Ulisse e il suo mare di conoscenza

Il mito di Ulisse tra Pascoli e Dante

ulysse-1954-07-g

per Elena Salibra

Il mito di Ulisse è uno dei più fortunati e prolifici nella storia della letteratura di tutti i tempi, in virtù di un semplice aspetto che lo contraddistingue: l’universalità. Il continuo e imprevedibile viaggiare per mare dell’itacese, infatti, riesce a raccontare qualcosa sulla vita di ciascuno di noi.

Elena_Salibra (2)

Elena Salibra

Proprio per questo suo carattere universale, il viaggio di Odisseo, eternato innanzitutto da Omero, è stato continuamente rivisitato e rinnovato, dal “folle volo” dell’Ulisse di Dante alla poesia di Alfred Tennyson, dai commoventi versi di Itaca di Costantino Kavafis all’Ulisse presente in Maia di Gabriele D’Annunzio, per approdare alla versione in chiave moderna di Joyce. Tra questi, un altro autore che ha ridato vita al viaggio dell’eroe omerico è Giovanni Pascoli.

Ho amato i suoi Poemi conviviali, opera straordinaria regalata agli uomini, e ho riscoperto Pascoli con gli occhi del “fanciullino”, grazie alle appassionate lezioni di Elena Salibra, poetessa oltre che professoressa di letteratura italiana contemporanea all’Università di Pisa, scomparsa nel dicembre dello scorso anno, ricordata a Pisa il 15 giugno con una giornata di studi interamente dedicata a lei .

Pascoli e i Conviviali sono ormai indissolubilmente legati alle lezioni di Elena Salibra e all’incredibile trasporto emotivo con cui sapeva coinvolgere i suoi discenti. Le righe che seguono, pertanto, sono una rimeditazione sugli appunti presi durante il suo corso e su alcuni miei “appunti di viaggio”, che ho elaborato mentre preparavo l’esame, ma che poi non le ho più mostrato. Colgo quindi l’occasione per rimediare in parte.

Nei Poemi conviviali Pascoli ripercorre il mito attraverso una struttura epocale che va dal mondo greco a quello romano, per giungere fino alle soglie del cristianesimo. All’interno dei diversi componimenti poetici di cui si costituisce l’opera, un vero e proprio “poema tra i Poemi” è rappresentato dall’Ultimo viaggio, in cui innumerevoli sono le valenze simboliche di cui si veste l’acqua.

In questo poema Ulisse, dopo aver fatto ritorno a Itaca, sebbene ormai vecchio sente l’irresistibile bisogno di partire nuovamente per mare e ripercorrere tutte le tappe del suo viaggio, per non restarsene a casa a marcire. Proprio come l’acqua, che se non scorre e resta ferma, imputridisce.

Ben presto però il viaggio immaginato da Pascoli sembra passare dal piano della realtà a quello del sogno. La fusione tra lo stato di veglia e quello del sonno è preludio a un viaggio da interpretare come un unico grande sogno di Odisseo che precederà la morte, la quale avverrà nel sonno, nel suo talamo, accanto alla moglie Penelope, e quindi – secondo la profezia di Tiresia – lontano dal mare.

Il processo per cui il viaggio sfuma nel sogno è già anticipato, peraltro, dal componimento che precede L’ultimo viaggio e che ha per titolo Il sonno di Odisseo, rifacimento dell’episodio omerico in cui, approfittando del fatto che Ulisse si è addormentato, i suoi compagni aprono gli otri donati da Eolo, sprigionando i venti sfavorevoli alla navigazione e allontanando così la compagnia dalla costa proprio quando era finalmente in vista di Itaca.

046-kirk-douglas-theredlist

Kirk Douglas interpreta Ulisse nel film di Mario Camerini del 1954

L’elemento acquoreo, che Ulisse crede di solcare con la sua nave, si rivela gradualmente elemento onirico. E durante le evanescenti tappe di questo viaggio-sogno l’eziologia mitica si sfalda ed è ricondotta alla realtà attraverso una serie di spiegazioni naturalistiche, per cui il temibile Polifemo null’altro è che un vulcano il cui unico occhio è trasposizione del cratere, e le sirene sono in realtà gli scogli contro cui vanno a schiantarsi i marinai. Il mito si rivela vuoto, e quindi il senso del viaggio per mare, che poi è il senso della vita, è inafferrabile.

Omero L’acqua, il mare, come già in Dante, sono il tramite tra l’uomo e l’ignoto, che Ulisse vuole colmare e conoscere, e per farlo deve riprendere la navigazione, ossia deve continuare a vivere. La stessa Itaca non è mai stata davvero un traguardo bensì, durante il lungo viaggio raccontato da Omero (che Pascoli adombra nel Cieco di Chio), semplicemente lo stimolo per andare avanti, un obiettivo da raggiungere. E, raggiunto, non resta che porsene un altro. Gli antichi ritenevano che le fonti d’acqua fossero addette ai presagi, come ad esempio nel primo dei Poemi di Ate, che – ricordo – la Salibra considerava una “caduta” nella raccolta pascoliana. Nell’Ultimo viaggio l’acqua è fonte di una conoscenza legata al sogno, alla visione – da lontano, come nel Sonno di Odisseo – o alla morte, tre stadi che coincidono e nei quali è relegato il mito, che non può più vivere se non nell’indefinito, diluito dall’acqua stessa che ne veicola il disvelamento.

Dunque, acqua come fonte di conoscenza. Ma, alla fine, acqua che non perdona. Odissea_Ulisse_e_le_sireneUlisse rivolge alle sirene un’ultima domanda, estrema dimostrazione della sua sete di conoscenza: “Ditemi almeno chi sono io! Chi ero!”. Tuttavia, senza ottenere risposta, la sua nave si sfascia contro quegli scogli che solo nel mito erano sirene e, spezzatasi, è ingoiata dall’acqua così come nell’episodio dantesco.

Il corpo di Ulisse è trasportato dalle onde del mare sull’isola di Calypso che, nel processo di demitizzazione, è forse l’unica che realmente esiste. Ma Ulisse, già morto, non lo saprà mai. L’uomo da cui la dea era stata rifiutata per riprendere il suo viaggio per mare le viene ora riportato da quello stesso mare.

8933b4db-b496-4388-87b1-97ca81188391Acqua che toglie la vita, ma anche acqua che beffarda restituisce ciò che ci sottrae la morte, esito inevitabile e diretta conseguenza della vita. Calypso, infatti, alla fine del poema sentenzia: “Non esser mai! Non esser mai! Più nulla, / ma meno morte, che non esser più!”.

La vita dunque non ha altri approdi o porti se non uno solo, quello fatale, la morte appunto che ci restituisce all’eternità, identificabile col nulla, da cui siamo stati strappati all’atto della nascita. Perciò, fino a quel momento – questo, a mio avviso, il messaggio più profondo che si può leggere nell’Ulisse di Pascoli – dobbiamo solcare a vele sempre spiegate l’acqua di quel mare che è la nostra stessa vita.

Francesco Feola

Condividi l'articolo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.