Ribelli da Divano dei Malavoglia

Lorenzo del Corso racconta il suo progetto musicale, il trio La Malavoglia.

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Ho conosciuto Lorenzo del Corso (classe 1994) fuori dal contesto musicale, come giovane studente di Lettere e poeta appena ventenne ad una presentazione del suo primo libro di poesie Dannato Vivere (Aletti Editore) al Caffè Letterario pisano. Dopo poco scoprii che suonava, cantava e scriveva testi in un gruppo pisano giovanissimo e nato da poco. Interessata al suo modo di scrivere e di esprimere certe sensazioni con quell’insieme di furia e freschezza acerba, qualche mese dopo ho scritto a Lorenzo e gli ho chiesto se poteva rilasciarmi un’intervista sulla storia della sua giovane band. Lui entusiasta mi ha confermato, ci siamo dati appuntamento e la piccola avventura è cominciata.

Ore 15:00 del 21 gennaio. Fuori pioveva, tirava vento e la temperatura era scesa di qualche grado. Con un minuscolo ombrello che appena mi copriva la testa mi stavo incamminando, lievemente in ritardo, verso il Bar Macchi in Piazza Dante. Con i piedi umidi e gli occhiali appannati mi sono affacciata alla vetrina. Lorenzo era solo seduto all’ultimo tavolo, nell’angolo che guardava il telefono e, a giudicare dalla sua faccia, forse mi stava aspettando da una decina di minuti. Entro e lo saluto con un cenno e un sorriso, ordino un caffè e mi dirigo verso il suo tavolo. La situazione era di timidezza, curiosità e interesse. Felice della proposta, Lorenzo sembrava attendere con ansia le mie domande. Due battute per rompere il ghiaccio e poi, infranto quel velo di timidezza, dopo aver più volte sistemato il registratore sulla scatoletta dei tovaglioli da bar per evitare i rumori di fondo, mi sono predisposta a conoscere la sua vicenda musicale.

Bene, ora che il registratore è fermo e non si muove, possiamo cominciare. Lorenzo, dimmi, come si è formato il tuo gruppo? Raccontami la storia da principio.

La Malavoglia è nato nell’aprile del 2013. Io e il bassista Giovanni Sodi, che all’epoca ancora suonavamo in due gruppi diversi con alcuni compagni del liceo, non eravamo molto contenti perché spesso si andava avanti per inerzia, si facevano spesso cover… Sai i gruppi di quando si è al liceo…(ride). Noi volevamo proporre qualcosa di nuovo, e entrambi avevamo molte idee per pezzi nostri. Io e Giovanni volevamo suonare insieme ma avevamo gusti musicali completamente diversi. Io avevo scoperto il mondo del cantautorato italiano e americano che ancora mi appassiona, mentre il mio amico era alle prese con la musica elettronica e la new wave. Entrambi pensammo di mescolare questi due generi per fare inediti e creare una sonorità nuova. Per qualche mese siamo andati avanti con chitarra classica e tastiera. I pezzi li scrivevo io accompagnato dalla chitarra classica ma purtroppo l’inserimento della tastiera new wave in pezzi che si avvicinavano al cantautorato risultava difficile. Abbiamo provato e riprovato ma non è mai venuto fuori nulla che ci piacesse davvero. Forse non avevamo i mezzi giusti e le conoscenze per dare vita a quel connubio e abbiamo deciso di chiudere dopo un diverbio. Poco tempo dopo un amico ci ha chiamati a suonare ad una festa di paese e noi, per fargli un favore, abbiamo deciso di andare nonostante il battibecco recente. Dal vivo i nostri pezzi rendevano molto e allora abbiamo deciso di riprendere eliminando però lo stile wave e l’elettronica, tendendo ad un approccio più rock e suonando in acustica. Giovanni si comprò il basso acustico e continuammo così. Facemmo alcuni pezzi anche punk! Ma principalmente rimanemmo legati al cantautorato. A noi si aggiunse poi un vecchio amico Alberto Morelli, un batterista vecchio stile, molto impostato che meglio poteva dare importanza alla forza contenuta nei nostri brani.
Ci siamo trovati bene insieme, c’era molta empatia e abbiamo autonomamente registrato un Ep, Ribelli da Divano. Abbiamo iniziato a fare serate e provare contest per poi riprendere le sonorità elettroniche con l’uso del synth e degli effetti per la chitarra ovviamente non usati in acustico. Ed ora siamo qui, sempre al lavoro…Ah! Il 26 Febbraio saremo al Veleno Contest al Chicago Blues di Porcari! Non vinceremo mai perchè è un contest nazionale… Però almeno ci daremo un po’ di visibilità.

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Parlando di cantautorato e della tua vena letteraria: testi che utilizzi per le tue canzoni sono tematicamente e stilisticamente legati alle tue poesie di Dannato Vivere, oppure sono un mondo totalmente differente? Ribelli da Divano ha un lessico tutt’altro che aulico e malinconico, marchio che invece si ritrova nella tua poesia.

Diciamo che in realtà i testi delle canzoni e le mie poesie sono due cose abbastanza diverse, innanzi tutto perché Dannato Vivere è stato il risultato di percezioni e di sensazioni profonde maturate negli anni, lì dentro ci sono in parte cose che scrivevo quando ero ragazzino e che poi ho ripreso per fare il libro, sono testi che esprimono una certa poetica più personale diversi dalla musica che scrivo. I miei testi musicali invece e in particolare Ribelli da Divano sono basati volutamente sull’esperienza più presente e diretta, e in Ribelli da Divano il punto di partenza sono i Social Networks. Perché questa spersonalizzazione? Nel Social Network ognuno si libera, si maschera, si trasforma. Se io ho un’idea, un’emozione, un qualcosa, sul Social ho la licenza per dirla. Sento qualcosa dentro, una frase, un concetto, lo scrivo ad esempio su Facebook e lo mescolo ai pensieri degli altri utenti. Secondo me questa è una cosa bellissima perché così si viene a creare uno scontro di pensieri, che è esorbitante, che spesso non riflette la realtà.
La mia poesia è invece molto più personale, molto incentrata sul legame che c’è con l’amore, sulla percezione del sacro. Ribelli da Divano è un disco cantautorale che ritrae la realtà, cioè quello che succede, si parla della società come fanno i cantautori ma oltre la società italiana, per inquadrare la società occidentale, il modo che le persone hanno di pensare e il modo in cui lo dimostrano attraverso i Social Networks. Come stavo appunto dicendo prima il testo di Ribelli vuole mettere in evidenza la stupidità o la fragilità che esiste in alcuni discorsi che spesso si fanno: io ho composto quel testo andando su Facebook e su Twitter cercando tra gli status degli utenti, cercando quello che avevano da dire. Ho mescolato poi i vari status raccolti cercando di dare un filo logico, di fare delle rime… E così è nato il testo! Molte cose di quel disco non le ho scritte io! Le ho sentite, le ho lette, me le hanno raccontate…

Hai creato una spersonalizzazione di quell’individualismo tipico dei Social!

Si, esatto, ho creato una specie di composizione corale, un insieme di voci dalla realtà e dal mondo.

Riguardo le tue influenze oltre ovviamente alla musica cantautoriale… Ci sono dei gruppi in particolare o delle canzoni che ti hanno formato e guidato nella tua esperienza?

Si, noi siamo molto legati alla musica indipendente italiana, abbiamo avuto un periodo che ci ispiravamo molto agli Zen Circus, con chitarra e basso acustico; quando è arrivato Alberto alla batteria che ci ha aiutato a rendere i pezzi più carichi e meglio costruiti, abbiamo tentato di creare il nostro stile. Un gruppo che seguiamo molto e che a me piace molto, sono i Ministri, anche Maria Antonietta mi ha dato ispirazione per la scrittura delle canzoni e soprattutto per gli arrangiamenti che nel suo primo disco sono veramente originali.

Per quanto riguarda i vecchi maestri invece?

Lì si risale all’esperienza personale di ognuno. Per quel che ti posso dire di me io ho ascoltato in tutta la mia adolescenza dal death metal dei Children of Bodom al pop punk dei Green Day, poi sono passato al Teatro Degli Orrori, cantautori e musica italiana in genere. Gli altri ragazzi invece hanno avuto una formazione un po’ più scolastica, hanno ascoltato i Pink Floyd, i Queen, il rock americano, i Nirvana, la wave. Io ero un ascoltatore autodidatta, cercavo tutto da me, non avevo chi mi spingeva in diversi generi musicali, cercavo su YouTube, su internet, mi aggiornavo autonomamente.

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Il vostro nome è particolare. Tra letteratura e disposizioni di vita, mi fa ovviamente venire in mente l’opera di Verga e lo studente oberato che malvolentieri si adopera per qualcosa. Oppure quei momenti di ozio/stress e paura che ti anestetizzano. Come nasce il nome La Malavoglia?

Il nome lo abbiamo scelto praticamente per caso. Dovevamo partecipare ad un concerto e dovevamo presentarci. Eravamo indecisi su tre o quattro nomi, poi scegliemmo La Malavoglia. Ovviamente la prima cosa che salta in testa è il Verga certo, ma ci riguarda in piccolissima parte. Noi parliamo delle cose del 2015, della Rivoluzione digitale, delle vittime consumate (come un qualsiasi bene materiale) dal mercato dell’informazione, i fautori della cultura di massa, e l’oppressione (squisitamente occidentale) del desiderio di libertà. A tutta questa rivoluzione abbiamo assistito seduti sul divano, senza capacità di partecipazione, per seguire ciò chiamiamo comodità. Ed è questa La Malavoglia: la comodità. È più comodo guardare le manifestazioni al telegiornale, scrivere le proprie opinioni su una bacheca multimediale, etc. La Malavoglia è la comodità, è il restare attaccati come un’ostrica al proprio scoglio mentre l’oceano (la vita) ci vorrebbe strappare al nostro stato per farci partecipi dell’immensità del mare. Rinunciare a tutto per malavoglia. Non avere voglia di cambiare, ma non il paese, il partito o il mondo: cambiare se stessi! Vedere la Terra da altri punti di vista, riflettere, ascoltare e rispettare.
Ecco, tutto ciò non viene fatto perché “non ne ho voglia”.
La Malavoglia è il nostro nome, ma è anche il nostro nemico. Non vogliamo dire alla gente cosa deve fare, ma far vedere alla gente come noi stessi combattiamo contro le nostre tendenze, mancanze, debolezze… Ma soprattutto paure. È la paura di dire “ho paura” che ci porta a dire “non ho voglia”.

Un nome ricco di implicazioni vicinissime alla nostra generazione. Per quanto riguarda il vostro percorso…State creando qualcosa di nuovo ora?

Ora stiamo lavorando ad un nuovo disco che avrà tematiche più intime rispetto a Ribelli che era uno specchio della società. Le nuove canzoni saranno si una riflessione sulla società ma dal punto di vista interiore, metterò in mostra quello che io vedo, quello che sento, con un tocco di malinconia che si riallaccia in parte alle mie poesie.

Come create di solito i vostri pezzi? Avete una tecnica particolare? Come vi approcciate al nuovo pezzo?

Come ti ho detto i pezzi li scrivo io con la chitarra acustica, porto in sala prove gli accordi che ho buttato giù e se piacciono iniziamo a svilupparli. I testi si formano in vari modi: a volte, ma raramente, parto dal testo già formato a cui si sovrappone la musica e altre volte il testo nasce in maniera frammentaria e spesso non si capisce quello che voglio dire (ride) perché faccio molti collage di pensieri. Tendo ad adattare il testo alla musica anche se a volte risulto criptico! A volte alcuni pezzi sono nati da improvvisazioni, da scambi di strumenti tra i componenti del gruppo però solo inizialmente.

Grazie Lorenzo! E buona fortuna per il contest.

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