Lo studio attento e ammirato di un mosaico romano posto nel pavimento di una casa a El Djem in Tunisia ci può aiutare a capire le eterne relazioni tra cultura, identità, potere e intolleranza. All’inizio del terzo secolo D.C, le case dei ricchi nella cittadina del Nord Africa, che all’epoca si chiamava Tisdro, erano pavimentate con mosaici di rara bellezza. Uno di questi è la rappresentazione personificata dell’Africa e delle Stagioni, un altro mette in scena una serie di figure che rappresentano Roma e le sue province. Sei pannelli di forma esagonale contengono busti femminili e figure intere, disposte intorno a una settima, che rappresenta Roma come una donna seduta, armata, con in mano il globo dell’universo. Le figure esterne del mosaico sono le province di Roma: l’Africa, con l’acconciatura a forma di elefante; l’Egitto, dai capelli ricci, con in mano il sistro del culto di Iside; la Sicilia, una donna cacciatrice e la trinacria che le orna la testa. Un busto posto in alto si ritiene rappresenti l’Asia, perché indossa un copricapo turrito, come erano turrite le città dell’Asia minore; altre figure sono di incerta interpretazione. La composizione rappresenta iconograficamente l’estensione geografica dell’Impero Romano e le molte diversità sociali e culturali riunite sotto il controllo centrale di Roma. La bellezza dei mosaici delle case di Tisdro non è stata intaccata dal tempo. Il senso che se ne ricava ancora meno: cultura, identità e potere concorrono in diverso modo, con la personificazione delle figure femminili, la disposizione dei pannelli, e per la presenza in un’abitazione eretta in una provincia dell’Impero, alla costruzione di un significato complesso, ma abbastanza evidente. E’ possibile che una parte del senso originale si sia perduto e che l’occhio moderno ci intraveda significati in qualche modo esuberanti in questo mosaico. Ma il modo con cui Roma coniugava cultura, identità e potere può essere utile a capire anche molte cose delle società contemporanee. Le diversità rispetto a oggi, sono diverse: a Roma la schiavitù era una istituzione su cui si basava l’economia, molti erano illetterati, e la comunicazione per immagini era fondamentale. Non è che questi fatti oggi non esistono; alcuni sono però illegali, restano sottotraccia nei sotterranei della società e non li possiamo considerare normali.
Il mosaico di El Djem ci serve per dire qualcosa a proposito della diffusione geografica della cultura romana, di un fatto che si può definire col termine di “romanizzazione”. Prima di tutto, però, occorre chiedersi che cosa si intende per cultura. E’ notoriamente difficile dare una definizione del termine, che ha molti significati; come si dice, è polisemico e ha significati diversi in ambiti differenti.
Per questo, si sceglie spesso di fare riferimento alla definizione semplice e operativa data da Stuat Hall nel 1997: le persone che appartengono a una determinata cultura condividono un insieme di idee e di esperienze; tale condivisione si esprime con il seguire pratiche comuni e l’accettazione della rappresentazione di identità reciprocamente diverse. Ma come ci aiuta il mosaico a capire di più sui rapporti tra culture diverse? Il costo elevato dei materiali e della messa in opera del pavimento domestico, i soggetti rappresentati e l’iconografia usata, sono tutti modi scelti dai proprietari per dimostrare l’appartenenza a una determinata cultura, in questo caso, ricca e romana. La disposizione concentrica dei pannelli, compresi in una cornice comune, riflette l’idea di una cultura condivisa, tanto che le figure di Egitto e Africa si guardano reciprocamente. Le province sono femmine e vestite con abiti ispirati dalla stessa moda; sono poi distinte solo dal tipo di acconciatura, dai copricapi, a testimonianza di una esperienza distintiva ma condivisa. La centralità culturale di Roma è fortemente espressa dalla posizione della sua figura nel mezzo “geografico” del mosaico, che riunisce tutte le altre regioni. Il senso appare chiaro: la cultura di Roma è identità e potere al centro del mondo; le identità dell’impero sono molte, anche periferiche, ma hanno relazioni con un solo potere centrale. Possiamo solo congetturare che il proprietario della casa si sentisse sia Romano che Africano. Così come che un abitante di Roma di sentisse romano come uno che vivesse in Siria o in Britannia, province lontane spazialmente e spesso turbolente. In molte parti dell’Impero, culture anche molto diverse coesistevano, ma Roma e Alessandria erano città cosmopolite e molte città orientali avevano ereditato la cultura greco-ellenistica di contenere e sovrapporre molte e diverse culture. Gli ebrei spargevano le loro comunità per tutto l’impero, mantenendo la proprie tradizioni all’interno della più ampia cultura greco-romana. Ogni popolo dell’Impero esprimeva diversità culturali attraverso la condivisione e la separazione di lingue, religioni, abiti, diete alimentari, nomi propri e cognomi. Questi sono esempi facili, mentre è più complesso comprendere le diversità culturali attraverso altri fatti umani: modi di pensare il mondo, codici morali e comportamenti sociali, come per esempio il sentimento romano di pietas verso gli sconosciuti e i forestieri o l’omaggio ai costumi degli antenati.
Una cosa interessante da approfondire, visti i possibili rimandi all’attualità, è che il concetto di romanizzazione assomiglia a quello di assimilazione culturale, caro agli Stati Uniti, e che è il contrario del multiculturalismo, più caro agli Europei. Più sopra si è accennato alla “romanizzazione” come espansione geografica della cultura di Roma: troppo semplice, visto che la questione è molto più complessa. Un punto importante è che il termine può essere inteso come una via a doppio senso: può essere il processo che vede popolazioni locali assimilare la cultura romana, la periferia che cerca il centro, o può indicare la fase finale dell’imposizione di Roma della propria cultura su quella di altre popolazioni, il centro che sottomette le periferie con la forza. E poi, ci possiamo chiedere se ci fosse una sola e pura cultura romana, o molte forme ibride che si andavano mescolando e diffondendo sotto la stessa etichetta? Era un comportamento consapevole di Roma e dei suoi Imperatori o era un effetto di altri fatti, economici, legali, religiosi che i Romani portavano con sé nella conquista di nuove terre? E quanto era diverso l’impero del Nord Ovest freddo da quello caldo del Sud Est? Di certo esercito, istituzioni civili, religiose, amministrative, la pianificazione e la costruzione di città, strade, porti, acquedotti, anfiteatri, terme, il conio di monete, sono testimonianze forti della presenza imperiale romana in una vastissima area geografica. L’idea geografico-politica di assimilazione che il mosaico di El Djem comunica è che Roma si poneva al centro del mondo, ma si circondava di province che potevano mantenere simboli distintivi e identitari che trovavano collocazione nel contesto del potere imperiale.
Cultura, identità e potere sono interconnessi in modo inestricabile, pur se osservabili da molti punti di vista, e pur se danno origine a dibattiti infiniti e spesso aspri. Muoversi tra multiculturalismo e assimilazione culturale, preferire l’uno o l’altro, come modello di rapporto tra popoli che si incontrano, non è politicamente indifferente e deve essere fatto con cautela, perché ai concetti di cultura, identità e potere si associano troppo spesso quelli di intolleranza e conflitto, ieri come oggi, in ogni parte del globo. Una cosa è certa: chi governa ha più responsabilità dei cittadini, e quando soffia sul fuoco delle differenze culturali si assume responsabilità di cui è facile prevedere esiti nefasti.
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