Punzo regista e fondatore della Compagnia della Fortezza, una vita tra teatro e carcere
A conclusione del percorso “Verso Genet” promosso dal Teatro Verdi e dal Comune di Pisa ed in attesa di vedere “Santo Genet” spettacolo d’apertura della stagione di prosa del teatro, incontriamo Armando Punzo regista e fondatore della Compagnia della Fortezza al quale rivolgiamo alcune domande.
Siamo alla fine del percorso “Verso Genet” che ha coinvolto complessivamente oltre 300 persone, ci sono stati incontri, presentazioni, lectio magistralis, vorremmo chiederTi che cosa pensi che questo progetto abbia dato alla città di Pisa e che cosa a dato a te e alla Compagnia?
Questa idea di Pisa è stata senza dubbio un’idea importante e ben congegnata, per permettere a chi è curioso di avere più strumenti per avvicinarsi a noi. Come metodo è molto importante, per non affidarsi solo all’evento ma accompagnarlo. A me ha dato la possibilità di riflettere ancora di più sul mio lavoro, penso alla lezione alla Normale ad esempio, mi ha permesso di fare il punto sul mio lavoro. Credo che chi ha partecipato al percorso oggi abbia più strumenti per affrontare questo Santo Genet.
Abbiamo visto pochi giorni fa l’azione scenica di “Mercuzio non deve morire”. Penso allo spettacolo, in cui decine e decine di persone di semplici cittadini urlano nelle piazze questa frase e mi scatta un’associazione di idee… La Compagnia della Fortezza non deve morire. Quest’anno Santo Genet che tu stesso hai definito più volte come un manifesto della Compagnia. Come riesci, quindi, così spesso, a creare questa sorta di simbiosi tra i testi che metti in scena e voi, considerando tra l’altro che i testi non sono tuoi?
E’ vero che un testo è scritto manualmente da qualcuno, ma, io credo che fondamentalmente i testi siano scritti da tutti quanti noi, dalla realtà, nel senso che qualcuno poi viene spinto materialmente a mettere sulla carte le parole ma è la realtà di tutti noi che le forgia. Dall’altra parte possiamo anche dire che in realtà noi scegliamo da quali parole farsi attraversare.
Dalle parole di Aniello Arena, alla presentazione dei libri all’ SMS di due giorni fa, ed anche da altre interviste ad altri detenuti-attori della Compagnia ci rendiamo conto che parlano di Armando Punzo come di una persona carismatica che è riuscito a coinvolgerli in questa esperienza grazie ad una forte personalità, una persona non sostituibile. Ti senti più un regista o un leader?
Una volta Aniello Arena disse che io ero i capobranco di questi lupi. Quando fai questo lavoro tu sei portatore non solo dello spettacolo che metti in scena, evidentemente si sconfina nel vissuto ed io metto in gioco ed in discussione sempre la mia vita, ed è quello che chiedo di fare anche a loro. Tutti quelli che lavorano con me devono mettersi in gioco, ragionare su di noi, su loro stessi. Questa è la meraviglia del teatro, è una fortuna enorme che ci è concessa facendo questo lavoro. Quindi alla fine, si crede di essere tutto ciò, tutte e due le cose.
Il carcere oggi è rimasto l’unica vera istituzione totale (l’ospedale lo è temporaneamente). Come sappiamo questa ha come prima caratteristica quella di spersonalizzare gli individui, togliere loro l’identità. Tu con il tuo lavoro rendi a ciascuno di loro una identità ed in alcuni casi fai riscoprire, porti in superficie una forte personalità. Pensi che possa essere questo che fa paura ai detrattori della Compagnia a coloro che vorrebbero fermarla?
Devo dire che mi preoccupa un po’ il fatto che le persone leghino la propria identità alle loro cose materiali, questo la dice lunga su ciò che pensiamo di noi e della nostra identità, ma, vorrei dire fondamentalmente che quello che fa davvero paura è qualcosa che le persone non riescono a comprendere, ad afferrare. Quello che faccio io non è tanto di dare un’identità a chi lavora con me, io cerco di togliere la nostra identità . La base del teatro è questa: cercare di eliminare la tua identità, il tuo mondo, la tua filosofia. Io non porto loro in scena, al limite sottraggo loro dalla scena del sociale, così come tanti anni fa ho cercato di togliere me dalla mia scena sociale, che già allora non mi piaceva, e non mi piace ancora. E’ vero che il teatro “apparentemente” ti espone e questo forse è ciò che vedono i detrattori della Compagnia, si fermano ad una lettura superficiale. Sembra loro che i detenuti-attori salgano in cattedra, ma trovo che questa sia una falsa lettura. Probabilmente, però, chi si ferma a questo è perchè in realtà non ha gli strumenti per dare una giusta lettura.
Ultima e classica domanda: Progetti futuri? che cosa ci dobbiamo aspettare i prossimi anni?
Potrei dire qualcosa che potrebbe esser smentito tra pochi mesi, al momento siamo tornati a lavorare su tutti i personaggi mancati di Shakespeare, cercano in tutta la sua opera. Un lavoro complesso e impegnativo, vedremo.
Ringraziamo Armando Punzo per averci concesso questa intervista e aspettando di vedere “Santo Genet” in teatro, gli facciamo i migliori auguri affinchè il progetto di trasformare la Compagnia della Fortezza in Teatro Stabile si realizzi quanto prima.
Maf
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