Sta per scadere il tempo, il prossimo 21 gennaio, per visitare Palazzo Strozzi di Firenze la mostra Il Cinquecento a Firenze. Tra Michelangelo, Pontormo e Giambologna, ultima delle tre mostre di Palazzo Strozzi a cura di Carlo Falciani e Antonio Natali, dopo le prime due dedicate a Bronzino nel 2010 e Pontormo e Rosso Fiorentino nel 2014. La rassegna celebra il mecenatismo di Francesco I de’ Medici (Firenze, 25 marzo 1541 – Poggio a Caiano, 19 ottobre 1587), figlio di Cosimo I de’ Medici e della prima moglie di questi, Eleonora di Toledo. La mostra è eccezionale per allestimento e qualità e val bene un viaggio e il prezzo del biglietto. Del resto, in questi giorni spesso piove e fa freddo e stare al caldo della cultura fiorentina all’apice del suo splendore può far piacere, come una tazza di cioccolato caldo.
Non voglio raccontare della mostra, ma di un solo quadro in essa esposto e del suo autore. Nella seconda sala della mostra, entrando ma andando subito a sinistra, mi sono posto di fronte alla Deposizione dalla Croce di Rosso Fiorentino, una maestosa pala d’altare completata nel 1521. Questo quadro da solo è sufficiente per rendere famoso il suo autore ed è considerato il suo capolavoro più elevato. Ed è parte dei miei ricordi giovanili, e di viaggi in sella a una Vespa Primavera bianca, il cui sellino lasciava ricordi per molti giorni, specie se si osava spingere le piccole ruote da Firenze a Volterra negli anni 80. Ma il Rosso e la sua Deposizione valevano la pena. La mia prima visita fu intenzionalmente da ignorante, senza aver studiato né l’autore né l’opera. Volevo vedere i colori, di cui avevo sentito parlare. E la sensazione provata fu quella di una quasi-estasi, a cavallo tra lo stupore della composizione e la meraviglia per l’uso dei contrasti. Mi colpiva il rosso, le diverse macchie di rosso dei vestiti di alcuni personaggi affannati intorno alla croce.
Mi andavo convincendo che il pittore si chiamasse Rosso per la maestria con cui sapeva usare il rosso nel dipingere. Per di più, mettendo questo colore forte a contrasto con un cielo azzurro ma non piatto. Mi dava la sensazione di un dipinto eseguito da un pittore metafisico o perfino surrealista.
All’epoca della dislocazione della Deposizione del Rosso sull’altare del Duomo di Volterra, l’America era già stata scoperta e Amerigo Vespucci (Firenze, 9 marzo 1454 – Siviglia, 22 febbraio 1512) non solo aveva già visitato ripetutamente il Nuovo Mondo ma era anche morto. Ecco perché il quadro di Rosso Fiorentino mi appariva tanto moderno: era stato dipinto molti anni dopo il 1472, anno di inizio dell’Era Moderna. La sua ‘maniera’ era quella di dipingere il bello allontanandosi dai classici e dai loro stilemi realistici. La definizione negativa di ‘manierismo’ venne dopo e non ci piace più se non come una nozione di storia dell’arte.
Ci sono tornato spesso a Volterra a vedere la deposizione posta nelle sale della Pinacoteca allestita nel Palazzo dei Priori e, a lungo, ho cercato di mantenere l’ingenuo approccio iniziale, senza studiare. E ogni volta l’emozione dei colori esauriva la mia curiosità e bastava a farmi rinunciare a qualsiasi approfondimento erudito. Bastava la magia della pittura del Rosso.
La luce della Deposizione del Rosso è quella del crepuscolo, col cielo azzurro che varia il suo colore dal chiarore dell’orizzonte allo scuro del cielo in altro. La scena è animata dalla precarietà dell’equilibrio incerto delle figure dei soccorritori che faticano nel deporre il corpo del Cristo, fino a rischiare la caduta. Qualcuno sembra addirittura imprecare per lo sforzo e contorce i lineamenti della faccia.
È la prima rappresentazione che un artista fa del momento preciso in cui il corpo di Gesù viene distaccato dalla Croce: e il suo corpo mortale non è bianco come l’eucarestia, ma tende al verde. Sotto la scena degli uomini impegnati in uno sforzo fisico, stanno la Madonna ferita dal dolore, la Maddalena in ginocchio e abbracciata alle sue gambe e san Giovanni piegato dal dolore. Il dramma della rappresentazione è rafforzato dall’uso di colori complementari, spesso accostati, che provocano scoppi di luce intensa rispetto allo sfondo.
Nel 1962, un film ritenuto maledetto di Pier paolo Pasolini, La Ricotta, copiò letteralmente la messa in scena della Deposizione del Rosso. È un film breve girato come uno degli episodi del film ROGOPAG (dai nomi dei registi dei quattro episodi: Roberto Rossellini, Jean-Luc Godard, Pier Paolo Pasolini, Ugo Gregoretti). Pasolini fu denunciato e condannato per vilipendio alla religione di Stato e il film sequestrato. Nel 1964 il regista fu assolto perché il fatto non costituiva reato.
Oggi La ricotta è un’opera interessante di Pasolini, che si rivede di certo meno volentieri della Deposizione di Rosso Fiorentino.
A proposito, il vero nome del pittore era Giovanni Battista di Jacopo (8 marzo 1495 – 14 November 1540), uno dei maestri del manierismo, abile con la pittura a olio e con l’affresco. Il soprannome gli era stato messo per il colore dei capelli, ovviamente, e non per la bravura nell’usare il rosso come a me faceva piacere credere. La sua reputazione è stata a lungo sottovalutata in confronto ad altri suoi contemporanei che non avevano abbandonalo la poetica di ritrarre come tale la bellezza della natura.
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