Composizione e sperimentazione di frammenti: il Decostruttivismo

L’andare oltre i confini della conoscenza e oltrepassare limiti e barriere ha da sempre affascinato l’uomo. Ciò in campo architettonico si traduce con il superamento delle aspettative sia estetiche che tecnologiche, così i principi della geometria euclidea, fondatori insostituibili della costruzione dello spazio fino alla metà del XX secolo, vengono superati, i suoi assi dimenticati e le dimensioni di orizzontale e verticale archiviate: si inizia a parlare di Decostruttivismo.

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F.Gehry, Guggenheim Museum, Bilbao

L’architettura, da sempre arte a tre dimensioni, va oltre queste stesse acquistandone delle nuove grazie al riemergere dell’astrazione e, congiuntamente, allo sviluppo dei nuovi miti della modernità: nasce un nuovo connubio di forma e significato che scopre nella ribellione, nella ricerca e nella sperimentazione i suoi fondamenti. Il rapporto tra forma, funzione e contenuto nel Decostruttivismo è liberato dalla tradizione, oltre alla scomposizione della forma sono proprio i rapporti strutturali ad essere smembrati.

Nel luglio del 1988 fu presentata una mostra organizzata da Philip Johnson al Moma di New York dal titolo “Deconstructivist Architecture” con i lavori degli esponenti di punta di tale “movimento”: P. Eisenman, F. Gehry, Z. Hadid, il gruppo Coop Himelb(l)au, R. Koolhaas, D. Libeskind e B. Tschumi.
Il Decostruttivismo non è un movimento definito, quanto piuttosto di un insieme di tendenze personali differenti dove comune risulta l’interesse per la tecnica e, soprattutto, per le opere dei Costruttivisti russi di inizio Novecento, dove l’unità viene infranta e la geometria superata, allo scopo di creare forme decomposte, frantumandone l’equilibrio.
Per i de-costruttivisti, per i quali la purezza formale non è che un ricordo, le forme sono asimmetriche e le linee non più rigide, come invece accadeva per il Razionalismo dove forma e funzione trovavano luogo in volumi generati da geometrie pure.

Zaha Hadid, Maxxi, Roma

Zaha Hadid, Maxxi, Roma. Fonte: dezeen.com

Jacques Derrida è conosciuto come il filosofo della decostruzione, fu il primo ad usare il termine “decostruttivismo”, del quale rifiutava l’uso inteso nel suo significato più banale che invece risultava consono se applicato al campo della letteratura e della filosofia; il suo lavoro si proponeva lo smontaggio dei testi e la loro inversione, narrando in maniera opposta concetti, significati e gerarchie.
Non si tratta, semplicemente, della tecnica della costruzione alla rovescia, come il filosofo afferma: «Essa non è semplicemente la tecnica di un architetto che sa
de-costruire ciò che è costruito, ma un’interrogazione che tocca la tecnica stessa, l’autorità della metafora architettonica e di lì costituisce la sua personale
retorica architettonica. La de-costruzione non è solo – come il suo nome sembra significare – la tecnica della costruzione alla rovescia, se essa sa pensare l’idea
stessa della costruzione. Si potrebbe dire che non c’è nulla di più architettonico della decostruzione, ma anche nulla di meno architettonico».

Degli esponenti principali solamente Eisenman e Tschumi riflettono le teorie di Derrida, mentre gli altri negano qualsiasi legame, collegandosi invece a diversi ambiti come arte, cinema, matematica, sociologia.

Il nuovo codice compositivo si propone di condensare le energie proprie della costruzione dell’edificio e di liberarle in spazi fluidi e leggeri, usando prospettive multiple e forme slanciate, per rappresentare nuove modalità di visione e narrare il mondo in chiave diversa.
Gli edifici vengono scomposti come da un’esplosione e i frammenti ricomposti, le forme vengono disturbate dall’interno producendo inquietudine che mette in dubbio proprio la stabilità, esprimendo volumi in evoluzione che si ribellano ai principi consueti della costruzione, proponendo un modello alternativo alle regole progettuali.

Cézanne fu il primo “de-costruttore” della forma nelle arti visive, distrusse il concetto di punto di vista unico, poi ripreso e sviluppato dal Cubismo: così diede fondamento al Decostruttivismo che nella brutalità dell’espressionismo e nella libertà gestuale dell’action painting trova la forza per liberarsi della forma predeterminata scegliendo i meccanismi della genesi della stessa per dar vita a un risultato costruito da una realtà che viene frammentata e ricomposta.

B.Tschumi, Parc de la Villette, Paris

B.Tschumi, Parc de la Villette, Paris. Fonte: Tumblr.com

Bernard Tschumi con il suo linguaggio eclettico ne rappresenta uno dei maggiori esponenti, il suo voler destabilizzare il rapporto tra forma, funzione e significato si fonda su disegni astratti con linee sinuose e coordinate.

Z.Hadid, Heydar Aliyev Center, Baku

Z.Hadid, Heydar Aliyev Center, Baku. Fonte: architecturaldigest.com

Zaha Hadid, ispirandosi al costruttivismo russo, rivela la volontà di creare dinamismo nelle forme, con schegge e piani, nelle sue opere architettura e scultura si fondono e si conquistano, il primo ricercando la sensibilità plastica del secondo.

F.Gehry, Guggenheim Museum, Bilbao

F.Gehry, Guggenheim Museum, Bilbao


Frank Gehry
progetta forma scultoree e plastiche con decostruzioni e perturbazioni, compenetrazioni di muri, pavimenti e soffitti, e l’uso di superfici concave e convesse.
Il suo famoso Guggenheim Museum di Bilbao dà vita a una nuova concezione dove il contenitore delle opere d’arte è esso stesso opera da ammirare.

P.Eisenman, Città della Cultura, Galizia

P.Eisenman, Città della Cultura, Galizia. Fonte: blogspot.it


Infine Peter Eisenman vuole investigare i meccanismi dell’architettura quasi come fosse un linguaggio, basandosi su frammentazione e astrazione, il suo intento è quello di liberare l’architettura da semplici considerazioni di funzione e contesto.

L’architettura decostruttivista si avvolge e si svolge su se stessa, realizzando volumi plastici basati su geometrie instabili, sfruttando torsione e piegamento dei materiali dalle tecnologie avanzate: ordine e disordine trovano luogo nella stessa costruzione.

Donatella Incardona

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