strumento che hanno a disposizione è la radio che in una specifica frequenza rilascia notizie dell’ultima ora sui risvolti di guerra in un linguaggio comprensibile solo ai “partigiani”. Ma abbandonando le idee socioculturali dell’apparecchio radiofonico, l’apice del contatto radio-cinema avviene proprio in un film horror canadese di Bruce McDonald intitolato Pontypool in cui il protagonista è uno speaker che tenta di informare la città riguardo ad un virus che si diffonde a macchia d’olio. Tutto quello che gli spettatori vedono è lo speaker e la sala di registrazione; il resto viene tutto raccontato da quest’ultimo che attraverso stati d’animo, tono della voce, espressioni facciali e descrizioni riesce ad agitare e a spaventare il pubblico cinefilo. Un esempio cinematografico che ha ridato vita all’horror radiofonico.
Proprio per questi ed altri motivi, probabilmente alcuni registi del cinema sonoro, classico e hollywoodiano sbagliano nel definire la radio come “figlia” del cinema.
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