Pier Paolo Pasolini, un poeta del nostro tempo

La parola e il corpo saranno gli strumenti di cui Pasolini si servirà in tutta la sua carriera artistica, e in questo senso l’accostamento a Cristo diventa inevitabile. Pasolini come lui si fa portatore di una rivelazione che deve sconvolgere il mondo, e per farlo egli utilizza i suoi strumenti esasperandoli

 

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Un corpo magrissimo, gli occhi grandi immersi nel viso scavato, la pelle tirata è solo uno strato sottile che ricopre fasci di muscoli ridotti all’essenza.

Un corpo evanescente e tormentato, è Pier Paolo Pasolini così come mi appare nella mente, o nelle foto che lo ritraggono con in mano una macchina da presa o con la faccia tra le dita ed è così che forse appare anche a voi, ora, mentre state leggendo queste parole. Queste parole, le parole, che sono portatrici di pensieri ed emozioni.

Perché Pasolini prima di tutto fu un poeta. Poi romanziere, regista, uomo politico, drammaturgo, giornalista e saggista. E le parole furono uno dei primi strumenti che usò per trasferire il suo pensiero al mondo, per rivelare alla gente il senso delle cose. La parola si fa messaggera di una rivelazione che Pasolini cercò di riversare sulle persone per tutta la vita, più che una parola era forse un verbo, non lontano dal verbo di Cristo che rivelò Dio al mondo.

Non riesco a pensare ad un personaggio che sia così vicino eppur lontano da Dio allo stesso tempo. Questo contrasto, questo andirivieni da un lato all’altro della religione, con soste nel mezzo o agli antipodi o nei posti più impensabili, caratterizzò la vita e l’opera tutta di Pasolini, che scopriamo permeata da una religiosità potente, fervente e nel contempo dissacrante.

accattonePasolini si dichiarò ateo sin dai suoi primi anni di militanza comunista nel Friuli, eppure dalla sacralità era attratto per quel suo essere così pregna di una cultura contadina che si andava esaurendo all’interno di una società sempre più borghese e appiattita. Pasolini affermò infatti di vedere nel Cristo un rivoluzionario e lo mostrò apertamente nel film Il Vangelo Secondo Matteo (1964); il vangelo  nel quale viene messa in evidenza l’umanità di Cristo piuttosto che la sua divinità. E pertanto la potenza del suo impatto sul mondo è ancora più lampante e dilaniante; emerge la figura di un Cristo nel suo corpo di uomo profanato dall’uomo, un corpo nudo che affronta il mondo con l’unica arma della sua umanità.

Questo concetto lo troviamo già espresso ne L’usignolo della Chiesa Cattolica, una raccolta di poesie composte fra il 1943 e il 1949 ed edite nel 1958, dove la figura del Cristo è già centrale, così come sono presenti, in potenza e pronti ad esplodere, altri temi che verranno sviluppati nella futura opera artistica del poeta. La parola, che è verbo, è anche corpo. Il corpo di Cristo è il corpo stesso di Pasolini, magro, assottigliato ed esposto, e in questa raccolta i due corpi si sovrappongono e a volte si confondono.

“O piccolo servo! Corpo di tuo padre, labbra di tuo padre, petto di tuo padre, che morte risuona nel tuo canto, che vita nel tuo quieto non esistere? Io guardo in questi ragazzi il riso dei loro morti quando venivano in chiesa, e , cantando, credevano di essere vivi per sempre. Ma gli anni spariti nel paese non sono mai trascorsi. Questa è una loro alba, e noi, noi siamo i morti.”

L’alba, che è la giovinezza, fa la sua comparsa con la caducità che la caratterizza, e rimane un concetto costante che ritroviamo in tutta l’opera pasoliniana; un’alba che scivola via, “i giorni che volano via come ombre”, il tempo che passa e deturpa il corpo del poeta così come fu deturpato il corpo del Cristo; l’impotenza di fronte all’alba che diventa sera e poi notte tormenta il poeta costantemente.

PasoliniIl corpo è un elemento cruciale all’interno dell’opera poetica e artistica di Pasolini. I corpi dei bambini che lui vedeva a Casarsa, il paese dove aveva trascorso la sua adolescenza, erano corpi puri e leggeri, proprio come l’usignolo, erano simbolo di grazia e di bellezza del creato. Questi stessi corpi si tramutano in causa di turbamento e dissidio interiore, nel momento in cui Pasolini scopre e mette a nudo la sua sessualità, e non c’è nessun Dio in grado di dare pace ai suoi desideri sensuali e il contrasto è continuo con il “Dio a cui non credo, non avrà pietà di me… Io sono il reo, Egli il giudice: ma che m’abbandoni io gli chiedo, anche senza il Suo perdono… Senza muovere un dito ormai mi abbandono ai miei fascini, mostri famigliari”.

Rincontreremo questi corpi fanciulleschi in tutta l’opera pasoliniana: i violenti corpi dei ragazzi romani in Ragazzi di Vita (1955) un corpo che cerca la redenzione in Accattone (1961), leggero e puro ma allo stesso tempo violento, come lo è l’umanità stessa.

La parola e il corpo saranno gli strumenti di cui Pasolini si servirà in tutta la sua carriera artistica, e in questo senso l’accostamento a Cristo diventa inevitabile. Pasolini come lui si fa portatore di una rivelazione che deve sconvolgere il mondo, e per farlo egli utilizza i suoi strumenti esasperandoli, acutizzandone al massimo gli effetti, perché solo sconvolgendo e riavvolgendo gli animi dei lettori/spettatori, solo sfruttando la potenza della parola e del corpo umano ci sarebbe stata una possibilità di ottenere un effetto su una popolazione che si stava ormai omologando. Pasolini prese fra le sue mani il corpo addormentato del mondo e cercò di scuoterlo, con il risultato di svegliare alcuni e far arrabbiare altri, mentre altri ancora rimasero nel torpore invalidante ed E’ la polvere, non il peccato, a separarci dal cielo.”

In quest’ottica Pasolini è stato un profeta, ha cercato di urlare il destino inevitabile verso il quale si andava scontrando il suo mondo, e fu forse l’ultimo poeta civile della letteratura italiana, l’ultimo poeta nazionale, alla stregua di D’annunzio, Carducci, Pascoli o Foscolo, l’ultimo ad utilizzare la poesia per affrontare in prima persona i grandi temi politico-sociali del suo Paese.

Pasolini

Fu l’ultimo di quella generazione di poeti a servirsi della parola-verbo-corpo per diffondere un insegnamento universale. E ora lo immaginiamo mentre si avvicina, così esile e leggero, come un usignolo, con gli occhi grandi e infiniti, immersi in un viso scavato e in un corpo magrissimo ma forte, per farsi portatore di un messaggio che, a quarant’anni dalla sua morte, lui non ha ancora smesso di urlarci.

Maria Cristina Impagnatiello

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