Quale futuro per la Fantascienza?

2014 – La fantascienza al tempo della fantascienza

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Il 2014 è stato uno degli anni recenti in cui la realtà ha fatto enormi passi verso l’affermazione della fantascienza. Nel 2014 una sonda terrestre è atterrata su una cometa, un uomo mutilato ha ricevuto due braccia robotiche controllate col pensiero, e due persone ai lati opposti del pianeta hanno testato una forma rudimentale di telepatia. Inoltre, grazie all’ultimo film di Christopher Nolan, per un paio di settimane i più popolari argomenti di conversazione sono stati buchi neri, wormhole e spazi pentadimensionali. Quel già indefinibile confine tra ciò che è “fanta” e ciò che è “scienza” si sta via via assottigliando, a una velocità quasi esponenziale.

In questo contesto, si può pensare che la fantascienza stia ormai perdendo una delle sue funzioni essenziali: quando il futuro è adesso, che senso ha provare a immaginarlo?

Generalmente quando si pensa alla fantascienza vengono in mente le avventure descritte da Jules Verne, o le eccezionali invenzioni teorizzate da Herbert George Wells, due autori che per tradizione sono considerati i padri del genere (se si escludono alcuni testi di “protofantascienza” antecedenti). Entrambi, pur con approcci diversi, sembravano voler proprio mostrare quali straordinari sviluppi avrebbero potuto avere la scienza e la società.

All’epoca il divario tra l’immaginazione dello scrittore e il livello tecnologico era piuttosto ampio, ma con il passare dei decenni questo gap si è ridotto progressivamente, e oggi è sempre più difficile che un autore possa anticipare gli sviluppi scientifici e tecnologici, anzi, di solito sono questi ad “arrivare prima”. Il ruolo “predittivo” della fantascienza si è quindi perso, ma questo comporta anche che il genere in sé abbia perso ragione di esistere?

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Per rispondere, bisogna innanzitutto chiarire questo punto: la previsione del futuro è davvero uno degli scopi della fantascienza? Se si considerano le opere dei primi autori, sembrerebbe di sì. Ma analizzando più a fondo la produzione di letteratura fantascientifica, ci si accorge che il “futuro” non è il vero punto di arrivo di questo tipo di narrativa. Quello che un bravo scrittore di fantascienza cerca di ottenere, è un’interpretazione delle attuali tendenze della società, che possono essere evidenziate maggiormente calando la storia in un contesto futuribile, quando lo sviluppo tecnologico o culturale ha ormai “esasperato” questi aspetti latenti, rendendoli infine palesi.

Possiamo fare un esempio accessibile a tutti: ne Il mondo nuovo di Aldous Huxley, viene descritta una società futura in cui i cittadini sono blanditi dallo Stato fino a diventare soggetti totalmente passivi. A differenza del più famoso 1984 di George Orwell, qui il controllo non è ottenuto con la repressione e la censura, ma con l’intrattenimento e la saturazione dei bisogni. L’intento di Huxley non era certo quello di “profetizzare” come la società si sarebbe evoluta, ma di evidenziare come un sistema sociale basato su questi principi sarebbe stato equivalente di una dittatura autoritaria. E col senno di poi, anche se nessun governo simile è sorto nel frattempo (almeno non ufficialmente), vi sentite di dargli torto?

Allo stesso modo, tanti autori, sia classici che contemporanei, non hanno voluto semplicemente mostrarci il futuro, ma farci capire come e perché questo futuro potrebbe realizzarsi.

Asimov stesso ammette di non avere idea di come possa funzionare il cervello positronico dei suoi robot umanoidi: ma non è questo il punto. La Fanteria dello spazio di Robert A. Heinlein non serve a farci vedere la guerra interplanetaria contro gli insetti giganti, ma a illustrare l’ideologia che sta alla base di uno stato militarista (chiaramente il riferimento è al libro, non al film che ne è stato “liberamente tratto”).

l’Odissea nello Spazio di Arthur C. Clarke non serve tanto a mostrare il viaggio dalla Terra a Giove, quanto a evidenziare i misteri della vita e dell’intelligenza dalla cui comprensione siamo ancora lontani nonostante millenni di civiltà.

Volendo citare autori più moderni, si possono trovare spunti simili nei racconti di Ted Chiang, Ian McDonald, Greg Egan. E non fa differenza che le loro storie partano da un punto di sviluppo tecnologico che appariva fantascienza agli scrittori di trent’anni prima. Così come non importa che nessuno degli autori degli anni 40-60 abbia previsto il crollo dell’Unione Sovietica, l’invenzione del CD, gli smartphone, internet: perché la buona fantascienza non invecchia, e non viene scalfita dal superamento dell’aspetto tecnologico/scientifico da essa ipotizzato. La speculazione infatti si estende a più livelli, ed è quello più profondo a rimanere nel lettore, non la scorza superficiale.

Per queste ragioni, anche oggi che viviamo in un mondo che sembra fantascientifico di per sé, la fantascienza rimane uno strumento valido per analizzare e comprendere il mondo. Anzi, proprio perché siamo sempre più immersi in una società così complessa, sempre più vasta e interconnessa, sono proprio i modelli della fantascienza che più di tutti possono aiutarci a notare tutti quegli aspetti dell’epoca contemporanea che siamo abituati a dare per scontati, ma che contengono il seme per sconvolgimenti eccezionali.

Non possiamo sapere quale sarà la prossima rivoluzione che cambierà per sempre il mondo: la cibernetica, le intelligenze artificiali, il viaggio interstellare… o forse niente di tutto ciò che abbiamo immaginato finora. Ma qualunque sia la svolta della storia che ci aspetta, possiamo essere certi che superata questa continueremo a immaginare, passando a raccontare dei successivi “what if…?”

Andrea Viscusi

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