Deep Inside: Ladri di biciclette (Vittorio De Sica, Italia 1948)

Locandina

La mia bicicletta si chiama Antonietta Terza. Ce l’ha scritto sulla canna a lettere fosforescenti. E’ una Graziella vecchia e arrugginita ma ci sono affezionato. Da un po’ di tempo a questa parte, quando torno a casa di sera, la porto dentro con me. Le ho costruito una rastrelliera in camera mia per non farla sentire fuori luogo. Prima di lei ci sono state Antonietta ed Antonietta Seconda, ma non sono durate molto. Questo perchè le ho lasciate fuori. Ecco spiegata la scelta del film per il primo Deep Inside. Si tratta di Ladri di biciclette (Vittorio De Sica, Italia 1948).

Nella sezione ritratti del mese scorso abbiamo parlato di Hitchcock. Se si dovesse riassumere il suo cinema in una frase, questa sarebbe: “il cinema è la vita, senza i momenti noiosi”. E’ così che Mark Cousins definisce la poetica del regista inglese nel documentario The Story of Film: An Odissey. Hitchcock stesso amava parlare dei suoi film in modo simile. C’è però anche un’altra definizione in questo documentario: “il cinema è costituito proprio dai momenti noiosi della vita”. Questa seconda opzione si riferisce ad un altro movimento cinematografico, che nasce e si sviluppa in Italia nel secondo dopoguerra. Stiamo parlando del neorealismo. Sul fatto che i film neorealisti siano noiosi si può o meno essere d’accordo. Ciò che ci interessa è che la seconda definizione mette in evidenza una frattura tra il cinema narrativo classico e quello neorealista. Nel corso di questo articolo cercheremo di spiegare questa differenza analizzando Ladri di biciclette.

Partiamo da un esempio.

Un uomo, Antonio, cammina per le strade di Roma. Sta cercando la sua bicicletta, gli è appena stata rubata. Antonio è un attacchino, il suo mestiere consiste nel girare la città e appendere manifesti. Senza bici non può lavorare. E’ da poco finita la seconda guerra mondiale, non avere un lavoro equivale a morire di fame.

Proviamo ad immaginare i movimenti del nostro protagonista se a girare il film fosse Hitchcock.

Innanzitutto possiamo stabilire che il movente dell’uomo sarebbe la voglia di uccidere il ladro. Hitchcock è ossessionato dalla necessità di tenere i suoi spettatori incollati allo schermo, è indispensabile che Antonio sia spinto ad agire dalla sete di vendetta. Una seconda caratteristica del film sarebbe quella di fornire subito l’identità del colpevole. Creare la suspence dando il maggior numero di informazioni possibili, come abbiamo visto il mese scorso. Il nostro personaggio farebbe delle indagini e alla fine scoverebbe il ladro. Lo ucciderebbe? Probabilmente sì, in ogni caso la vicenda avrebbe una fine, perchè una delle caratteristiche del cinema narrativo classico è la chiarezza (ricordiamo per completezza che Hitchcock costituisce un esempio sui generis di cinema narrativo. Per un primo approccio a questo tema si veda l’articolo del mese scorso).

Prendiamo adesso Vittorio De Sica, che ha effetivamente girato il film in questione. Antonio cerca il ladro, ma il motivo per cui lo fa è ovvio: rivuole la sua bicicletta, ne ha bisogno per lavorare. Non gli interessa la vendetta, ha urgenza di portare il pane a casa. L’identità del ladro è vaga e non ha alcuna importanza ai fini del film. Antonio agisce senza un piano, si aggira per le strade di Roma quasi alla cieca. Infine, quando trova il colpevole, la vicenda non ha uno scioglimento e non c’è catarsi.

Questa prima, sommaria, analisi valga da introduzione.

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Ad un convengno di cineasti che si svolge a Perugia nel 1949, Zavattini, uno dei padri del neorealismo, dice che esiste la necessità di “fare irrompere nello spettacolo […] novanta minuti della vita di un uomo”. Il motivo di questa necessità è già stato accennato nel nostro esempio. Siamo nel secondo dopoguerra, l’Italia è un paese disastrato. C’è urgenza di utilizzare i film come strumento di riscossa sociale, non c’è più spazio per le immagini seducenti del cinema narrativo. Ecco una prima differenza tra neorelismo e cinema classico. In Italia, dopo la seconda guerra mondiale, film come It Happened One Night (Accadde una notte, Frank Capra, Usa 1934) non verrebbero recepiti. Inoltre non ci sono i mezzi economici per produrli. Ladri di biciclette è stato sceneggiato anche da Zavattini e riflette le idee del suo co-autore. La cinepresa pedina Antonio dall’inizio alla fine, lo mette al centro. Nel farlo registra anche la vita nelle borgate romane dopo il dramma della guerra.

Nel libro Che cos’è il cinema? (Garzanti, Milano 1973) André Bazin, fondatore dei Cahiers du Cinéma, afferma che non basta definire il neorealismo a partire dal suo contenuto sociale. Dire che Ladri di biciclette è un ritratto dell’ Italia nel secondo dopoguerra, ciò che è emerso fino ad ora, è quindi insufficiente. Occorre spingerci oltre. Per il critico francese i film di questa avanguardia creano un nuovo tipo di immagine cinematografica, l’immagine-fatto, che ha bisogno di essere interpretata, non solo letta.

Facciamo un esempio.

Antonio attraversa una strada e Bruno, il figlioletto che lo aiuta nella ricerca della bici, lo rincorre. Una macchina sfreccia veloce e quasi investe il bambino. Il padre non sembra curarsene, continua a camminare sconsolato. Se Ladri di biciclette fosse stato un film classico è facile immaginare che Antonio avrebbe avuto una reazione opposta: sarebbe corso ad aiutare il figlio. Una serie di campi e controcampi avrebbero alternato il volto spaventato del padre e quello in lacrime di Bruno. Nel film di De Sica, invece, non accade niente. Ad un primo acchito questo modo di girare può sembrare sciatto e poco chiaro. Il regista ispeziona l’ ambiente con una ripresa lunga e lascia che la situazione si esprima da sola. Non c’è nessuna voce fuori campo che commenta l’accaduto. Secondo Bazin questo avviene perchè il neorealismo inserisce nel film un contenuto maggiore di realtà e la realtà ha bisogno di essere interpretata: Antonio è abbattuto e la sua vita gli è stata portata via insieme alla bicicletta. Niente ha più importanza per lui, neanche il figlio che rischia la vita.

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Nel secondo libro che scrive sul cinema, L’immagine-tempo (Ubulibri, Milano 1989) Gilles Deleuze si spinge oltre Bazin. Secondo la prospettiva del filosofo francese Ladri di biciclette sarebbe un film bal(l)ade (il termine è un gioco di parole; balade significa “andare a zonzo”, mentre ballade vuol dire “ballata”).

Cerchiamo di spiegarci con un esempio.

Nel film Strangers on a Train (L’altro uomo, Alfred Hitchcock, Usa 1951) due uomini si incontrano su un treno. Uno dei due, Bruno, attacca bottone e si scopre che conosce molte cose sul conto dell’altro. Sa, ad esempio, che è un tennista e che ha problemi con la moglie e si offre volontario per ucciderla. In cambio chiede all’altro uomo, Guy, di eliminare suo padre. Il tennista si rifiuta.

I personaggi di questo film agiscono, sono attanti. Guardano ciò che gli sta intorno solo nella misura in cui è funzionale al loro scopo. Bruno inizia una vera e propria persecuzione nei confronti di Guy e il film è un susseguirsi di azioni-reazioni. Le riprese riflettono questa caratteristica. Sono brevi, danno giusto il tempo ai personaggi di agire e allo spettatore di leggere l’inquadratura. Rispondono a rigidi legami di causa-effetto: ho bisogno di una cosa, faccio una determinata azione per ottenerla. In questo tipo di film le inquadrature che non sono funzionali a far progredire la trama vengono eliminate. E’ la norma dell’inquadratura non necessaria.

Antonio, in Ladri di biciclette, si comporta diversamente dai personaggi di Strangers on a Train. Cammina per le vie di Roma senza un piano d’azione. Si guarda attorno spaesato, proprio come farebbe un uomo comune in una grande città. Ha bisogno di ispezionare gli ambienti in cui si muove passandoli in rassegna con lo sguardo. E’ un veggente. Ecco spiegata l’abbondanza di inquadrature in cui succede poco o nulla. Ladri di biciclette trasgredisce la norma dell’inquadratura non necessaria. Tutte queste caratteristiche contribuiscono a fare del film di Vittorio De Sica una ballata.

Arrivati a questo punto abbiamo stabilito alcune cose. Il neorealismo nasce in un contesto sociale determinato, l’Italia del secondo dopoguerra. I film di questa nuova avanguardia mettono al centro la vita dell’uomo comune, richiedono uno sforzo interpretativo e sono caratterizzati da un “di più” di realtà. Hanno inoltre la forma della ballata. Ciò significa che non procedono rigidamente, seguendo uno schema di causa ed effetto, ma “vanno a zonzo”. Le riprese riflettono queste caratteristiche. La cinepresa pedina i personaggi e si produce in molte long-take (riprese lunghe).

Un ultimo accenno al valore metaforico di Ladri di biciclette.

Sandro Bernardi nella sua storia del cinema (L’avventura del cinematografo, Marsilio Editori, Venezia 2007) dice che ad Antonio è stata rubata la vita insieme alla bicicletta. Questa affermazione è convincente e crediamo che il film di Vittorio De Sica abbia molto da insegnare anche come semplice racconto. Un uomo fa l’attacchino ma un giorno gli rubano la bicicletta. Non può più lavorare e piove su di lui tutta la miseria del mondo.

All’inizio dell’articolo vi ho detto che le mie biciclette si chiamano tutte Antonietta. Se ve lo state chiedendo, i loro nomi sono un omaggio al protagonista di Ladri di biciclette, Antonio Ricci. Non si sa mai che mi venisse in mente di comprare una bici rubata.

Domenico Rubino

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