Ritratti umani di Leoncavallo e Poulenc

PISA – Quella che è stata definita «la stagione del coraggio» del Teatro Verdi si chiude con un inedito dittico novecentesco, uno spazio lirico in cui si accostano il rarissimo Edipo Re di Ruggero Leoncavallo e La voix humaine di Francis Poulenc (quest’ultima, peraltro, rappresentata quasi esattamente nel sessantesimo anniversario della premiére). Una stagione inaugurata nel segno del coraggio con The beggar’s opera non poteva che concludersi con una scelta altrettanto coraggiosa. A giudicare dall’affluenza nella serata di venerdì 1 marzo, “l’azzardo” del direttore artistico Stefano Vizioli è stato ampiamente premiato dalla partecipazione del pubblico, che ha accolto con entusiasmo e intelligenza una proposta davvero insolita per un teatro di provincia. Si apprezza sempre quando un cartellone lirico si libera dal giogo della cassa facile: non è istigazione al suicidio, ma la semplice dimostrazione che quando si portano titoli di livello e li si gestisce con intelligenza non manca una buona risposta della cassa.

Grande scommessa (e sorpresa) della serata l’Edipo Re: ultima e incompiuta opera di Leoncavallo, rappresenta il tentativo finale – ma solo parzialmente riuscito – dell’autore di scollarsi l’etichetta di «verista». Il fatto che non si tratti di un capolavoro è pacifico, tuttavia questa complessa partitura presenta numerosi squarci che fanno intravedere alcuni guizzi davvero inattesi da parte del compositore di Pagliacci: complice forse la stringatezza dell’atto unico, Leoncavallo non concede spazio alle consuetudini (ad eccezione di qualche formulario, annoverabile comunque trai peccati veniali) e sfodera qua e là qualche trucco davvero interessante, specialmente nei momenti in cui emerge il coro. Bisogna sottolineare che l’allestimento proposto, ossia in forma semiscenica, si adatta particolarmente a questo titolo che per propria costituzione assomiglia assai più a una Cantata che a un’opera vera e propria; data questa peculiarità è possibile che in futuro l’Edipo possa conoscere una certa diffusione eseguito in forma di concerto o, come in questo caso, semiscenica. In questo contesto è notevole l’apporto fornito dal Coro Ars Lyrica preparato dal M° Marco Bargagna: la rappresentazione semiscenica è rafforzata dalla monolitica compagine, severa e ieratica proprio come il coro dell’antica tragedia greca.

Da sinistra: Francesco Facini (Tiresia), Paoletta Marrocu (Giocasta), Max Jota (Creonte), Giuseppe Altomare (Edipo). Photocredit: Imaginarium Creative Studio.

In generale la recitazione degli attori è calibrata sulle esigenze di un allestimento del genere: interpretazione quasi stilizzata, senza i pietismi e le pesantezze del melodramma, un’essenzialità di gesto e di proposizione che contribuisce molto a togliere un po’ di polvere dall’opera di Leoncavallo (che necessita di uno svecchiamento). Bravo il tenore Antonio Pannunzio, una buona presenza sulla scena; interessante il baritono Tommaso Barea: il suo ruolo (un generico Corintio) non è dei più entusiasmanti, tuttavia Barea l’ha ben caratterizzato e interpretato con padronanza, un giovane cantante che sarà bene tenere d’occhio. Valido il Tiresia di Francesco Facini: avrei preferito una voce assai più scura e poderosa, ma devo riconoscere che Facini ha saputo infondere nel suo personaggio una grande umanità, quando di solito personaggi del genere sono portati sulla scena come automi preordinati dalla divinità di turno. Il Creonte di Max  Jota è onesto, ma un po’ troppo spento; avrei gradito maggior fuoco, specialmente nel concertato Iniqua è l’accusa. Paoletta Marrocu, qui nelle vesti di Giocasta, è un’apprezzabile sostituta di Dimitra Theodosiou: ha il vantaggio di una grande esperienza scenica, la tenuta della voce, però, è un altro paio di maniche. Al netto del canonico de gustibus bisogna riconoscere che il ruolo di Edipo è obiettivamente pesante da sostenere, quasi sempre in scena (a parte le pagine iniziali e, verso la fine, il tempo materiale di cavarsi gli occhi e rientrare), personaggio centrale che deve reggere tutto l’impianto di questo atto unico, ha pure una parte scritta in una tessitura davvero scomoda: Giuseppe Altomare, che rivedo volentieri al Verdi dopo il Macbeth del 2015, è sempre una sicurezza ed è stato un ottimo Edipo, confermandosi un interprete di rara sensibilità e dotato di ottime capacità espressive. Da segnalare la presenza sulla scena del costume originale di Titta Ruffo per la prima rappresentazione di Edipo Re del 1920: in questo modo il Verdi onora sia la memoria di Leoncavallo nel centenario della morte e quella del “suo” Titta Ruffo, per cui Leoncavallo scrisse la parte del protagonista.

Tutt’altra questione La voix humaine, proposta nella lettura della regista Emma Dante, uno spettacolo che recide quasi completamente il cordone ombelicale con l’opera di Poulenc e Cocteau. È uno stravolgimento a tutti gli effetti (dato che trasla l’azione da un ambiente privato borghese a un reparto psichiatrico in cui la protagonista è ricoverata), tuttavia non privo di fascino, anzi: si tratta di una rilettura estremamente intelligente ed eseguita con grande raffinatezza, a partire dall’idea del reparto che si svela gradatamente agli occhi dello spettatore, venendo letteralmente assemblato nel corso della rappresentazione; apprezzabile anche la partecipazione degli attori/danzatori, interpretati da Sabrina Vicari, Mariella Celia, Marta Zollet, Maria Giulia Colace, Samuel Salamone, Yannick Simons. Per usare le parole di Emma Dante, che ha immaginato la protagonista pazza per amore (come Nina), questi sei personaggi rappresentano «le proiezioni mentali della protagonista, i fantasmi che si aggirano nella stanza in cui è ricoverata e che sarà affollata da queste figure», nonché dal personale medico. Come già detto, si tratta di una lettura molto affascinante, tuttavia questo cambiamento di prospettiva causa un ulteriore, e fondamentale, cambiamento: pur ammettendo che la protagonista sia impazzita per amore, noi spettatori siamo “rassicurati” dal fatto che quanto sta accadendo, per quanto triste e tragico, avviene nella mente distrutta di questa internata; in questo modo Emma Dante addolcisce un po’ la pillola rispetto a Cocteau e Poulenc, che hanno costruito questo intenso atto unico su una realtà spersonalizzante, amara e tremendamente concreta. In questo trovo che La voix humaine perda parte della propria forza originale, inserendo il filtro della follia che consente allo spettatore di porsi a distanza di sicurezza dal messaggio dell’opera.

Anna Caterina Antonacci ne La voix humaine. Photocredit: Rocco Casaluci (2017).

La formula è ancora una volta quella dell’atto unico e, sebbene ancor più breve del precedente, La voix humaine si pone su posizioni totalmente differenti e grava sulle spalle di un’unica interprete: Anna Caterina Antonacci. Il ruolo di Elle (la sconosciuta protagonista) le appartiene completamente, non si può dire nient’altro quando si vede una parte così difficile resa con tanta – incredibile – naturalezza. Il canto declamato fa la sua parte, ma a volte si ha davvero l’impressione di ascoltare un’attrice che recita: il parlato è fluente, obbediente più alle ragioni della lingua che della musica, il canto non è mai una forzatura, piuttosto un’amplificazione del parlato. Anna Caterina Antonacci, capace in questo breve ma straordinario Poulenc di infondere la più viva tensione e di toccare da vicino lo spettatore, è da considerarsi una delle migliori interpreti di questo ruolo dai tempi di Denise Duval.

Solida costante di questo inusitato dittico l’Orchestra Arché, che si conferma ottima interprete del repertorio novecentesco e che forse dovrebbe investire di più su questo. Davvero ammirevole la loro capacità mimetica di eseguire in modo impeccabile due microcosmi musicali tanto distanti come le due partiture di Leoncavallo e Poulenc: l’Edipo era infiammato, sanguigno, come nella miglior tradizione meridionale (anche se in alcuni momenti si è trovata a sovrastare i cantanti), la Voix non avrebbe potuto essere più francese, ma anche nevrotica e precisa, sembrava di  trovarsi di fronte a due orchestre diverse (e, beninteso, entrambe di ottimo livello). Un gran merito del successo di questa serata conclusiva va al formidabile timoniere che ha mirabilmente gestito e sostenuto tanto la buca quanto il palcoscenico, il M° Daniele Agiman. Specialista del repertorio operistico del Novecento (soprattutto italiano, ma non solo), Agiman ha fornito una lettura fresca e sagace dei due lavori, brillando soprattutto nell’Edipo Re, cavando dall’Arché sonorità di grande raffinatezza e dimostrando grande attenzione anche per le percussioni, che in entrambi i titoli si sono rivelate formidabili. Più in generale, il M° Agiman ha saputo rendere giustizia a questi affascinanti atti unici individuandone l’intima natura: una ritrattistica dell’uomo e dei rapporti interpersonali con cui possiamo confrontarci.

Photocredit: Imaginarium Creative Studio (Edipo Re); Rocco Casaluci (La voix humaine).

lfmusica@yahoo.com

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