Nel 2015 il Word Press Photo, prestigioso contest internazionale di fotogiornalismo, ha decretato, tra i suoi vincitori, il fotografo italiano, Massimo Sestini, grazie a una foto scattata il 7 giugno del 2014. Soggetto: un barcone carico di profughi intercettato a circa 25 chilometri dalle coste libiche dalla Marina Militare Italiana nell’ambito dell’Operazione italiana Mare Nostrum (oggi sostituita con l’Operazione europea Triton). L’immagine, dal notevole impatto comunicativo, ha fatto subito il giro del mondo, imponendosi come scatto fortemente iconico nella narrazione del dramma dell’immigrazione.
Oggi l’immigrazione verso l’Europa costituisce un fenomeno di grande complessità, la cui urgenza è all’ordine nel giorno nell’agenda europea e la cui crucialità, per le sorti future dell’Unione, è oramai sotto gli occhi di tutti.
In questo scenario, la foto di Massimo Sestini, appare quanto mai attuale, immagine – icona di un realtà che oggi, ancora più che nel 2014, percepiamo come una questione che ci interessa tutti tanto come individui che come cittadini europei.
Ma Massimo Sestini non si è fermato a quella foto di un’estate di due anni fa; il suo lavoro di ricerca è proseguito, prendendo forma in un progetto dal titolo “Where are you?”. E proprio di questo progetto Sestini, insieme alla giornalista Marianna Aprile, ha parlato nel corso di un interessante panel svoltosi nel corso dell’ultima edizione del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia.
Massimo Sestini, nato a Prato nel 1963, tra i più importanti fotografi del nostro giornalismo, è infatti anche uno di quelli che non si accontenta mai di quello che fa, come dimostra questo suo ultimo lavoro, nato dalla foto vincitrice al Word Press Photo, a partire una serie di scatti realizzati nel corso dell’operazione Mare Nostrum, effettuata dalla fregata Bergamini della Marina Militare Italiana. La foto e il suo spin – off, “Where are you?”, sono lo specchio della qualità del lavoro di un fotografo che ha fatto dell’importanza di creare un punto di vista differente la cifra del suo mestiere e, in questo caso, anche l’antidoto a una certa assuefazione allo scempio dell’emigrazione.
Where are you? è per l’esattezza un lavoro a lungo termine con il quale Sestini si è messo alla ricerca dei migranti di quel barcone fotografato due estati fa, al fine di farne un ritratto oggi, di raccontarci cosa è successo a quelle persone dopo aver lasciato la loro terra. In questa operazione è stato ed è prezioso il supporto e il contributo ricevuto a livello mondiale da molti giornali, dai social media e dalle televisioni, grazie a cui, dei cinquecento presenti su quella barca, ne sono stati rintracciati già 40. Per facilitare la ricerca è poi aperta a tutti la possibilità di segnalare a Massimo Sestini l’ eventuale riconoscimento di uno di quei migranti al fine di facilitarne il lavoro di ritrovamento e di creazione di un racconto per immagini delle storie attuali.
Ma come è nata la foto dalla quale è iniziata questa ricerca?
La foto era stata immaginata già l’anno precedente al suo scatto, con l’idea di capire quale sarebbe stata la reazione di una barca o un gommone qualsiasi pieno migranti laddove avesse incontrato improvvisamente un elicottero sopra la sua testa. Probabilmente l’esito sarebbe stato quello di vedere delle persone felici e con le braccia sollevate in aria, in quella che il fotografo credeva sarebbe stata la più grande foto di gruppo della sua carriera.
Ma per ottenere questo tipo di foto, che Sestini voleva non solo aerea ma realizzata secondo una prospettiva perfettamente zenitale, era fondamentale giocare sull’effetto sorpresa, il che significava fattivamente realizzare, fin dal primo scatto, la foto perfetta, senza margine di errore. D’altronde la scelta di un punto di vista così preciso rientrava nella volontà del fotografo di ottenere uno scatto nel quale il mare apparisse come il passe-partout dell’immagine e la barca come il raccoglitore del dramma delle migrazioni, all’interno del quale però quei migranti, alla vista di un aereo sopra la loro testa, avrebbero alzato immediatamente il volto all’insù, felici per l’imminente salvezza.
Come ottenere lo scatto perfetto?
La prima cosa da fare era quella di salire su uno degli aerei che si occupano dei soccorsi in mare dei migranti. Di solito un elicottero, come quello da cui Sestini ha scattato la sua foto, in presenza di condizioni meteo favorevoli, si alza in volo dalla nave nel momento in cui arriva una chiamata, precedendo l’arrivo dei soccorsi via mare (che spesso si trovano a 40/50 miglia di distanza) con il fine di monitorare le condizioni del barcone segnalato, senza però la facoltà di un intervento diretto. Una volta in volo però, per realizzare una foto zenitale,come se l’obiettivo della macchina fosse l’occhio di un satellite che guarda in perpendicolare dall’alto, era fondamentale coordinare la maestria del fotografo con l’abilità del pilota.
Un’alchimia complicata da ottenere, connessa alle condizioni meteo, alla bravura dei piloti e alle difficoltà operative da parte del fotografo che, agganciato esternamente all’elicottero, deve cercare di comunicare via cuffia con la cabina di pilotaggio. Proprio la difficoltà di raggiungere questo equilibrio non ha permesso subito di ottenere scatto desiderato; ma questo non ha dissuaso Sestini dal suo intento. Così l’anno successivo ha ritentato in concomitanza con la realizzazione del calendario della Marina Militare; questa volta con successo, nonostante le difficoltà. Dopo dieci/undici giorni in cui il forte vento non ha permesso all’elicottero di volare, finalmente, quando le speranze erano quasi perse, il dodicesimo giorno è arrivata una chiamata e i piloti si sono alzati in volo.
La forza doi questo scatto perfetto di Sestini sta nella capacità di unire la tecnica e un forte impatto emotivo: è evidente come nulla sia stato lasciato al caso e come, dietro a questa foto, ci sia un enorme lavoro di preparazione, a prima vista molto diverso da quello che ci immaginiamo pensando al prototipo del fotografo-paparazzo.
Il che in parte è vero, ma non del tutto. Lo stesso Sestini ha infatti iniziato la sua carriera, prima da giovane fotoamatore, rubando, negli anni del liceo, i primi scatti tra le spiagge di Forte dei Marmi e poi come paparazzo, realizzando alcuni scatti celebri, come il primo due pezzi reale con la foto Lady Diana in bikini nel 1991. Un bell’addestramento in cui ha potuto apprendere abilità che il reportage tradizionale non insegna, come la capacità di arrangiarsi sempre e comunque per raggiungere l’obiettivo desiderato. Partendo da questo background, inizia a occuparsi a di cronaca prima divenendo il riferimento per la copertura fotografica della città di Firenze e della regione Toscana e poi cominciando a rivolgere lo sguardo anche allo scenario internazionale. Da qui inizia la sua brillante carriera di reporter, portando con se l’insegnamento di «non fermarsi mai davanti a quello che sembra impossibile, perché anche nel giornalismo più approfondito, come quello d’inchiesta, le immagini che funzionano davvero bene sono quelle che nessuno può immaginare che si possano fare o quelle che vanno a toccare qualcosa di veramente indiscreto».
E in effetti ciò che caratterizza la fotografia di Sestini, tanto come fotoreporter quanto come paparazzo, è proprio questa costante ricerca di un punto di vista differente, qualità aggiunta e tratto distintivo del suo lavoro. Ciò può rendere diversa e unica una foto che altrimenti potrebbe essere simile a tante altre. E molti sono gli scatti di Sestini, soprattutto di cronaca nera, che testimoniano la forza visiva della ricerca di «un occhio alternativo»: l’apertura della Porta Santa in Piazza San Pietro in occasione dell’ultimo Giubileo, i funerali delle vittime del terremoto dell’Aquila, la Strage di Capaci del 1992, dove il giudice Giovanni Falcone, sua moglie e la scorta persero la vita, l’omicidio del giudice Paolo Borsellino in via d’Amelio, il G8 di Genova del 2001, i funerali del 2005 di Papa Giovanni Paolo II, i funerali di Filippo Raciti, solo per ricordarne alcuni.
Ovviamente dietro ogni foto c’è una sua storia, un escamotage per realizzarla. Per esempio, la foto che ritrae le bare allineate delle vittime dell’Aquila, è stata possibile perché Sestini è riuscito a eludere il divieto di sorvolo imposto quel giorno, alzandosi al di sopra dell’altezza sottoposta a interdizione; similmente, per il chiacchieratissimo matrimonio di Tom Cruise al castello di Bracciano, è riuscito ad aggirare il Notam aereo, arrivando laddove nessuno è potuto arrivare.
Tra tanti scatti riusciti, c’è però una foto che Sestini ha ammesso con rammarico di non essere riuscito a scattare, ovvero la partenza del relitto della nave Costa Concordia dall’Isola del Giglio, essendo stato impossibile, in quel caso, eludere il divieto di sorvolo aereo imposto tra il Giglio e Genova.
Dalle parole ma soprattutto dalle immagini di Sestini emerge la qualità di un fotografo e di una fotografia la cui forza sta nel saper superare costantemente i propri limiti. E oggi, nel mondo della rete, dove tutti possono fotografare tutto, forse «fare qualcosa che non possa essere fatto da tutti gli altri potrebbe costituire di fatto l’unica vera arma ancora a disposizione del fotografo per difendere la proprietà intellettuale dei suoi scatti e della propria categoria professionale».
Biancamaria Majorana
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