Eros e virtù: il nuovo libro di Alberto Mario Banti

Fresco di stampa, è stato presentato a fine novembre il nuovo libro di Alberto Mario Banti “Eros e Virtù”.

Alberto Mario Banti è professore ordinario di storia contemporanea all’Università di Pisa.

Eros e Virtù” è, quindi, un libro di storia sociale ma non solo. Attraverso l’osservazione, la descrizione e il commento di famose opere d’arte ci fa riflettere e ci svela come la storia e la politica abbiano condizionato in maniera permanente l’attuale condizione della donna e la concezione dell’eros e della sessualità nella nostra società. Nel libro si parla di arte, di costume, di genere e di eros. 

Alla presentazione organizzata dalla libreria Pellegrini, oltre all’autore, erano presenti la prof.ssa di pedagogia dell’Università di Pisa Antonella Maria Galanti e la storica dell’arte Silvia Panichi.

Nel libro si analizza la fine del XVIII sec con la fine dell’ancien régime, conseguenza della rivoluzione francese che porta con sé la nuova filosofia borghese dell’illuminismo, che diventerà, in seguito, ideologia predominante.

Sembrerà controcorrente l’affermazione che segue ma il periodo analizzato, alla fine del 1700, prima della rivoluzione francese, è stato per le donne, il momento in cui hanno goduto di maggior libertà. Alcune donne rivestono ruoli pubblici importanti, Madame de Pompadour, ad esempio, è ministro degli esteri (pur non dimenticando che stiamo parlando di una monarchia assoluta) e in Inghilterra non mancano anni in cui regnano donne sovrano, ma non sono soltanto gli incarichi politici che servono a farci capire un periodo, ma sono i ruoli e il modo di vivere la quotidianità che possono darci elementi indispensabili per comprendere il clima di un’epoca.

Leggendo attentamente opere d’arte come “L’instant désiré” di Fragonard possiamo intuire come, nel XVIII sec, l’eros e il sesso in realtà siano visti come gioco, divertissement, e il rapporto tra uomini e donne ne è una diretta conseguenza. L’eros e il sesso seguono un codice libero e gioioso.

L’idea del sesso vissuto come gioia e libertà è sicuramente il più grande tra i mutamenti culturali che avvengono con le nuove idee borghesi e illuministe, durante tutto il nuovo secolo (il XIX) il sesso si trasformerà in argomento da tenere nascosto e segreto, verrà associato alla vergogna e contrapposto al pudore e da qui, il passo per tutte le limitazioni imposte alle donne, al loro corpo e al loro comportamento, sarà brevissimo. Non basteranno poi, tutte le lotte intraprese nel ventesimo secolo a riportare a la situazione in equilibrio e oggi nel 2017 le questioni di genere sono ancora uno degli argomenti più dibattuti, la condizione della donna è ancora una questione da risolvere e la parità di genere ancora molto lontana da realizzarsi.

La società del XVIII secolo è una società classista ma sicuramente libera da pregiudizi sessuali (e di conseguenza anche sessisti), è il secolo che spesso viene definito libertino (usato nel senso più comune e dispregiativo del termine)  il secolo dei Dongiovanni dei Casanova e le loro amanti, spasimanti, fidanzate non vengono mal giudicate. La professoressa Antonella Galanti, nel suo intervento ricorda che in questo secolo l’adulterio è spesso incoraggiato, così come è praticato frequentemente lo scambio delle coppie e l’omosessualità rientra nel gioco amoroso come tutto il resto.  I balli in maschera sono l’emblema di tutto ciò e il desiderio è la molla del gioco amoroso. “Amore e Inganni” il film di Stillman, uscito da poco nelle sale, e ispirato ai racconti epistolari di Jane Austen racconta perfettamente il clima della società dell’epoca.

Anche nel melodramma – ci fa notare la professoressa Galanti – è evidente questo grande mutamento culturale, si passa da opere come la Poppea di Monteverdi, La serva padrona, il trittico di Mozart (Le nozze di Figaro, Così fan tutte, Don Giovanni,) ai drammi ottocenteschi dove la donna viene sempre punita, nessuna trasgressione è mai concessa, neppure se giustificata dall’amore, le protagoniste vengono giudicate, e, alla fine, muoiono, sempre.

Anche nell’arte – sottolinea la storica dell’arte Silvia Panichi – questo divario tra i secoli è evidente. Il concetto di nudo femminile subisce una trasformazione notevole nell’ottocento, viene “adeguato” ambientandolo in mondi lontani: siano essi lontani fisicamente (in oriente o in terre esotiche) o lontani temporalmente (epoche antiche) oppure ancor più spesso assume un aspetto iconico, metaforico. “Eros e virtù” inizia questa viaggio nell’arte con il quadro “L’insegna di Gersaint” di Watteau dal quale si evince che le donne hanno in quel preciso momento un ruolo importante nella nuova concezione di circolazione della cultura (libri, opere d’arte, musica), sono le donne, infatti, che organizzano e tengono vivi i “salotti” in cui si diffonde la cultura. Partecipano ai dibattiti che vi si svolgono, leggono, ascoltano, suonano, non sono delegate neppure al ruolo di madre, perché i figli vengono cresciuti dalla servitù e solo quando diventano adulti entreranno a far parte del mondo dei genitori. La galleria di opere scelte nel libro di A.M.Banti termina con “Le Dejeneur sur l’herbe” di Manet che proprio perché non rispettava i codici ottocenteschi sul nudo femminile fece tanto scalpore, venne esposto nel Salon des Refusées e fu criticato duramente. Secondo Alberto Mario Banti il dipinto di Manet è così dirompente perché rompe i canoni per i quali nell’arte il nudo femminile poteva essere accettato, inoltre è come se dicesse agli uomini “voi quando guardate una donna, la vedete così”.

Consapevoli del fatto che la condizione femminile settecentesca era prerogativa della nobiltà, che la divisione in ordini della società faceva sì che per ogni ordine esistessero leggi e abitudini diverse, non possiamo non pensare, come sostiene il prof. Banti, che attraverso le abitudini nobiliari si stava diffondendo un ethos più elastico, di cui potenzialmente avrebbero potuto beneficiare tutte le altre donne. Con la nuova filosofia politica, invece, gli spazi di libertà si chiudono inesorabilmente per tutte, siano esse nobili, borghesi o popolane.

L’ottocento, secolo in cui la borghesia ha spazzato via la nobiltà, vede una completa trasformazione anche della moda. Gli abiti cambiano totalmente rispetto al secolo precedente, le persone adesso devono lavorare per vivere e quindi gli abiti e la moda si adeguano. Ma, solo per gli uomini. “…la gonna, il cappellino niente pratico, il busto, e la generale indifferenza per il disagio, che è una chiara caratteristica dell’abbigliamento di tutte le donne civili, sono altrettanti segni che nel moderno schema di vita civile la donna è ancora, in teoria, la dipendente economica dell’uomo” (Eros e Virtù). Così la moralizzazione della società settecentesca è stata portata avanti a partire dalle donne e a scapito delle loro libertà. Le nipoti ottocentesche delle dame del secolo precedente non si sogneranno neppure di comportarsi nella società come le loro nonne e bisnonne. La nuova borghesia, Rousseau e gli altri filosofi illuministi nel loro attacco all’ancien règime travolgeranno insieme alla monarchia e ai privilegi anche le libertà. “Emilio” si educherà in maniera diversa da “Giulia” così, su queste basi, le élites sociali e culturali concepiscono i nuovi rapporti di genere, l’amore e la sessualità. Le nuove istituzioni politiche e sociali nascono senza le donne. Come sappiamo bene le nostre istituzioni, i nostri codici sono figli dell’illuminismo e oggi possiamo aggiungere che anche l’idea della sessualità, dell’amore, e dei rapporti tra i generi lo sono.

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