Il buio oltre la siepe: Harper Lee e le radici del pregiudizio

Il 19 febbraio ci ha lasciato Harper Lee, scrittrice statunitense e autrice del famoso romanzo Il buio oltre la siepe, da cui è stato tratto nel 1962 l’omonimo film americano “To Kill a Mockingbird” del regista Robert Mulligan.

Volevo che tu imparassi una cosa: volevo che tu vedessi che cosa è il vero coraggio, tu che credi sia rappresentato da un uomo col fucile in mano. Aver coraggio significa sapere di essere sconfitti prima ancora di cominciare, e cominciare egualmente e arrivare sino in fondo, qualsiasi cosa succeda. È raro vincere in questi casi, ma qualche volta succede. La signora Dubose ha vinto. È morta come voleva morire, senza essere schiava né degli uomini né delle cose. Era la persona più coraggiosa che io avessi mai conosciuto.

Sebbene metta in scena la vita di una cittadina immaginaria dell’Alabama negli anni Trenta, questo libro resta tutt’oggi uno dei libri più letti nel mondo. Senza dubbio la radice della storia, il pregiudizio verso l’altro, il diverso da noi, l’estraneo o comunque vogliamo chiamarlo, resta un tema sempre caldo e attuale.

La copertina del libro "Il buio oltre la siepe"

La copertina del libro “Il buio oltre la siepe”

Pubblicato nel 1960, il titolo originale del libro è To kill a Mockingbird; con “mockingbird” si intende un uccellino molto diffuso in America, simile al tordo, ma non presente in Italia, il cui nome scientifico è Mimus polyglottos. Non potendo rendere quindi una traduzione letterale del titolo, in Italia si è scelto di riprendere un passo molto famoso del libro, in cui la protagonista e voce narrante, Scout Finch, descrive il misterioso vicino Boo Radley: «il buio oltre la siepe». L’uccellino rappresenta l’indifeso, l’inerme, la cui uccisione non può che essere un atto di estrema violenza e ingiustizia. Il buio oltre la siepe invece rappresenta ciò che non conosciamo e che per questo spesso ci intimorisce o è causa di un immotivato pregiudizio.

Ciò che ci è sconosciuto, estraneo è sempre stato un soggetto letterario ampiamente rappresentato (da Conrad a Gide, da Golding a Coetzee, solo per citarne alcuni). La reazione verso questo “altro da noi” è ambivalente: da una parte la paura, il pregiudizio, il volersi affrancare da questa estraneità; dall’altra la consapevolezza che essa sia più simile a noi di quanto crediamo, in alcuni casi essa è una parte celata, primordiale di noi.

La scrittrice Harper Lee

La scrittrice Harper Lee

Nel libro di Harper Lee ritroviamo tre grandi forme di pregiudizio. La prima è quella verso la popolazione afroamericana ed è il nodo centrale della narrazione. Tom Robinson, un bracciante nero, viene accusato ingiustamente di aver violentato una ragazza bianca, Mayella Ewell. Ricorrono tutta una serie di stereotipi razzisti nei confronti dei neri, visti come una razza inferiore, priva di quei diritti universali emanati nel 1776 proprio dalla Dichiarazione d’indipendenza americana a cui si ispirò la Francia nel 1789 per la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Nonostante la strenua difesa dell’avvocato Atticus Finch, padre di Scout, che dimostrerà l’assenza di prove contro l’imputato e la sua estraneità all’aggressione, il pregiudizio prevarrà: «Colpevole… colpevole… colpevole… colpevole».

Perché poi i cosiddetti benpensanti diventino pazzi furiosi quando succede qualcosa in cui è implicato un nero, è una cosa che ho rinunciato a capire.

Ma non è soltanto di tipo razziale il pregiudizio che uccide: le altre forme di discriminazione si verificano contro contro coloro che vivono fuori dalla società, isolati da essa perché non rispettano i canoni da questa imposti. Possono essere pregiudizi verso persone affette da disturbi mentali, deficit cognitivi o altre disabilità di questo tipo. Un personaggio che è emblema di questa seconda forma  di discriminazione è senza dubbio Boo Radley, altro fulcro della narrazione. Boo è il misterioso vicino della famiglia Finch. Su di lui si raccontano storie e leggende incredibili, ma la verità è che questo ragazzo ha “semplicemente” dei problemi mentali: non è né un mostro, né un assassino. Invece di essere aiutato dalla famiglia o dalla società, vive prigioniero in casa sua; esce solo durante la notte, mentre di giorno è spettatore della vita degli altri, che osserva dalla finestra. Si sente estraneo inadeguato a prendervi parte, ma è la società a fargli percepire questo senso di inadeguatezza: infatti quando dovrà prendere una decisione di sua iniziativa non esiterà a prendere quella giusta, difendendo Scout e suo fratello dall’aggressione di Bob Ewell.

Infine c’è un terzo tipo pregiudizio: quello che spinge la società a isolare anche chi non ha problemi di salute, ma semplicemente perché ha scelto canoni comportamentali troppo diversi da quelli prevalenti. C’è un ultimo personaggio, che nel libro è isolato e additato perché “esce dagli schemi”. La sua scelta di vita è anticonvenzionale, nega e ribalda i comportamenti della “società per bene”. Probabilmente più marginale all’interno della storia vive «lontano, vicino al confine»: il «povero diavolo», il signor Raymond. Emarginato dalla società non per il colore della sua pelle, né a causa di menomazioni, ma soltanto per lo stile di vita “anticonformista” per l’epoca. Vive infatti con una donna di colore come se fosse la sua compagna e non una serva o amante, e con lei cresce i loro “bambini misti”. Ritenuto da tutti un ubriacone, sarà però lui a farsi beffe di questa società che vive nel e per il pregiudizio.

 

«Così come?...Ah vuoi dire perché faccio finta di bere? Be’, è molto semplice», rispose, «a molta gente non piace… il modo in cui vivo. Potrei anche mandarli al diavolo dicendo: me ne infischio se a voi non piace il mio modo di vivere; ma mi limito a infischiarmene senza mandarli al diavolo. Capito?»

Dill e io dicemmo:  «Nossignore»

«In altre parole, cerco di dare loro una buona ragione per criticarmi. Vedete, la gente si sente meglio se può attaccarsi a qualche valida scusa.(…)»

«Ma non è onesto, signor Raymond, fingere di essere peggio di quel che si è…»

«Non è onesto, ma per la gente va bene. Sia detto tra noi, io non sono un vero bevitore, ma gli altri non potrebbero mai capire che vivo come vivo solo perché così mi piace.»

Eva Dei

 

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