Riace il borgo dell’accoglienza

Riace è un borgo di quasi duemila anime situato a margine del Parco delle Serre calabresi, a 300 metri di altitudine, di fronte al Mare Ionio sulla costa di Reggio Calabria. Borgo significa luogo fortificato, stretto e circondato da mura e adatte a difendersi dall’arrivo degli stranieri. La parola deriva dalla lingua tedesca, ne conserva la pronuncia dura della g, a danno di quella dolce, di origine latina e andata fuori corso. Nel chiudersi dentro una cinta di mura c’è anche il senso di ripararsi, rifugiarsi, trovare asilo, proteggersi. Riace non ha le mura ed è un borgo che ha accolto molti rifugiati, migranti provenienti da molte parti del mondo.

Oggi, il senso di borgo è quello di un gruppo di case riunite in un luogo pittoresco, in collina, in una montagna accessibile, anche di un sobborgo vicino alla città, un bel villaggio abitato da gente per bene, cittadini borghesi che stanno volentieri insieme. Di questi luoghi ameni, in Italia, ce ne sono migliaia, molti riuniti nell’associazione dei Borghi più belli d’Italia, alcuni vivaci, troppi abbandonati. C’è perfino una trasmissione televisiva che ci racconta qual è il più bello tra i borghi italiani e lo premia. Quest’anno, il Borgo dei Borghi, è Petralia Soprana, in Sicilia, provincia di Palermo, che terrà il titolo per il 2019. Come si dice in televisione abusando un po’: che meraviglia…

Il fatto è che, anno per anno, la gente che abita i borghi è sempre di meno. Soprattutto perdono residenti i paesi delle zone interne, nell’Appennino, o nelle Alpi, non fa troppa differenza. Si preferisce vivere in città, luogo che addensa le relazioni tra persone, magari si va un po’ troppo di corsa, ma vuoi mettere la folla e lo shopping? Il sabato e la domenica magari ci prende il desiderio di visitare un borgo, meglio se abitato da pochi, ma nella settimana ci piace stare fitti.

Soprattutto al Sud, i borghi si spopolano; da tutto il Meridione la gente parte; soprattutto, in Calabria i residenti se ne vanno, lasciano  i villaggi arroccati in collina e montagna, grandi o piccoli, belli o meno belli che siano. Nelle campagne non c’è più nessuno… cantava Modugno negli anni 70 con le parole riscritte da Enrica Bonaccorsi per Amara terra mia, canzone popolare abruzzese dei primi del 900.

Soprattutto la Calabria aveva famiglie povere che davano molti figli all’emigrazione verso Svizzera e Germania, figli che però tornavano a raccogliere l’uva e le olive, quand’era stagione. Figli che facevano fortuna altrove, ma che mandavano soldi per rimettere le case e le strade. Figli lontani ma con la testa alla propria terra; qualcuno tornava nella casa ricostruita per l’età della pensione. Ma anche questa stagione sembra passata. I meridionali si sono stancati di fare figli e anche di tornare. L’Italia è cambiata e il Sud continua a perdere persone. E se ne arrivassero altre, magari con la pelle di un altro colore? non sarebbe una buona idea? Se i giovani meridionali se ne vanno, perché non possono arrivare giovani africani, indiani, pakistani? Quest’idea qualcuno l’ha avuta, ma il suo proposito non è durato a lungo dopo essere stato perfino premiato.

Un borgo calabrese, Riace, è ritornato a essere famoso proprio per la politica di accoglienza dei migranti, dopo la prima forte notorietà dovuta al ritrovamento nel suo mare di due statue bronzee del V secolo prima di Cristo, due guerrieri dal fisico strepitoso e in ottimo stato di conservazione. Era il 1972 e l’entusiasmo fu corale, ma le due sculture, i Bronzi di Riace, hanno trovato casa a Reggio Calabria solo nel 2009, nel Museo Nazionale della Magna Grecia. Quest’anno i visitatori sono stati oltre duecentomila, molti di più che l’anno passato. Numeri altri, meglio di nulla, ma nulla in confronto ai musei importanti. I Bronzi, poi, portano turisti a Reggio Calabria, mentre Riace non compare nemmeno nell’elenco dei Borghi più belli. È brutto Riace? Non merita i suoi Bronzi? Anzi, non merita nemmeno un Sindaco con un’idea politica? arrestato perché ha tentato di promuoverla in un modo un po’ sgangherato?

L’idea era quella di ridare una vita a un paese facendovi vivere chi ci voleva vivere, visto che chi ci era nato se ne voleva più sapere di restare. Anche i due bellissimi Bronzi ritrovati in mare se ne erano andati da un’altra parte. Riace poteva avere nuovi cittadini, con la pelle nera invece che bianca, accolti dal programma Sprar, Sistema per i richiedenti asilo e profughi, stabilito nel 2002 dal Ministero degli Interni e affidato alla gestione dell’ANCI. La legge Bossi-Fini (sì, proprio loro) aveva avuto un’idea generale per l’integrazione dei migranti e l’aveva affidata a Sindaci volenterosi. Il ripopolamento dei borghi abbandonati era parte di quest’idea formidabile, in grado perfino di evitare la retorica del paternalismo, visto che i progetti Sprar sono attivi anche in ambiente urbano e non solo in zone difficili.Soprattutto in Calabria l’accoglienza attiva dei migranti è stata fatta dai piccoli centri, forse per vera sensibilità, forse per l’esigenza di rivitalizzare borghi in declino, abbandonati, soggetti al nulla. Oltre a Riace, Badolato, Acquaformosa, Caulonia, molti altri paesi di più piccola dimensione sono stati la testimonianza della possibilità di recuperare con nuovi cittadini luoghi altrimenti destinati al degrado.

Mimmo Lucano non è più il Sindaco di Riace, ha visto il carcere e ricevuto la solidarietà di molti, anche di politici con idee molto lontane dalle sue. Mimmo Lucano doveva essere trattato come un borgo arroccato in zona difficile e in pericolo di sparizione: invece che mandarlo in rovina, doveva essere aiutato a sopravvivere ai propri errori e alle imprecisioni burocratiche.

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