PISA – Una serata speciale quella dello scorso 4 maggio al Cinema Arsenale di Pisa, un primo appuntamento che fa crescere molto le aspettative sui prossimi. Si tratta di vere e proprie lezioni conviviali sul cinema organizzate nell’ambito del progetto Oltre lo schermo che, nato ad Arezzo da un’idea di Marco Compiani (Associazione Doppio Sogno), sta girando diverse città italiane, tra cui Pisa.
A tenere questa prima lezione è stata Ilaria Feole, critica cinematografica per il settimanale Film Tv, collaboratrice delle testate online Spietati.it e Mediacritica.it e autrice della monografia Wes Anderson – Genitori, figli e altri animali edita da Bietti Heterotopia. È infatti del mondo andersoniano a trecentosessanta gradi che Ilaria ha parlato al numeroso pubblico presente in sala. Un’alternanza perfetta di aneddoti, analisi, dettagli più o meno tecnici e spezzoni di alcuni degli otto lungometraggi finora prodotti dal regista. In ordine cronologico ripercorriamo il percorso artistico di colui che Martin Scorsese definì «il prossimo Martin Scorsese», alludendo in particolare alla sua cura maniacale del dettaglio e di conseguenza al suo stile inconfondibile e iconico.
La formazione di Wes Anderson è totalmente autonoma. Sin da ragazzo si è “cibato” senza mai saziarsi di critica e letteratura cinematografica e non, oltre che di ogni tipologia di film. Sostiene inoltre che se non avesse fatto il regista avrebbe fatto l’architetto, professione che in qualche modo svolge anche nella produzione dei suoi film: le sue sono inquadrature simmetriche, precise, studiate, come lo sono anche i costumi che spesso sono creati da lui stesso in collaborazione con grandi stilisti quali ad esempio il marchio Prada. È proprio per questo che Anderson disegna sempre le sue storyboard e che ama lavorare con una squadra di attori e assistenti conosciuti e fidati. Primo fra tutti Bill Murray, sempre presente nel cast talvolta anche come cameo, seguito da Owen Wilson, incontro molto importante che portò alla creazione del suo primo film Un colpo da dilettanti. Già qui ritroviamo alcuni tratti distintivi del suo stile: la struttura triangolare, schema fisso nelle dinamiche tra i personaggi, mutuata da quella della sua famiglia in cui era uno dei tre figli. Tale struttura ha anche un’ulteriore ragion d’essere, ovvero quella di creare situazioni di due in rapporto a uno dove qualcuno assume una determinata posa agli occhi degli altri e vive in funzione di essa.
Un tratto fondamentale della filmografia andersoniana è infatti la continua tensione dei personaggi verso una vita ideale, iconica, spettacolare che ci fa pensare quasi che il regista assecondi i sogni e, potremmo dire, i film che ognuno dei personaggi crea nella propria mente. A enfatizzare la carica sognante e comica intrinseca nelle sue storie confluiscono anche le colonne sonore spesso prese dal mondo del Britpop e tecniche come il rallenty o le carrellate laterali che conferiscono alla scena un’aura di miticità e rendono perfettamente l’emozione dei personaggi che vivono i loro tanto agognati momenti di gloria. Ma non dobbiamo dimenticare che al di là della commedia e della tipizzazione romanzata e iconica c’è un universo pieno di difficoltà, di disagio, nel rapporto sogno-realtà e di incomunicabilità. I personaggi non a caso riescono a capirsi meglio attraverso simboli, sguardi, lettere e intese di ogni genere piuttosto che con le parole. Durante i dialoghi traspare quindi tutta la tragedia dello scontro con la realtà che prima o poi tutti devono affrontare. Ne è un esempio il caso dei due Tannebaum innamorati che si ritroveranno soltanto nella tenda della loro infanzia e che non erano riusciti per anni a esprimere davvero i loro sentimenti parlandone l’uno con l’altra.
Ultima tematica affrontata è quella de rapporto dei film con la storia. Vediamo che compare per la prima volta in Gran Budapest Hotel in una versione caricaturale con la tematica dell’invasione nazista. Un tratto dirompente rispetto ai film precedenti che sembravano tutti costruiti in un universo astratto esistente solo nella mente del regista, dei suoi attori e dello spettatore che vi entra subito dentro senza alcuna difficoltà. Qui invece c’è violenza, c’è la morte e il senso di nostalgia di un passato lucente al quale segue un futuro in bianco e nero. È proprio così Anderson rende il contrasto, utilizzando per la prima volta l’assenza di colori alternata all’esplosione di colori che normalmente lo caratterizza.
Finita la presentazione e dopo un breve giro di domande, il pubblico si sposta nella sala principale per assistere alla proiezione di Rushmore. E così si chiude la serata, con una visione resa ancora più intensa e d’impatto dalle due ore di conversazione con Ilaria Feole.