Il violino secondo Claudio Rampini

Claudio Rampini, classe 1960, appartiene a una delle più nobili stirpe di artigiani: quella dei liutai. La liuteria italiana, in particolare la cosiddetta scuola cremonese, rappresenta una fase storica fondamentale per quanto concerne la realizzazione degli strumenti musicali della famiglia – appunto – dei liuti, i cui membri si dividono in strumenti ad arco (violino, viola, violoncello ecc.) e a pizzico (tra cui chitarra, liuto e mandolino), e Rampini è estremamente legato alla scuola italiana, dato che nel corso della sua formazione ha approfondito lo studio degli strumenti della classicità cremonese e in particolare la forma stradivariana. Fino al 2008 ha svolto la propria attività nella sua bottega a Pisa, dopodiché si è trasferito prima nel comune laziale di Castel Madama e attualmente risiede a Tivoli.
In questo mestiere, come in tutti quelli legati all’artigianato, la conoscenza e l’uso sapiente dei materiali è particolarmente importante e nell’intervista che ha generosamente scelto di accordarci ci racconta, passo passo e con molta attenzione alle materie prime e alle varie tecniche impiegate, come nasce un violino.

Da quanto tempo di occupa di liuteria e dopo quanti anni di apprendistato ha costruito il suo primo violino?
Ho cominciato da autodidatta nel 1984 semplicemente come studente di violino, insomma da appassionato. All’epoca mi trovavo ad aver bisogno di un violino migliore di quello che avevo a disposizione e, dato che la mia insegnante – Rita Bacchelli – aveva diversi libri sull’argomento, ho deciso di costruirmene uno da solo. Il primo violino mi ha richiesto diversi mesi di lavoro e poi ho iniziato a costruirne altri fino al 1987, anno in cui ho dovuto “sospendere” i miei rapporti con la liuteria a causa del servizio militare. Una volta rientrato, ho deciso che la liuteria sarebbe diventata il mio lavoro. Da autodidatta, ho avuto molti incontri importanti, soprattutto a Cremona (uno su tutti Francesco Bissolotti), ma nonostante questo non ho mai seguito una scuola vera e propria, anche perché in questa professione non si finisce mai di imparare, di evolversi, di cambiare idea o di tentare nuove strade. È essenziale investire in questo lavoro molto tempo, molta pratica e non lasciarsi sfuggire i buoni consigli e, alla fine di tutto questo lavoro, bisogna misurare la “distanza” tra il primo strumento prodotto e l’ultimo. L’ultimo strumento deve parlare chiaro, deve essere evidentemente migliore di quello prodotto in precedenza.

I materiali in che percentuale incidono sulla qualità del lavoro?
Ammettendo di avere materiale di prima qualità? Il 10%. Il restante 90% dipende tutto da come questo materiale viene usato: io creo violini da più di trent’anni, se dovessi gareggiare con un principiante questo non avrebbe speranze. Avere a disposizione del buon materiale è importante, sicuro, ma è altrettanto importante sapere come usarlo.

Quanti tipi di diversi materiali occorrono per la nascita un violino?
Per creare un violino servono legno, colla e vernice. I legni che usiamo sono due: l’abete rosso e l’acero dei Balcani, sono proprio i legni che gli conferiscono quel tipico suono italiano.
La colla è una colla animale, ottenuta da scarti di macelleria (soprattutto pelli e cartilagini animali): questi scarti vengono sottoposi a procedimenti di bollitura e raffinatura, dopodiché si eliminano le parti grasse, il composto viene lasciato asciugare e alla fine rimane questa sostanza collosa e molto tenace, la si usa anche in altri settori, come in pittura e nelle botteghe di restauro: gli incollaggi realizzati con questa colla hanno la peculiarità di essere resistenti ma anche reversibili, difatti basta un po’ d’acqua e di pazienza, dopodiché la colla si ammorbidisce e si stacca. Si tratta quindi di un incollaggio resistente ma che consente allo strumento di poter vibrare uniformemente (insomma, avete capito: il vinavil non va bene).
Per quanto riguarda la vernice, in questo caso ci si rifà alla tradizione: vengono impiegati olio di lino, pece greca e varie resine. È proprio la tradizione a insegnarci come mescolarli con processi di cottura con una resa altissima (per un violino meno di 10g!) in modo da non andare ad appesantire lo strumento.

Parliamo del legno: qualsiasi tipo di legno può essere impiegato per la cassa armonica di un violino?
Come già detto, è fondamentale l’abete rosso, che viene impiegato per la tavola armonica. Nella mia esperienza il legno suona tutto, ma se si vuole un risultato ottimale è necessario una pianta vecchia dal diametro di 60-80 cm, sana e con un legno di densità medio-bassa, solitamente nata in una quota di 1500-1800 metri in un terreno sassoso. Non importa che la venatura sia stretta o larga in valore assoluto, deve essere proporzionata allo strumento: un violino necessita una venatura più stretta, un violoncello una più larga. Il legno per la tavola va tagliato nel periodo giusto, va saputo tagliare e stagionare per ottenere da questo la miglior qualità possibile.
L’acero dei Balcani, invece, viene usato per il fondo e per il manico e possiede una differenza fondamentale: da solo non suona. È un legno bianco (come l’abete), a pasta uniforme e durezza consistente, scelto soprattutto per la bellezza delle sue marezzature, oltre che per la sua capacità meccanica di elasticità e leggerezza, sicuramente superiori rispetto ad altri tipi di legno. Un ottimo esempio della sua resistenza e versatilità è il fatto che i remi delle galere veneziane erano realizzati in acero, così come le eliche degli aerei della Prima Guerra Mondiale.

Un altro materiale indispensabile è il tempo: quanto ne occorre per costruire un violino?
Il tempo si traduce in esperienza. Solitamente ci vogliono dai due ai tre mesi. I nostri ritmi sono ancora quelli di una volta, ma il tempo più che sugli strumenti vale sul liutaio: i miei strumenti di 25 anni fa avevano certi limiti che poi ho superato.

Come si diceva anche prima, conta molto anche la mano di chi crea: quanto influisce poi sul risultato finale l’impostazione di ogni liutaio?
La mano è importante ma non è solo bravura nel maneggiare gli attrezzi e lavorare i materiali. Ci sono tanti liutai che non suonano i propri strumenti e se a ciò si unisce il fatto che il liutaio non frequenta sale da concerto o teatri, i risultati non sono buoni (e, per quanto incredibile possa sembrare, questa situazione si verifica spesso). Si vedono troppo pochi liutai ai concerti, ed è impensabile che chi costruisce strumenti musicali non abbia passione e gusto per la musica. Molti liutai stanno semplicemente chiusi in laboratorio, focalizzandosi sulla realizzazione dello strumento, ma un violino lo si suona in due, perché si tratta di un lavoro iniziato dal liutaio e completato poi dall’esecutore. Inoltre il buon liutaio deve avere una sa cultura musicale e uno spirito storico filologico. Noi liutai italiani discendiamo tutti da Cremona e il vero segreto della liuteria cremonese è il suo spirito musicale superiore.

Qual è il segreto del suono dei grandi violini classici del passato?
Questo è un discorso controverso. Si può anche capovolgere: secondo lei i pittori di oggi sono bravi quanto Caravaggio? Ogni opera d’arte, un violino come un dipinto, è figlia del proprio tempo: nei Sei-Settecento si è avuta una particolare convergenza (probabilmente unica) che poi ha prodotto un certo tipo di violino su cui si è successivamente costruita la letteratura mondiale. Certi accadimenti possono percorrersi una sola volta nella storia, ma è anche vero che generano tradizioni: Toscanini, ad esempio, nelle sue orchestre voleva solo viole italiane e questo resta nel nostro spirito e il passato è uno stimolo continuo a proseguire nella nostra tradizione, nella nostra qualità.

Photocredit: Claudio Rampini

lfmusica@yahoo.com

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