Vicissitudini di un palazzo testimone delle vicende politiche e sociali pisane per oltre un millennio
Il Palazzo dei Conti Giuli, appartenuto alla nobile casata dal 1861 al 2001, fu voluto nel 1593 dal notabile Emilio Del Testa che, in seguito a importanti lavori di ristrutturazione, ne fece la propria residenza. Da allora il Palazzo ha subito importanti e ulteriori modifiche durante i diversi passaggi di proprietà: il nucleo originario è stato più volte ampliato con l’edificazione di nuove parti e l’accorpamento di altre già esistenti. L’ultima trasformazione, a partire dal 2001, ha condotto, su iniziativa della Fondazione Cassa di Risparmio di Pisa, all’attuale assetto museale di Palazzo Blu.
Come molte delle residenze storiche cittadine, le trasformazioni edilizie e urbanistiche che hanno condotto il Palazzo all’attuale assetto, ripercorrono l’alternarsi di vicende politiche, economiche e sociali imposte e subite da Pisa per oltre un millennio della sua storia.
Palazzo Giuli – risultato dalla fusione di una trentina corpi di fabbrica divisi in due stecche da un vicolo (via del Cappello) – sorge sulla riva sinistra dell’Arno nei pressi della chiesa di Santa Cristina, della quale si hanno notizie già in epoca longobarda (744-749). La chiesa sottolineava il ruolo primario dell’area d’Oltrarno (poi denominata Kinzica) probabilmente attraversata dalla via Aemilia Scauri (103 a.C., via San Martino e via Toselli) che adduceva, attraverso un ponte in pietra, al nucleo altomedioevale cinto da mura difensive. Tuttavia, già nel 1081 l’assetto urbano aveva subito importanti trasformazioni.
In quell’anno, infatti, il Diploma di Enrico IV (un vero e proprio condono edilizio) riconobbe l’avvenuta occupazione abusiva di terreni imperiali da parte dei sudditi pisani oltre la chiesa di San Michele e le mura che correvano sull’attuale via di Borgo Stretto. Fatto questo che indica uno spostamento di alcune decine di metri verso est del principale asse viario che fu raccordato da un nuovo ponte (oggi Ponte di Mezzo) del quale le prime notizie risalgono al 1113. Con l’edificazione della nuova cinta muraria (la terza dalla fondazione di Pisa) sotto il consolato di Cocco Griffi, a partire dal 1155 l’Oltrarno, ove risiedeva una popolazione eterogenea proveniente da diversi luoghi del Mediterraneo, viene integrato nella città comunale.
La cospicua attività edilizia e urbanistica che proseguirà per oltre due secoli – con l’edificazione di torri, case signorili e magnatizie, schiere e seriali pressoché standardizzate e destinate a ceti medi e minori – culminerà nel XIV secolo con accorpamenti immobiliari che porteranno alla realizzazione dei primi palazzi. Il 14 novembre 1356 Giovanni dell’Agnello con una supplica rivolta agli Anziani del Comune otteneva il permesso di ampliare due domus di sua proprietà congiungendole con archi e volte a valico di un vicolo. Sarà questo il primo nucleo del Palazzo che nel 1495 farà da cornice ai festeggiamenti per la discesa in Italia di Carlo VIII di Francia, venuto a conquistare del Regno di Napoli sul quale vantava diritti ereditari.
La discesa fu occasione di riscatto per la città dalla sottomissione a Firenze a cui era stata venduta, nel 1406, da Gabriele Maria Visconti figlio illegittimo di Gian Galeazzo Duca di Milano. Carlo VIII per garantirsi un rientro in patria senza sorprese strinse alleanze con diversi stati italiani (tra cui la stessa Firenze).
Lasciando intendere ai pisani di sposarne la causa, ne occupò, prima di partire alla volta di Napoli, la fortezza lasciandone il controllo al Capitano Ernesto D’Entragues. Dopo aver conquistato Napoli, al rientro in nord Italia, ordinò al D’Entragues la restituzione di Pisa ai fiorentini. Il Capitano si rifiutò, secondo la leggenda perché innamoratosi della bellissima pisana Camilla del Lante protagonista del gran ballo in onore del Re tenuto a Palazzo Giuli nel giugno del 1495.
Tornata sotto il dominio fiorentino nel 1509 – dopo la dispersioni di molte famiglie nobili trasferitesi a Palermo, a Lucca, a Genova e a Firenze – la città visse un periodo di abbandono e incuria che dissestò il delicato assetto idrografico e il territorio circostante, preda di speculazioni da parte degli occupanti. Sarà questo anche un periodo di trasformazioni, soprattutto edilizie, che sul finire del XVI secolo porteranno alla realizzazione di numerosi palazzi signorili secondo uno stile tardo-rinascimentale.
Favorì questa ripresa la “Legge di comodo” (1551) emanata da Cosimo I de’ Medici (1519-1574), primo Granduca di Toscana, che autorizzava l’esproprio di edifici e terreni a vantaggio di chi volesse edificare o ristrutturare le case esistenti. Altro provvedimento significativo fu il motu proprio sul restauro delle fabbriche che minacciavano rovina (1593) di Ferdinando I de’ Medici (1549-1609) rivolto all’edilizia delle famiglie meno facoltose.
I Granduchi furono anche fautori di un vasto programma di ripopolamento di Pisa e del suo contado e dell’allora Castello di Livorno. Attraverso l’escavazione del Canale dei Navicelli (1563-1595), i due centri furono resi comunicanti con la via d’acqua e a Pisa spettò il ruolo di città-emporio del porto marittimo di Livorno.
Le trasformazioni edilizie compiute in questo periodo lasciarono inalterato il tessuto urbanistico medievale. Gli accorpamenti delle diverse proprietà vennero mascherati dietro uniformi facciate intonacate, non di rado dipinte, articolate da elementi architettonici in arenaria e marmo. Fu Emilio Del Testa, proprio nel 1593, a trasformare radicalmente il Palazzo conferendogli la dignità di una dimora cittadina “alla moderna”.
Gli anni della reggenza lorenese (1737-1801), soprattutto sotto la guida di Pietro Leopoldo I (1747-1792), furono caratterizzati da uno stile rigoroso e sobrio, quasi “castigato”, che il Sovrano illuminato volle conferire alle realizzazioni pubbliche. Queste ricalcarono le sue aspirazioni riformiste: togliendo spazio alla qualificazione delle architetture in senso rappresentativo introdusse forti elementi di novità e modernità.
Il Granduca nel 1776 emanò un Regolamento che dette il via a una “riforma comunitativa” della Provincia pisana, attraverso una redistribuzione dei possedimenti, nell’intento di favorire la piccola proprietà. L’azione, rivolta al nuovo ceto borghese affinché lo sostenesse nella sua azione riformista, consentì alienazioni e concessioni a “livello” di beni religiosi, di patrimoni della comunità e appartenenti al Granduca stesso. La responsabilizzazione dei nuovi proprietari, attraverso lo stimolo a operare nella sfera economica perseguendo il vantaggio personale, puntava a incentivare la partecipazione del nuovo ceto all’amministrazione locale. Una riforma liberista, in anticipo sui tempi, che darà i suoi frutti soltanto nel secolo successivo.
La permanenza dell’architettura barocca coinvolse, invece, quelle tipologie non direttamente supportate dal Governo centrale e tra queste, in particolare, le ricche residenze private urbane ed extraurbane e alcuni edifici religiosi. Il lusso caratterizzava gli interni dei palazzi e le residenze private attraverso elementi architettonici “di delizia” che parevano banditi dalle committenze pubbliche. Nell’ambito di queste committenze ricorreva il tema del Kaffeehaus, dei padiglioni, delle passeggiate, di quei “capricci” secondo la moda dell’epoca di cui non seppe privarsi nemmeno il Granduca.
Nella seconda metà del Settecento il Palazzo fu sottoposto a ulteriori modifiche dalla famiglia Agostini, che lo ereditò dai Venerosi nel 1745 e lo cedette in locazione al dottor Cesare Studiati, direttore del Collegio Imperiale Greco Russo, per conto dell’Imperatrice Caterina II nel 1773.
In questo periodo la dimora fu animata da una vita sociale e culturale molto intensa. Nel 1781 vi soggiornò Ekaterina Daskova (1744-1810), direttrice dell’Accademia russa delle scienze, che ha lasciato una descrizione della città, del Gioco del Ponte e del Palazzo nelle sue memorie. Fu proprio in onore della grande stagione artistica italiana alla corte imperiale di San Pietroburgo che la facciata fu dipinta per la prima volta di blu, il “color dell’aria”.
Nel maggio 1788 la famiglia Del Testa rientrò in possesso del Palazzo da Cosimo Agostini che lo vendette per acquistare Palazzo Tilli dagli eredi di Michelagelo Tilli, l’odierno Palazzo del Dado che prende il suo nome dall’Albergo del Dado (precedente locanda dell’Ussero), rimasto in attivita’ fino alla fine della 2^ Guerra Mondiale. I Conti milanesi D’Archinto, successivamente, furono i proprietari della dimora per gran parte dell’Ottocento.
Nel periodo preunitario i fervori del Risorgimento riscaldarono gli animi romantici dei suoi sostenitori. L’agognata libertà goduta dalle città comunali fu motivo di rievocazioni nostalgiche e simboliche. Le piccole patrie medioevali rappresentarono un libro comune a cui attingere iconografia e letteratura. Temi questi, poi profusamente diffusi dopo l’Unità d’Italia, che non furono accolti dalla borghesia locale. In questa fase, essa evitò di ricoprire un ruolo anche soltanto celebrativo di quelle memorie per non provocare contrasti con la Capitale. La borghesia cittadina favorì e apprezzò, invece, la diffusione di un repertorio figurativo eccentrico e innocuo che riducesse la pittura a pura decorazione in cui una “grottesca” poteva convivere con spaesate mongolfiere.
Particolarmente apprezzati furono i temi divaganti e paesaggistici di Nicola Torricini, protagonista di questa stagione artistica locale, ingiustamente dimenticato fino a pochi anni fa. Nel 1884, il Torricini decora la maestosa biblioteca dei Conti Giuli, entrati in possesso del Palazzo nel 1861. Fu in seguito il coordinatore di una imponente campagna di restauro che terminò nel 1903 con l’inaugurazione della Sala Rossa, o Salone da Pranzo, in occasione di un raffinatissimo ballo organizzato dai Conti Giuli.
Se – come scrisse Lewis Mumford, urbanista e sociologo statunitense – gli edifici esprimono ciò che è nell’animo di una società e, inversamente, rappresentano una sicura indicazione di ciò che una società è oggettivamente, Palazzo Giuli è un esempio significativo in questo senso, come lo sono molte dimore che punteggiano le città storiche e, nondimeno, Pisa.
Enzo Lamassa
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A proposito di quest’articolo, il nostro lettore Agostino Agostini ci ha fatto notare l’opportunità di rendere nota la presenza della comunità russa a Palazzo Blu durante il XIIX secolo, citiamo pertanto:
– I rapporti tra la Toscana e la Russia sono documentati a partire dal XVII secolo, periodo che segna l’avvio delle relazioni diplomatiche tra la Toscana e la Moscovita con l’ambasceria che lo zar Aleksej Michajlovic inviò nel 1659 al Granduca Ferdinando II di Toscana.
Tra le presenze del Settecento a Pisa è da ricordare il conte Aleksej Orlov, ammiraglio della flotta russa che, tra il 1768 ed il 1774, condusse la cosiddetta “quarta guerra turca” dalla sua base militare a Livorno e soggiornò alla villa di Corliano per le cure termali ai Bagni di Pisa. Conflitto il cui risultato fu di portare definitivamente l’ucraina meridionale e la Crimea sotto il dominio dell’Impero Russo
Fu proprio in onore della grande presenza russa a Pisa ed in Toscana, che vide anche grandi maestri italiani a progettare e decorare imponenti palazzi a San Pietroburgo, che il palazzo Venerosi del Lungarno (attuale Palazzo Blu) venne fatto dipingere da Cosimo Agostini Venerosi della Seta con la caratteristica colorazione blu, o color dell’aria, applicata ai palazzi pietroburghesi per addolcirne le forme. Palazzo ceduto poi in locazione nel 1773 al dottor Cesare Studiati, direttore del Collegio Imperiale Greco Russo dell’Imperatrice Caterina II per ospitare i rampolli della nobiltà russa che venivano a studiare alla Università di Pisa.
Nel 1774 arrivò la principessa Yelizaveta Alekseyevna Tarakanova (1753 – 1777), che sosteneva di essere la figlia di Aleksej Razumovskij e dell’imperatrice Elizabetta I. Sospettata di complotto ai danni dell’imperatrice Caterina II, fu rapita a Pisa nel febbraio 1775 per essere ricondotta in patria dall’ammiraglio Aleksej Orlov. A questo personaggio sono dedicati numerosi testi tra i quali il più famoso è senz’altro il romanzo di Danilevskij: “La principessa Tarakanova, Sankt-Peterburg 1883”.
Nel 1781 soggiornò e frequentò l’Università di Pisa Ekaterina Daskova (1744-1810), prima direttrice dell’Accademia Russa di Scienze, che ha lasciato una descrizione della città, del Gioco del Ponte e del Palazzo Blu nelle sue Memorie, che l’ingegnere e collezionista Malkov David Ilic ha donato nel 1994 alla nostra Università insieme ad una grande raccolta privata di libri, cartoline, giornali, tutti dedicati a Pisa e scritti in cirillico. –