PISA – La serata del 22 febbraio ha visto il Cinema Arsenale riproporre la rassegna di proiezioni – fortunate, visto il sold out di ieri sera – chiamate I film della vita. Il professor Marco Santagata, ospite della serata, ha scelto per il pubblico dell’Arsenale Amarcord di Federico Fellini. Antonio Capellupo, responsabile della programmazione dello storico cineclub pisano, introducendo la serata ha detto che il ciclo I film della vita viene costruito attorno a personaggi rilevanti del mondo della cultura, dell’arte, della scienza che vengono chiamati ad introdurre un film della vita, un film che ha aiutato la propria crescita professionale e umana.
Marco Santagata, uno dei più importanti docenti di letteratura italiana, nonché scrittore e critico letterario, dall’alto della sua libertà, quella che fa riconoscere un vero intellettuale da uno dei tanti del branco, ha esordito con le seguenti parole: «Vi devo confessare che non sono un cinefilo, non sono un appassionato di cinema. Questo avviene – ha continuato Santagata – perché c’è una certa sudditanza del linguaggio cinematografico ad altri linguaggi non propri del cinema. Come il mimetismo che troppo spesso mi disturba, la ricerca della storia a tutti i costi, il fatto che tanti film nascono come trasposizione di romanzi. A me piace un po’ il cinema spazzatura. Dall’altro lato mi piace il cinema che inventa il suo linguaggio, il cinema che ha il suo linguaggio autonomo. E quindi mi piace Fellini». Il professore ha continuato cercando di analizzare i punti importanti della poetica felliniana, una poetica fatta di linguaggio, per l’appunto, cinematografico come ad esempio l’artificiosità esibita, vero marchio di fabbrica del maestro riminese.
La scelta di Santagata è ricaduta su Amarcord perché rappresenta un cinema che inventa il suo linguaggio ma anche perché – pur essendo il professore d’origine emiliana, e non romagnola come Fellini – c’è una componente autobiografica relativamente importante. Fellini ambienta Amarcord negli anni Trenta, anni che non sono poi così diversi dagli anni Cinquanta della prima giovinezza del professore: «Ci ho ritrovato molte cose che anche io ho vissuto: dalla neve, al matto in moto passando per il passaggio della Mille Miglia che è anche nella mia storia, esattamente come racconta Fellini nel film». Fellini, attraverso una propria stralunata aneddotica, parla il linguaggio della profondità dando voce all’inconscio e il professore individua nel film i momenti più alti, tra i più alti in assoluto della storia del cinema: l’apparizione del Transatlantico Rex nella notte e il pavone del conte che fa la coda durante la nevicata. Sono scene attraverso le quali «Fellini riesce a toccare l’assoluto, riesce a esprimere l’inesprimibile, sono momenti in cui il film, il cinema riesce a esprimersi con il suo vero linguaggio».
Una gradita sorpresa della serata è stata la presenza in sala di Bruno Zanin, l’attore che in Amarcord interpretava Titta. Zanin, dopo Amarcord, ha continuato a lavorare nell’ambito del cinema e del teatro in maniera non troppo ossessiva, ma ha comunque collaborato con Strehler e Ronconi, ha lavorato in film e sceneggiati durante tutti gli anni Settanta e gli anni Ottanta. «Bisognerebbe che gli attori venissero ammazzati e messi dentro una teca di cristallo perché poi vivi, diventi vecchio, ti guardano e ti dicono “ma tu sei quello che hai fatto Amarcord”?». Questo l’esordio ironico e allo stesso tempo amaro pronunciato da Zanin appena chiamato da Santagata e Capellupo. Le sue parole hanno delineato un Fellini dall’occhio medianico, un Fellini che cercava nei personaggi quello che lui aveva già in testa, e se i personaggi non erano tali cercava di trasformarli completamente.
Zanin ha raccontato che si era presentato a Cinecittà per tentare di essere preso a fare la comparsa in un western. Dopo essere stato scartato da questa selezione vide una lunga fila di giovinetti che tentavano la fortuna per entrare nel cast di Amarcord. Lui, che tanto giovinetto non era più (22 anni), riuscì nell’impresa di mentire di fronte ad un altro grande bugiardo e così il ruolo di Titta, il ruolo più autobiografico della filmografia di Fellini, fu affidato a Bruno Zanin. Certo, Amarcord è il suo film più autobiografico, ma Fellini, sempre in prima fila nello sparigliare le carte in tavole, si è sempre smarcato da questa volontà ossessiva della verosimiglianza, tanto da non distinguere più «quello che è veramente accaduto da ciò che mi sono inventato. Al ricordo vero si sovrappone il ricordo dei fondali dipinti, del mare di plastica, e i personaggi della mia adolescenza riminese vengono come spinti via a gomitate dagli attori o dagli altri personaggi che li hanno interpretati nelle ricostruzioni scenografiche dei miei film».
- “Il cinema dipinto”, l’arte pittorica e cinematografica di Enzo Sciotti - 22 Settembre 2017
- L’anarchia antifascista di Giannini e Melato nel classico della Wertmüller - 21 Agosto 2017
- I Rhapsody con il loro tour d’addio alla Festa dell’Unicorno - 22 Luglio 2017