Venezia 71° edizione…

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Il cinema dietro lo schermo

Ecco a voi un aggiornamento per il numero di Ottobre di Tuttomondo dedicato all’ultimo Festival del cinema di Venezia.
L’articolo era stato pensato per uscire assieme agli altri di Settembre, ma, inaspettatamente, la mia capacità di trovare parole giuste ed esaurienti sulla mia esperienza a Venezia si è rivelata più difficile del previsto.
Quest’ anno ho avuto l’onore e il privilegio di far parte della Giuria Venezia classici, la quale, per il secondo anno consecutivo, ha visto studenti universitari, provenienti da tutti gli atenei d’Italia, assegnare un premio al miglior film classico restaurato e al miglior documentario dedicato al cinema.
Gli Atenei di 14 università italiane (DAMS e affini) hanno selezionato due ragazzi ciascuna, secondo criteri di merito, per prendere parte, come giurati, al festival di Venezia e tra questi c’ero anche io.
E così ventisette giovani studenti si sono trovati catapultati nell’affascinante (e per me sconosciuto) mondo di uno dei festival più prestigiosi del mondo.
E’ stata un’ esperienza incredibile rispetto alla quale, ritornata nella mia quotidianità, trovo difficoltà a farne un resoconto che non appaia banale o che sminuisca il valore di aver visto il festival dal di dentro, dalla prospettiva degli addetti ai lavoro (passatemi il termine).
Di queste grandi vetrine internazionali spesso i mass media ci restituiscono solo l’aspetto ludico, le luci, il red carpet, le star che sfilano con abiti sfavillanti, tra le urla acclamanti dei fans, che si agitano per ricevere un autografo o scattare una fugace fotografia al loro beniamino.
Certo si parla anche di films, ma spesso dei soliti noti, tralasciando purtroppo di dare il giusto spazio a molti films italiani e stranieri di assoluto valore perchè fuori dai circuiti della grande distribuzione commerciale.
Anche io, guardando Venezia da casa, ho sempre avuto l’impressione di essere davanti ad un mondo dorato, lontano, intangibile, al quale potevano avere accesso solo pochi eletti.
Certo il festival un pò dorato lo è (giustamente), ma non è così intangibile e irraggiungibile come credevo.
Le luci, i sorrisi smaglianti dei divi, le feste e i party esclusivi, sono solo l’esteriorità di un mondo stimolante e creativo, espressione di una rassegna, dove il cinema è la vera parola d’ordine e dove è il lavoro di molte persone competenti e appassionate a garantirne la riuscita e il suo successo edizione dopo edizione.

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Il festival lo fanno i suoi organizzatori, dai vertici fino alle hostess che accompagno gli spettatori in sala, lo fanno le migliaia di giornalisti, accorsi da tutto il mondo, con le loro macchine fotografiche per immortalare la bellezza del cinema, lo fanno i registi, gli sceneggiatori, gli operatori di macchina e sopratutto gli amanti del cinema, che popolano, numerosi, il lido.
Vogliamo la tanto odiata spendig rewiew, ma comune è l’opinione nel costatare, come quest’anno, il festival abbia abbandonato eccessi, sfarzi e vita mondana, per dare più spazio al cinema e ai films, con sale gremite di spettatori.

Ma veniamo alla mia esperienza di giurata.
Ventisette studenti, amanti e studiosi di cinema, hanno lavorato, con impegno ed entusiasmo, per dodici lunghi giorni al fine di assegnare il premio al miglior classico e al miglior documentario dedicato al cinema.

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Impresa ardua che, dopo 21 proiezioni di film e 10 documentari, per un totale di almeno 60 ore di visione, accese discussioni e pareri divergenti, ha visto assegnare la vittoria ad una “Giornata particolare” di Ettore Scola (1976), interpreti una straordinaria Sophia Loren e un eccezionale Marcello Mastroianni e per i documentari ad “Animata Resistenza”, lavoro dedicato alla vita di Simone Massi (animatore e illustratore di fama internazionale nonché grafico ufficiale del Festival di Venezia).
Questo il verdetto finale che ha visto l’assegnazione dei relativi premi sabato sera durante la serata ufficiale di chiusura del Festival.

Le cose da dire su questi giorni e sul mondo che anima il Festival, sono tali e talmente tante, che non credo che lo spazio qui a disposizione basterebbe.
Ciò mi costringe, a malincuore, a fare delle scelte e così, in vista di questo arduo compito, ho deciso, di descrivere il festival, raccontando la giornata tipo di una giurata Venezia classici.

Iniziamo con ordine.
Venerdì mattina, come sempre, la sveglia implacabile squilla alle 7:00.
La stanchezza si fa sentire e, dopo un settimana di proiezioni, conferenze stampe, pasti veloci e poche ore di sonno, gli sguardi assonnati a colazione sono palpabili sui volti di tutti.
Ma l’euforia per quest’ avventura è troppa e ogni stanchezza viene messa da parte davanti ad un’ altra giornata full time.
Colazione a San Servolo, l’isola in cui alloggiamo, ad una sola fermata dal lido di Venezia, e poi tutti pronti per prendere il primo vaporetto della mattina.
Oggi la giornata sarà intensa, con il nostro planning settimanale alla mano e muniti di brochure con proiezioni e orari, vediamo che la mattina ci riserva due films: ore 9:00 Sala Volpi (il festival ospita molte sale cinematografiche: la Sala Volpi, Casino, Perla, Sala Grande, Darsena) “La Cina è vicina di Bellocchio, durata 108′, a seguire “A zonzo per Mosca”, commedia lirica sovietica, durata 78′.
Nel pomeriggio riprendiamo con due film, questa volta, in sala Pasinetti: ore 15:00 “Mouchette” di Bresson, durata 82′, a seguire “Umberto D.” di De sica – Zavattini, durata 89′.
La giornata si concluderà alle 22:00 in Sala Casino con il documentario “Giulio Andreotti – il cinema visto da Vicino” durata 95′.
Tutti pronti per il vaporetto delle 8:25.
Dobbiamo radunarci un quarto d’ora prima della proiezione per prendere le presenze e accomodarci in sala, tutto sotto la stretta supervisione della nostra responsabile Sophie, la quale, per tutta la durata del festival, sarà il nostro contatto per ogni esigenza.
Firme prese, c’è tempo per fare un salto a prendere i fogli con gli arrivi e le conferenze stampa della giornata.
Saliamo di corsa lo scalone dell’edificio centrale, prendiamo il necessario e, con il nostro inseparabile pass al collo (la nostra chiave d’accesso ai luoghi proibiti del festival), entriamo in sala. Io e Lorenzo, il mio compagno di visione preferito, ci accomodiamo nelle file centrali per garantirci la possibilità di improbabili allungamenti delle gambe e per camuffarci meglio nel caso in cui qualcuno di noi si abbandonasse ad un micro sonno.

Parte la voce della speaker, che invita i presenti a spegnere i telefoni cellulari, buio in sala, parte la sigla del festival, titoli di testa e che il film abbia inizio.
Ottimo restauro per Bellocchio e film decisamente interessante.
Prima della prossima proiezione, abbiamo 40 minuti di libertà.
Piano d’azione chiaro: caffè anti sbadiglio e una volata allo storico Hotel Excelsior, luogo di incontri stellati e di raccolta riviste (ogni giorno l’hotel mette a disposizione degli ospiti riviste e giornali di settore).
L’hotel excelsior, resort 5 stelle lusso, con incredibile affaccio sul mare del lido, è punto di appoggio per coloro, attori, registi, giornalisti, che prendono parte al festival, non che luogo di appuntamento immancabile per chi voglia scovare qualche volto noto, ospite dell’albergo.
Nei giorni del festival, l’ Hotel è affollatissimo tra ospiti, curiosi e le diverse postazioni radiofoniche, collegate in diretta con il Festival.
Quest’anno l’Excelsior ospitava il centro Istituito Luce e una postazione di radio Rai 3, nonché lo stand Martini, uno degli sponsor della rassegna.
Durante il Festival, la splendida location dell’albergo (una delle terrazze dell’hotel è stato il set per una pranzo del film “C’era una volta in America” di Sergio Leone) diviene più che mai suggestiva.
Basta varcarne la soglia per respirare ovunque aria di cinema, imbattersi in volti conosciuti, in fotografi, giornalisti e critici.

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 Ma torniamo a noi, è tardi, bisogna affrettarsi.

All’ingresso dell’Hotel, due guardie del corpo permettono l’accesso solo a chi sia munito di pass al collo. Io lo esibisco con orgoglio (mi fa sentire un pò importante) ed entro nell’infernale tamburo dell’ingresso, che scorre troppo veloce per chiunque cammini a passo umano.
Supero la hall, fatta di stucchi, specchi e legni pregiati e arrivo nella sala adiacente l’esterno.
I tavoli, collocati al centro, sono pieni di riviste ovviamente dedicate al cinema: Ciak, Cinematografo, Hollywood).
Prendo quelle che mi interessano, le metto nella shopper, regalata dal festival, assieme al catalogo della mostra, mi affaccio fuori per un giro di ricognizione ma senza incontrare nessuno di rilievo e dietro front, pronti per la seconda proiezione della mattina.
Eccoci tutti in sala arrivare alla spicciolata. Speaker, buio in sala, silenzio e che un’altro film abbia inizio.
La stanchezza ed un leggero languore inizia a farsi sentire, ma il film è un piccolo gioiello della cinematografia russa e non mi lascio sfuggire una frase (tutti i film sono in lingua originale e sottotitolati in italiano, il che rende di certo più impegnativo seguire con attenzione).
Finita la proiezione, applauso in sala. Noi giurati ci alziamo e usciamo.
Abituarsi alla luce del sole (finalmente oggi non piove!), dopo tante ore di buio, è sempre fastidioso.
Sophie ci aspetta all’uscita per ricordarci che alle 15.00 c’è la riunione ricognitiva con il nostro presidente di giura, il regista Giuliano Montando.
Abbiamo un ora e mezzo di pausa. Ci dividiamo, fra chi rientra in albergo per riposare un pò e chi decide di occupare la pausa con una conferenza su un film in concorso, con attori e registi presenti, e chi, come me, decide di ristorarsi al Village.
Prendo l’ascensore. Insieme a me, ci sono evidentemente due giornalisti che, con le occhiaie agli occhi, si dicono tra loro che, dopo questi duri giorni di lavoro, ci vuole decisamente una bella bevuta liberatoria per festeggiare.
Mi viene da sorridere perché capisco bene la loro stanchezza, accumulata fra orari improbabili e rincorse per strappare interviste agli ospiti del festival.
Arrivo al Village, oggi non è troppo affollato, mi dirigo al self – service per pranzare, scelgo e tiro fori i miei coupon (buoni pasti), anche questi un benefit concesso dal mio status di giurata.
Ad essere sinceri, l’aspetto enogastronomico, è stato il più carente del festival: porzioni piccole, scarsa qualità e prezzi decisamente esosi, ma per il cinema si sopporta tutto.
Finito di pranzare, un’ altro caffè è d’obbligo e ovviamente altro giro di perlustrazione all’Hotel Excelsior.
L’hotel è affollatissimo per pranzo e ho modo di vedere Zingaretti che di corsa sale in camera, mentre Carlo Verdone non esita a concedersi ai fans.
Il sole splende e il mare è di un azzurro intesto, sarebbe bello sedersi in terrazza a bare un drink.
Ma il tempo stringe ed è ora di avviarsi per la riunione di giuria.
Siamo soliti confrontarci in una sala nell’edificio centrale. Anche oggi ci sediamo tutti in cerchio, block notes alle mani, in attesa dell’arrivo del Regista Montaldo e del vicedirettore del Festival.
Al solito gli animi si accendono e gli spiriti si scaldano.
Abbiamo pareri molto differenti, divisi tra chi di noi privilegia l’aspetto tecnico del restauro, chi il contento, chi l’attualità del film in concorso.
Il nostro presidente non vuole condizionarci, ma solo indirizzarci verso una scelta che unisca l’aspetto estetico alla capacità del film di toccare le nostre corde emotive più profonde.
Ogni previsione sul vincitore è in ogni caso ancora azzardata e per ora, dopo un giro di votazioni, siamo riusciti ad eliminare, dalla rosa dei candidati al premio finale, alcune delle pellicolare finora visionate.

Terminata la riunione, tutti in sala fino alle 18:00.
Le proiezioni del pomeriggio sono sempre più faticose da seguire a causa della stanchezza, però le pellicole meritano e oggi in programma ci sono due pietre miliari della storia del cinema: Bresson e De sica.
Poterli vedere, riportati al loro originario splendore, sul grande schermo, entro una cornice come il festival, non ha davvero prezzo.
Ore 18:00 fuori dalla sala. Decidiamo di sfruttare un altro piccolo privilegio da giurati: il nostro pass Martini. Da quando siamo arrivati, abbiamo preso l’abitudine di fare un aperitivo a base di Martini, gentilmente offerto dall’Hotel Excelsior, seduti nello splendido contesto della terrazza dell’ hotel. Un meritato momento di pausa.

Il lido, nel pomeriggio, è sempre pieno di gente.
Ci sono gli immancabili giapponesi, con tanto di macchine professionali al seguito, tedeschi e inglesi con le loro inseparabili infradito ai piedi e tanti, tantissimi italiani. Molti gli adolescenti che intuisco essere da ore davanti al red carpet per avere la prima fila quando, alle 19:00 (come ogni sera), sfileranno gli attori previsti per la giornata.
In questa umanità tanto varia, iniziano a intravedersi anche i primi ospiti del Festival, diretti a chissà quale festa esclusiva; donne in abito lungo e uomini in completo, la parte più sfavillante e più glamour del festival.
Ovviamente il lusso, i grandi marchi, gli abiti griffati, le auto, che con i loro vetri scuri, trasportano persone di cui non è dato conoscere l’identità, costituiscono quel quid che conferisce a Venezia quel respiro internazionale e quella patina di ufficialità e prestigio, che, in una grande rassegna internazionale, c’è e deve esserci.

Nel nostro piccolo, anche noi ci sentiamo oramai parte integrante di questo mondo dorato e l’idea che il nostro lavoro non sia poi così diverso da quello della giura che assegnerà il Leone d’ oro, è elettrizzante.
Quest’anno la giura ufficiale è quanto mai composita e annovera personaggi di primo rilievo.
Per la prima volta, nella storia di Venezia, presidente di giuria è un compositore, Alexandre Desplat, affiancato, in questa edizione, da Carlo Verdone, Tim Roth, Joan Chen (attrice e regista cinese), Elia SuleimanJhumpa Lahiri, Sandy Powell e Philip Gröning (autore del documentario “Il grande silenzio” (2005), presentato alla Mostra di Venezia nella sezione Orizzonti, e de “La moglie del poliziotto”, Premio speciale della Giuria a Venezia 2013 e nel 2006 Presidente della giuria Venezia Orizzonti), e infine Jessica Hausner, regista austriaca già a Venezia con “Lourdes”.

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Sapere che grandi del cinema e della musica discuteranno, come noi, per assegnare il Leone d’oro, mi fa apprezzare ancora di più l’opportunità che mi è stata offerta.

Ma torniamo alla nostra giornata “particolare”.
Dobbiamo decidere il da farsi prima della proiezione del documentario in concorso prevista per le 10: 00.
Alcuni tornano a San Servolo per cambiarsi ed essere in linea con lo stile glamour che sfoggia il festival in notturna; io decido di non farlo per recuperare qualche film in concroso in altre sezioni, che non ho ancora avuto modo di vedere.
Stasera è il momento di “Loin des Hommes” del regista David Oelhoffen, con Viggo Mortensen, proiettato in sala Darsena.
Sala gremita, facciamo la fila dal lato accrediti del festival (c’è una fila per il pubblico e una per chi ha il pass).
Ci sediamo. Il silenzio regna sovrano. Una delle cose che mi ha più colpita, durante le proiezioni, è stato proprio il silenzio che regnava in sala, un silenzio quasi religioso, di devozione verso la settima arte.
Il film è molto bello, fotografia e scenografie splendide, da sfondo il deserto algerino e la guerra.
Molti applausi in sala, finita la pellicola, io e Lorenzo, scappiamo fuori.
Abbiamo solo quindici minuti per mangiare un boccone prima dell’appello di Sophie.
Di corsa al Village, oramai, prossimi alle dieci, è quasi deserto.
Ancora con il boccone in gola, ripartiamo di corsa, percorso al contrario ed eccoci puntuali per la proiezione finale della giornata.
Il documentario delle 22:00 è una bella prova di resistenza, ma non possiamo sottrarci al dovere (anche se ammetto che qualche volta le palpebre si sono chiuse).
Uscita prevista intorno alle 24:00.
Finito il documentario, siamo visibilmente stanchi, alcuni di noi non desistono e fanno un ultimo giro per il lido, prima di riprendere il vaporetto e tornare in albergo.
Verso mezzanotte il lido è quasi deserto, pochi gli avventori ancora in giro, il red carpet è desolato, solo le luci della notte e non più i flash dei fotografi restano ad illuminarlo.
Tutto tace, un’altro giorno del Festival si è appena concluso, solo in lontananza della musica, magari di qualche festa esclusiva alla Pagoda.
E’ ora di rientrare, vaporetto per San Servolo – San Zaccaria, dieci minuti e siamo in camera, pronti per abbandonarci nei nostri letti. Puntuale la buonanotte e le richieste di sveglie reciproche nel nostro gruppo, creato ad hoc su whatsapp.
Si chiudono gli occhi e si sogna, con molta probabilità, quello che si ha avuto la fortuna di vivere nella vita reale.

Ha così termine la giornata particolare di noi giurati Venezia classici.

Red carpet del film 'The Sound And The Fury' - Festival di Venezia RTR44BTU-1

 

 

 

 

 

Ho volutamente tralasciato, spero che mi perdonerete, feste, incontri con attori, autografi, i selfie con Al Pacino o Elio Germano, la serata di gala finale, la cena post premiazione con Tim Roth che sorseggia un bicchiere di vino a pochi passi da noi.
Anche questo è Venezia, ma dietro c’è molto altro: Venezia è arte che diviene evento, è cinema che diviene incontro e discussione, è cultura che si fa visione, è passione e duro lavoro ed è la festa, il tempio della settima arte.
Venezia è la speranza, ribadita anche dalla madrina del festival, Luisa Ranieri, che il buon cinema venga celebrato anche una volta che i riflettori sul lido si spegneranno e i divi se ne andranno.
Venezia è l’augurio che il buon cinema continui ad essere celebrato nelle nostre sale durante l’anno, perchè nuove risorse e energie possano essere investite in un arte che sa e vuole ancora far sognare.

Biancamaria Majorana

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