Cosa nasconde il nome d’arte?

 

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Nomen omen dicevano i latini, nel nome è già racchiuso tutto il nostro destino.

Chissà, forse proprio il monito degli antichi risuonava nelle menti di tanti grandi, grandissimi della storia della letteratura che hanno visto bene di affidare la sorte della loro fama e la gloria imperitura delle loro opere a nomi di fantasia, a quelli che, con espressione tecnica, si definiscono nome de plume (che sta per l’inglese pen name).

Sono tanti gli autori che hanno scelto di firmare i loro lavori ricorrendo agli pseudonimi più diversi. Che sia per vezzo, per opportunità o per difendersi dalla censura, i nome de plume sembrano davvero aver risolto per tanti scrittori molti dei loro problemi.

“Ho letto una volta in un libro che una rosa con qualsiasi altro nome avrebbe sempre il suo profumo, ma non sono mai stata capace di crederci. Non credo che una rosa sarebbe altrettanto bella se si chiamasse cardo o cavolo cappuccio”.

(LM Montgomery)

Forse la pensavano come Lucy Maud Montogomery anche gli scrittori che hanno abbandonato il loro nome di battessimo per mascherare le loro reali identità in nomi divenuti, in certi casi, talmente famosi da obliare per sempre la verità che si cela dietro di essi.

Lo pseudonimo, o nome d’arte, o nome de plume che dir si voglia è una sorta di zona franca, di rifugio tranquillo, il medium per passare dal mondo della realtà a quello della finzione delle storie. Scegliere uno pseudonimo significa rinascere, per lo spazio di una pagina, in qualcun’altro che non siamo più noi, per come viviamo nel nostro mondo, tra le nostre convezioni, come se ciò fosse l’unico modo possibile per dare forma al magmatico mondo della fantasia.

Pensandola così, l’intricato labirinto dei nome de plume diviene ancora più affascinante e, oltre ogni aspettativa, decisamente coinvolgente da esplorare.

Andare alla ricerca di veri volti dietro quei nomi è un pò come ricomporre un puzzle che, tassello dopo tassello, sembra rivelarci immagini più curiose di quanto ci potremmo aspettare.

E allora non ci resta che metterci sulle tracce di qualche esempio che, ne sono certa, troverà posto in molte delle vostre librerie.

blogibanneri_pieni_290911_vas_ala_isom– Vi ricordate l’autore di 1984 o della Fattoria degli animali, il grande George Orwell (1903 – 1950) ?

Bene, al di là di ogni sospetto, il suo vero nome era l’inglesissimo Eric Arthur Blair che lo scrittore  decise di abbandonare per firmare tutti i suoi lavori con quel George Orwell con il quale è passato alla storia.

Passiamo ora a Mark Twain (1835-1910), l’autore di Le avventure di Tom Sawyer e di Le avventure di Huckleberry Finn.

Il vero nome, che si cela dietro alcuni dei titoli capitali della moderna stagione narrativa americana, è in realtà  Samuel Langhorne Clemens. Twain si firmò con diversi pseudonimi prima di scegliere quello a noi noto. L’idea gli venne in mente dopo aver lavorato a bordo dei battelli che attraversavano il fiume Missisipi. Lo scrittore americano fece proprio il grido “by the mark, twain!” con il quale i mariani, addetti alla misurazione dell’acqua del fiume, davano il via libera alla navigazione.

Mai nome d’arte fu più azzeccato se consideriamo l’indubbia importanza che il mondo fluviale riveste nei libri dello scrittore americano.

– Chi non è rimasto invece vittima del fascino dell’assurdo, del nonsense e dei mille paradossi del capolavoro di Lewis Carroll (1832-1898)  Alice nel Paese delle Meraviglie?

Il nome di battesimo di Lewis Carroll era in realtà Charles Lutwidge Dodgson, uomo timido, ordinato sacerdote e insegnante di matematica nella prestigiosa facoltà universitaria di Oxford, il quale firmò con il suo vero nome diversi e severi trattati scientifici.

Il suo vero nome era Neftali Ricardo Reyes Basoalto.

Così venne battezzato il  poeta cileno Pablo Neruda (1904-1973), nome d’arte (e poi nome legale) formato dalla liaison fra il nome del poeta francese Paul Verlaine e del cecoslovacco Jan Neruda.

Stando alla vicenda personale di Neruda, non sembra strana la scelta di fare della stessa poesia il suo nome, quasi a voler opporsi a un padre che osteggiò a lungo le velleità letterarie del figlio, ostacolandolo fin dalla sua prima pubblicazione alla giovane età di 14 anni.

Poi è la volta di un certo Aron Hector Schmitz. Questo era il nome di battesimo dello scrittore Italo Svevo (1861-1928). Schmitz divenne Italo Svevo perché, come lui stesso scrisse,“ si sentiva dispiaciuto per l’unica piccola vocale circondata da tutte quelle feroci consonanti”.

Pseudonimo emblematico per un autore che, come Svevo, nato a Trieste da genitori ebrei, madre italiana e padre tedesco, si sentiva figlio di due culture e cercò di fare della sua scrittura un ponte di congiunzione tra la tradizione letteraria italiana e quella tedesca.

Molte le donne che, per evitare la censura, dovettero camuffare la loro identità dietro nomi maschili.

Tra quelle che hanno cercato di liberarsi dal gioco dei pregiudizi attraverso la scrittura di certo spicca la scrittrice George Sand (1804 – 1876), nome de plume di Amantine Aurore Lucile Dupin.

Arrivata a Parigi nel 1831, pubblicò il romanzo, Rose et Blanche, con il nome di Jules Sand. Poi arrivò il successo del romanzo Indiana e da allora l’autrice firmò tutti i titoli della sua fortunatissima e altrettanto chiacchierata carriera letteraria con il nome di George Sand.

Anche per George Sand sembra valere il motto omen nomen. Un nome per una donna che, rompendo ogni convezione, era solita indossare abiti da uomo e parlare di se stessa al maschile. Alla sua morte, lo scrittore francese Gustav Flaubert scrisse: “Si doveva conoscerla come l’ho conosciuta io per sapere quanto vi era di femminile in questo grande uomo, per conoscere l’immensa tenerezza di questo genio.”

George Sand, al di là di essere un semplice vezzo per una donna dalla vita sempre al limite, rivela in realtà tutta la complessità di una scrittrice che è stata capace di costruire con intelligenza il proprio successo.

Accanto a George Sand, si collocano molti altri nomi di scrittrici che, per poter pubblicare al di là di ogni ragionevole sospetto, hanno scelto di firmarsi con il nome di uomini.

George Eliot (1819 – 1880) era il nome d’arte di Mary Ann Evans

Le sorelle Brontë, Charlotte (Jane Eyre), Emily (Cime tempestose) e Anne (Il segreto della donna in nero), per anni, si sono firmate come i fratelli Currer, Ellis e Acton Bell, mantenendo del loro nome solo le iniziali.

Un discorso a parte va fatto per la scrittrice di gialli Agatha Christie (1890 – 1976) che, intorno al 1930, adottò il nome d’arte di Mary Westmacott per firmare alcuni romanzi d’amore. Agatha Christie scrisse nella sua autobiografia che “voleva fare qualcosa che non fosse proprio il suo lavoro“. E così le venne quasi naturale scegliere un altro nome per esplorare un genere tanto diverso dai casi brillantemente risolti di Poirot e di Miss Marple.

– Per avvicinarsi alla letteratura contemporanea, emblematico è il caso dello scrittore Stephen King che, tra il 1977 e il 1984, pubblicò cinque romanzi sotto lo pseudonimo di Richard Bachman (Ossessione, La lunga marcia, Uscita per l’inferno, L’uomo in fuga e L’occhio del male). Fu una scelta fatta per testare la tenuta del pubblico e del mondo dell’editoria che gli aveva imposto di non dare alla pubblicazione più di un libro all’anno per non scoraggiare i lettori. Stephen King, per aggirare l’ostacolo, vide bene di cambiare casa editrice e di firmarsi con un altro nome, ottenendo anche un discreto successo di vendite. Quando l’inganno venne svelato, altrettanto brillantemente, Stephen King dichiarò la morte per cancro del suo pseudonimo, per poi onorarne la memoria in un suo romanzo.

Più recente la vicenda dell’autrice della saga di Harry Potter, J.W Rowling. La mamma del bestseller mondiale ha deciso nel 2013 di pubblicare, con il nome dell’esordiente scrittore Robert Galbraith il giallo The Cuckoo’s Calling (Il richiamo del cuculo) per sondare quanto il successo dei suoi libri fosse legato al nome che appariva in copertina. Buone le recensioni, meno il successo di pubblico, con una vendita di sole 1500 copie in tre mesi. Ma non appena è stata rivelata la vera identità della scrittrice, le vendite sono subito schizzate alla stelle e oggi parliamo già di milioni di copie vendute: un altro di quei casi nei quali il nome, nel bene e nel male, sembra essere divenuto garanzia di indiscusso successo.

Tanti altri gli pseudonimi della nostra letteratura che potrei fare. Qui, solo per ricordarne alcuni, cito Guillaume Apollinaire, Umberto Saba, Stendhal, per non parlare poi del labirintico mondo degli eteronomi di Pessoa o dei recenti esprimenti di scrittura collettiva, come nel caso di Sveva Casati Modigliani o della Wu Ming Foundation, collettivo di scrittori attivi dal 2000 provenienti dal Luther Blisset Project.

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Dietro ogni pseudonimo c’è una storia, un modo letterario che aspetta solo di schiudersi sotto i nostri occhi.

E se, come scritto dal portoghese Jose’ Saramago, “Sapere dove è l’identità è una domanda senza risposta”, allora certe volte la scelta di un nome d’arte può tradursi nel tentativo di decidere chi essere, almeno nel momento in cui, penna alla mano, si vestono i panni dello scrittore.

biancaBiancamaria Majorana

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