Un nuovo movimento rivendica diritti per chi lavora nei beni culturali
PISA – Ieri, 24 maggio, si è tenuto a Pisa un presidio davanti alla Domus Mazziniana organizzato da un movimento di recente costituzione, ma già presente a livello nazionale: Mi riconosci? Sono un professionista dei beni culturali. Le questioni al centro delle rivendicazioni del movimento sono di assoluta attualità e al centro di molte discussioni, sopratutto dopo il caso, divenuto famoso, degli “scontrinisti” della Biblioteca Nazionale di Roma. Data l’importanza della questione abbiamo intervistato un rappresentante del coordinamento di Mi riconosci? Sono un professionista dei beni culturali per capire chi sono, che cosa propongono e per approfondire con loro la situazione dei beni culturali.
Che cos’è esattamente questo movimento e quando è nato?
«Il movimento è nato nel novembre del 2015 da una campagna della Rete della Conoscenza, organizzazione nazionale studentesca. “Mi riconosci?” è partito, infatti, dalla riflessione di studenti del settore dei beni culturali che hanno iniziato a interrogarsi sull’accesso alle professioni e a un mercato del lavoro sempre meno tutelato e, purtroppo, caratterizzato da un utilizzo improprio del volontariato e di strumenti vari per abbassare il costo del lavoro. Da qui, il movimento è cresciuto con il coinvolgimento di precari e lavoratori del settore e con la richiesta forte di un riconoscimento dei professionisti, per la loro dignità lavorativa e per il bene della tutela e della fruizione del patrimonio storico-artistico».
Parliamo della riforma Franceschini: che cosa prevede riguardo ai beni culturali e alla loro tutela? E che cosa cambia per le Soprintendenze?
«La riforma del ministero voluta dall’attuale ministro Franceschini ha compiuto un intervento pesante tanto nel sistema di tutela quanto nell’ambito della valorizzazione. Crediamo che ci sia un obiettivo di fondo: diminuire il peso dei tecnici preposti alla tutela nella decisionalità sugli interventi urbanistici e architettonici. Basti pensare alle nuove norme sul silenzio assenso e l’accorpamento delle Soprintendenze specialistiche senza un’adeguata pianta organica di dirigenti. D’altronde lo stesso Matteo Renzi e altri esponenti dell’attuale maggioranza di governo non hanno mai nascosto il loro fastidio per i vincoli storico-artistici a cui sono sottoposti sindaci e costruttori».
Il movimento “Mi riconosci? Sono un professionista dei beni culturali” qualche mese fa è stato a Roma. Potete spiegare esattamente che cosa è successo in quell’occasione?
«Il 2 febbraio scorso alla Camera dei Deputati abbiamo presentato il nostro ultimo lavoro: PLaC – Patto per il Lavoro Culturale. Un appello sottoscrivibile da accademici, professionisti o aspiranti tali, datori di lavoro e, in generale, cittadini. Il patto individua dei vincoli per rispettare il lavoro professionale e garantire degli standard adeguati per la retribuzione e la qualità del servizio offerto alla cittadinanza. Le adesioni continuano ad arrivare da tutto il Paese, grazie anche al tour di incontri che stiamo realizzando da Torino a Catania».
Quali sono le proposte e le richieste del movimento?
«Innanzitutto, la richiesta di un riconoscimento formale e sostanziale dei professionisti del settore: la legge 110/14 ha individuato sette figure professionali del settore, ma ancora a distanza di tre anni non sono stati emanati i decreti attuativi per fissare le mansioni che devono ricadere sotto l’esclusiva competenza dei professionisti. Un ritardo inaccettabile e che lascia spazio al volontariato sostitutivo o all’utilizzo improprio del servizio civile per tappare i buchi in organico, come sta largamente facendo il ministero. E poi servono più risorse per la cultura e la difesa del patrimonio: non possiamo continuare così, con continui tagli che mettono a rischio la tutela e un blocco del turn over che fa scappare all’estero persone formate e competenti».
Ieri, 24 maggio, avete promosso una giornata di mobilitazione nazionale. Che cosa ha rappresentato?
«È stata una giornata che dà fiducia e speranza: vedere tante persone del settore che decidono di metterci la faccia e organizzare azioni che danno visibilità alle ragioni del movimento è un piccolo segnale importante: ci sono le energie e la volontà diffusa per fare in modo che il sistema attuale venga messo in discussione e ribaltato, per ridare centralità al lavoro culturale e tutelarlo con diritti, riconoscimento e adeguate retribuzioni. Non è che un inizio, anche oggi saremo in movimento al fianco degli “scontrinisti” della Biblioteca Nazionale di Roma, pagati per anni con un rimborso spese di 400 euro sugli scontrini raccolti e poi mandati a casa dall’oggi al domani appena hanno alzato la testa. Siamo in movimento anche per evitare che storie del genere possano presentarsi di nuovo».
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