Lo spazio che muta attraverso la musica
TuttoMondo intervista il frontman dei Mop Mop
Venerdì 10 ottobre due band, se così si possono definire, Dj Kalab con Baba Sissoko e i Mop Mop si sono divisi il palco di un igloo/geoide allestito in piazza dei Cavalieri. Tra sonorità dell’Africa spirituale e tribalismo, elettronica sperimentale dai bassi viscerali della house europea (così forti e viscerali che il pubblico delle prime file si è spostato all’esterno per seguire il concerto da un megaschermo) gli artisti si sono dedicati alla rievocazione delle più profonde sonorità etniche. Baba Sissoko, maestro della parola, depositario della secolare tradizione mandingo, ci ha fatto conoscere nuovi suoni attraverso strumenti africani intagliati nelle zucche e assoli di tamburelli in osso, mentre i Mop Mop in versione Sound System (Andrea Benini – batteria, Luca Spinogatti – turntable & live electronics, Pasquale Mirra – vibrafono, Danilo Mineo – percussioni), ci hanno chiesto di ballare al suono del loro jazz fatto di bonghi, sintetizzatori techno e vibrafono. Le sedie allestite per ascoltare il concerto sono state spostate e il pubblico ha iniziato a muoversi e scatenarsi preso dai loop dei Mop Mop, e l’igloo si è trasformato in una discoteca improvvisata. Il flusso di persone era continuo: chi stava ancora seduto, chi ballava ai lati, chi si avvicinava al palco, chi seguiva il concerto dall’esterno, chi passava dalle entrate secondarie dell’igloo, chi cambiava spesso posto; durante la performance lo spazio del pubblico si modificava in continuazione su invito degli artisti, con il risultato di nuove interazioni, nate tutte dalla musica e dal suo potere polarizzante, generato anche dai volumi notevolmente alti e dai bassi potenti.
Dopo il concerto sono riuscita a strappare una mini intervista ai Mop Mop, rilasciata da Andrea, il frontman.
Quali sono le vostre influenze alle spalle del progetto musicale?
Influenze… Allora… Emilio Fede…No scherzo, be’ son tante…
Io ci ho sentito molto i Tangerine Dream e i Kraftwerk…
Eh! Sì, poi ti potrei dire: James Brown, Fela Kuti, Duke Allington, Nino Rota, Piero Umiliani, Dorothy Ashby, Don Cherry, John Coltrane e… non me ne vengono in mente!
(questi artisti citati sono prevalentemente esponenti della black music, be bop, hard bop, jazz e free jazz americano, compositori di musica classica e direttori d’orchestra [n.d.r.]).
E invece il vostro nome da cosa deriva?
Quando studiavo a Bologna, un giorno sono andato in una libreria che stava per chiudere, e allora ho detto: “mo vado predo un bel libro perché costa niente”, svendevano tutto. Allora vado a vedere i libri e trovo un piccolo dizionario del jazz, costava 1000 lire, 2000 lire… Lo prendo, vado a casa e me lo leggo, inizio a sfogliarlo e ad un certo punto ad una pagina leggo “Mop Mop”. Inizio a leggere, e praticamente trovo scritto che una volta, a New Orleans, quando si facevano i funerali, non c’era la marcia funebre ma suonavano le bande che facevano una musica più “allegra”. C’erano sei fiati che facevano un ostinato, come facciamo noi che prediamo un motivo e lo ripetiamo. Su questo motivo dei fiati della banda suonava un improvvisatore tipo un sassofono, una tromba, un trombone, che sopra questi ostinati creava un solo. Questo si chiamava “Mop Mop”. Noi stavamo facendo la stessa cosa pur non sapendolo! Allora abbiamo detto: “questo è il nostro nome!”
Virginia Villo Monteverdi
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