Il Signore delle Mosche di W. Golding
Questa è un’isola. Almeno, credo che sia un’isola. Quella là nel mare è una scogliera. Forse di grandi non ce n’è in nessun posto.
Inizia così. Con la presa di coscienza di un bambino inglese.
All’inizio sembra una favola: l’isola è bellissima, un incanto di luci e colori orchestrati da una laguna inoffensiva, col il mare aperto oltre la scogliera, lontano.
Il bambino si chiama Ralph. Ha dodici anni anni e la sua goia maggiore sembra essere quella di non sottostare alle imposizioni degli adulti: neppure l’incidente aereo causato dalla tempesta pare turbarlo di fronte a tanta bellezza e libertà. Accanto a lui c’è un ragazzino grassottello, occhialuto e ansioso che conosceremo con il soprannome Piggy – maialino in inglese.
Su un’isola che «non fa brutti scherzi», come ce la presenta William Golding, autore de Il Signore delle Mosche, tutto prende avvio nell’aura magica di un esotismo tropicale. Solo le ombre verdi delle palme, nei primissimi paragrafi, sembrano presagire la tragica avventura in cui sono destinati a scivolare i piccoli eroi del romanzo.
Sono tutti bambini e il più autorevole è Ralph. La bellezza della spiaggia lo manda su di giri. Tutto è perfetto: frutti in abbondanza, un fiume d’acqua dolce, una piscina naturale in cui nuotare… prendere i punti di riferimento è uno scherzo e Golding ci presenta la spiaggia con precisione geometrica: attraverso gli occhi del bambino individua i luoghi dell’azioni con descrizioni fluide, dipingendo i contorni di un paradiso, riempiendoli di poesia.
Grazie a dialoghi brevi ed efficaci i personaggi assumono ben presto uno spessore umano realistico. Ralph è bello, deciso, carismatico. Il dubbio talvolta lo sfiora nella forma d’incertezze passeggere. Piggy è invece la mente, ma la sua intelligenza si rivela un boomerang, perché, oltre alla goffaggine, la sua petulanza e i suoi timori continui lo privano di qualsiasi autorevolezza agli occhi del gruppo.
Sua è l’idea di far suonare una conchiglia e richiamare i dispersi. Sua è la trovata di costituire un’assemble ispirata alla società degli adulti. Un’altra, fondamentale, intuizione di Piggy è quella di accendere un segnale di fuoco in cima alla montagna che sorveglia l’isola. Ma tutte queste idee, recepite dal gruppo, non servono a garantirgli l’attenzione agognata. Solo Raplh sembra in grado di catalizzare rispetto e ammirazione.
A comprometterli entra in scena Jack. Con la risolutezza del leader minata da un’aggressività strisciante, il ragazzo accetta di malavoglia la proclamazione a capo di Ralph; anche se a un tratto, fra i due, sembra che le cose possano funzionare, perché si instaura un rispetto reciproco nella suddivisione dei ruoli: a Jack sarà lasciato il controllo del coro, ora trasformato in una squadra di cacciatori.
Dopo questa proclamazione si fermò. Le sue parole avevano sollevato l’assemblea, che ora si sentiva vicina alla salvezza. Egli piaceva ai ragazzi, e lo rispettavano. Cominciarono spontaneamente a battere le mani e in un momento la piattaforma risuonò di applausi. Ralph arrossì, guardando di sottecchi da una parte verso Piggy, che era pieno di ammirazione, e poi dall’altra verso Jack, che faceva finta di sorridere e applaudiva con degnazione.
Questi bambini portano appresso i segni della civiltà e così capiamo presto qual’è il gioco dell’autore: inserire un essere civilizzato già condizionato dalla morale – ma ancora vicino agli istinti animaleschi – in un contesto incontaminato, un ritrovato paradiso terrestre. Quello a cui ci introduce Golding è quindi una sorta d’esperimento per mettere alla prova le capacità socializzanti dell’essere umano non ancora segnato dalla maturità.
Ma l’esperimento evoca una risposta angosciante. La vediamo subito intrufolarsi nella narrazione assumendo le forme d’un sogno: uno dei più piccoli racconta della cosa che striscia, dell’essere venuto dal mare. Bollata come una fantasia notturna e risibile, l’immagine apre tuttavia una crepa nell’entusiasmo dei ragazzini nel momento in cui il fuoco, sfuggito al loro controllo, si propaga per l’isola come un funesto presagio di battaglia, e centinaia di serpenti abbandonano il sottobosco in fiamme.
Chi avesse colto nell’immagine una citazione biblica vedrebbe giusto: il modello di civiltà faticosamente costruito dai bambini vacilla in preda alle pulsioni dei cacciatori e in questo sottile, progressivo mutamento psicologico, si palesa la grandiosità di William Golding, uno scrittore che riesce a presentarci l’atroce conflitto interiore dei personaggi con angosciante realismo, inscrivendolo in una cornice lirica di straordinaria vividezza, dove i moti della natura fanno da contrappunto a quelli del cuore:
A mezzogiorno succedevano delle cose strane. Il mare lucente si alzava; si scomponeva in piani diversi, in maniera evidentemente impossibile; la scogliera di corallo e le poche palme nane che vi si aggrappavano nei punti più elevati, prendevano a galleggiare nel cielo, tremolanti, si separavano, correvano in giù come gocce di pioggia su un filo, si riverberavano in una strana successione di specchi.
La caccia, per Jack, diventa un’ossessione, una priorità persino più importante del fuoco e della prospettiva di una salvezza. La ribellione alle leggi e al buonsenso incarnati da Piggy (e mediati da Ralph) è il passo seguente: scoperto il fascino della violenza, perpetrata la prima uccisione a spese di un maiale selvatico, le cose sono destinate a un rapido declino verso il macabro.
L’idilliaco paesaggio si staglia ora con granitica indifferenza come un palcoscenico su cui si muovono, in una spirale regressiva, i bambini trasformati in sanguinari selvaggi. L’incubo, sempre più stringente, finisce per chiudersi su Ralph e Piggy, assediati da ciò che era presente fin dal principio, ma invisibile e strisciante come un simbolo biblico: un serpente, all’inizio, poi pienamente rivelato nell’immagine di una testa di maiale infissa su un palo e attorniata da un nugolo d’insetti ronzanti. Il Signore delle mosche. Immagine di belzebù, del male connaturato all’uomo.
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