La Pisa segreta: Alla scoperta dei vicoli nascosti

C’è bisogno di un mondo di immaginazione

per capire i caratteri del mondo reale

(e che in realtà potrebbe essere solo

un altro mondo di sogno)”

P. K. Feyarabend (1924-1994),

epistemologo

L’ardore di ricordi illumina i vicoli della mia città.

Li rende unici fra muffa, pergole di glicine, macchie, edera rampicante, volte e voltine, scritte di ogni genere e d’ogni colore, baci rubati o fugaci, porte chiuse, giardini segreti e grandi alberi solitari. Sono le piccole vene di una terra vicino al fiume in cui ho corso, mi sono perso, ho cercato il senso della vita, mi sono azzuffato con le ombre(mie e di altri), ho amato, sono caduto, ho pianto, sono cresciuto, ho guardato su verso il cielo e dentro me.

Vicoli… piccoli legami stretti e silenziosi fra strade più grandi e illuminate ove imperversano i passanti.

Sono i fili di una ragnatela che brilla di sole e di luna.

Sanno del Conte Ugolino di Donoratico e del grido di Kinzica che vide i pirati saraceni arrivare dal mare, delle piccole botteghe d’artigiani ora per lo più serrate, delle molotov del ’68 e dei casini coi loro mille profumi di umanità, dell’acqua melmosa che per la piena tracimava dai muriccioli, degli odori dei minestroni delle famiglie di operai, delle cavalcate di Lord Byron e dei versi di Shelley naufragato nel nostro mare, del rimembrare di Leopardi che amava tanto la vita e ne era crudelmente respinto, dello Sceriffo che nei tempi d’oro portava alla corda un cavallo immaginato, di Garibaldi ferito e di Neri Tanfucio che guardava di sbieco l’Arno increspato dal vento di Libeccio, della donnina che porta il pane secco ammollato nell’acqua ai gatti randagi e senza padrone, di Galilei che disputa fra sé e sé del moto dei pianeti e delle Sacre Scritture, di extracomunitari che vivono una vita di miseria, di Vittorio Alfieri che in un palazzo di nobili avrebbe recitato l’Adelchi, di amori vissuti nell’ombra e di biciclette abbandonate, di Mazzini, di gechi che hanno case segrete sotto le vecchie gronde.

Qualcuno potrebbe ora obiettare che sono, in certe zone vicino San Martino o Piazza delle Vettovaglie, anche rifugio di disperati che si nascondono o commerciano in erbe e sostanze che dovrebbero far sognare o far dimenticare la realtà quotidiana, ma questa è altra questione da comprendere e risolvere.

Forse i vicoli di Pisa non sono i carruggi di Genova cantati da De Andrè e dove Don Gallo portava la voce di Dio fra gli umili, ma io voglio portarvi con me in un viaggio pieno di curiosità, scoperte, vita, sogni e ricordi, visioni e presenze, assenze e balenii di luce…

Non si vive e non si conosce senza voglia di vivere e andare oltre quello che siamo.

Questo viaggio immaginifico ed emozionale inizia da Mezzogiorno e in particolare dal Lungarno Sonnino, poiché io ho abitato per venti anni accanto al monastero delle Benedettine di clausura… ora centro bancario. E ho visto qui il fiume ingrossarsi, il sole sfiorare gli anelli di ferro infissi nel muro, la luna far brillare di uno strano chiarore le acque scure dell’Arno, la gente passeggiare tranquilla la Domenica Mattina verso Piazza San Paolo a Ripa d’Arno o verso la Chiesa della Spina.

Prima una poesia di Salvatore Quasimodo e poi un viaggio dentro le piccole vene di pietra che si irradiano dal fiume … un atto d’amore ribelle e profondo per la mia città nativa che fu libero Comune e Repubblica sul mare oltre che luogo d’arte/di pensiero/di scienza/di ingegno/ di musica/ di passioni/ di bellezza.

Vicolo

Mi richiama talvolta la tua voce,
e non so che cieli ed acque
mi si svegliano dentro:
una rete di sole che si smaglia sui tuoi muri ch’erano a sera
un dondolio di lampade
dalle botteghe tarde
piene di vento e di tristezza.

Altro tempo:un telaio batteva nel cortile,
e s’udiva la notte un pianto
di cuccioli e bambini.

Vicolo:una croce di case
che si chiamano piano,
                                                                                                                                                                    e non sanno ch’è paura
                                                                                                                                                                     di restare sole nel buio.

                                                                                                                                                                       Salvatore Quasimodo

VIA BALDUINETTI

Nessuno ha mai fatto una vera mappa dei vicoli di Pisa e una ricerca sui personaggi a cui sono stati dedicati. Chi sia questo Balduinetti? Alessio Maestro del Ghirlandaio o Vincenzio che fu Cavaliere di Santo Stefano e Mecenate d’arte? Boh, forse nessuno dei due. Eppure questo vicolo con volta è per me più importante di Via Vittorio Veneto a Roma e di Boulevard Raspail in Montparnasse a Parigi. E’ un po’ come Via del Campo a Genova per Faber (Fabrizio De Andrè, geniale poeta delle strade poco illuminate e delle persone che nel letame somigliano a perle splendenti e rare).

E’ dietro la casa in cui ho abitato per molti anni in Lungarno Sonnino 15, dove campeggia sulla facciata una strana scritta tedesca. S’apre, in realtà è uno stretto budello dove può passare una sola auto, dietro il palazzo dell’ingegner Sarti e sfocia in Via San Paolo, che dal quartiere Sant’Antonio arriva sino alla Piazzetta Sant’Agata e poi alla Chiesa di San Paolo a Ripa d’Arno che molto tempo fa era affrescata e aveva persino un campanile (che ora non c’è più).

Chiesa di S. Agata

Uno potrebbe dire incautamente e per superbia che parlo di castronerie e cose poco importanti. Per lui forse, ma non per me.

Ne ho parlato anche nei miei racconti e persino in un giallo, nei versi ed in altri scritti, quasi fosse il mio cordone ombelicale con l’Arno e con Pisa. E’ una piccola strada, certo, ma per me importante come” La porta sul muro” nel meraviglioso ed inquietante libro di Herbert G. Wells o come il giardino della Regina di Cuori in “Alice nel Paese delle Meraviglie” di Chares Lutwidge Dogson (Lewiss Carroll).

Vi passavo di corsa, da piccolo, soprattutto se iniziava ad imbrunire, per prendere il pane o il burro a mia madre che se l’era dimenticato e che doveva preparare cena a mio padre che era un autista della Pubblica Assistenza. Allora sui Lungarni, visto il prezzo moderato degli affitti, ci stavano anche operai e persone semplici, che facevano vivere Pisa di una vita vera, discreta e popolare. Ne avevo un po’ timore perché la volta mi pareva altissima e il vicolo scurissimo e misterioso. Un luogo magico e stregato. Più volte avevo sognato sotto la volta piccoli spilli luminosi e fosforescenti parlare con voce femminile, accoppiarsi, disgregarsi, creare architetture arcane e fantastiche. Per me percorrere via Balduinetti era una sfida, un incontro con l’ignoto, come se fossi carezzato da un demone di conoscenza e dolce trasgressione ,e mai cambiavo strada, sperando di incontrare qualcosa di nascosto che mutasse il mio spirito e il mio corpo. Sulla sinistra una sequenza di mura, garage, e piccoli ingressi di case in alte. C’era anche la casa dove aveva abitato Ercolino, mio amico e compagno nella Spartak, squadra creata dai più grandi nella piazza S. Paolo, che fra alberi e terra battuta sapeva dribblare ognuno e lasciar partire tiri imparabili. Si raccontava anche che fosse andato a provare per la Juventus, ma non aveva avuto fortuna perché preferiva esser libero e far matterie piuttosto che essere chiuso in un collegio calcistico dove rispettare precise regole di orari e comportamenti.

A destra c’era una porta che immetteva in un grande giardino che io potevo vedere dal retro della mia casa e precisamente dalla camera della mia nonna Armida. Lì era un luogo fantastico: grandi alberi, un immenso prato con piante d’ogni tipo, fiori e anche una corte asfaltata con un albero di limoni. Forse non era l’albero di Montale cantato nella sua poesia “I Limoni”, ma era per me un albero che splendeva di vita e di un giallo vibrante d’amore. Proprio da lì, servendosi come passaggio anche di tubi esterni, scendevano ad una certa ora del pomeriggio due grandi topi (tarponi, in pisano). Erano sempre puntuali. Io li scrutavo meravigliato dalla finestra di mia nonna, che cuciva e faceva la sarta in casa. E poi c’era un grande nespolo, ora tagliato, che sporgeva anche nel mio cortile stretto e lungo che confinava con l’alto muro delle Benedettine di clausura.… mi porto questa ferita dentro. Anche il giardino ora non è più intero, ma parcellizzato fra i vari condomini, con una divisione che sa più di confini e di interessi, che di bellezza e di buon gusto. Io vi entravo a volte con un benevolo e fanciullesco inganno (una porta di cui m’ero procurato la chiave) , guardingo e veloce, per riprendere la palla che c’era volata là per un calcio sventato sopra le mura o una respinta al tiro dell’avversario. Il custode era un po’ burbero e ci avrebbe sgridato o detto “Fate più attenzione, se no vi buco il pallone”. Oh, non l’avrebbe mai fatto, e poi suo figlio Moreno è diventato un raffinato chef e l’ho perso per le strade della vita.

Arrivavi alla fine del vicolo, che noi arbitrariamente a volte qui a Pisa chiamiamo chiasso (anche se è quasi sempre… silenziosissimo), e trovavi a sinistra l’alimentari di Levetta, che ci aveva un po’ di tutto, anche l’idrolitina e certi dolcetti di cui andavi matto. Ora quella bottega non c’è più , divorata dalla globalizzazione e dai voraci Supermercati dove trovi tutto a buon prezzo.

A destra, invece, fra Via San Paolo e Via Balduinetti, un tempo c’era un minuscolo emporio/ cartoleria che vendeva fili/filati o altre piccole quisquiglie utili per la quotidianità e cose per le scuole che andavano dal compasso ai libri di testo (vicino vi sono la Scuola Elementare Leonardo Cambini e la Scuola Media Giuseppe Toniolo che allora aveva anche la distaccata in quel prefabbricato che s’è scoperto dopo aver lastre d’amianto ed è stato ora raso al suolo). Per me era anche una magica libreria. Vi compravo allora, coi pochi risparmi gelosamente custoditi dal Natale o dal compleanno, i libri in edizione economica di Salgari su pirati e filibustieri (tanto amati anche dall’amico Paolo Terreni, abile disegnatore e grande lettore di romanzi d’avventura, che ci ha lasciato prematuramente alcuni anni fa), e facevo ogni tanto un gioco che forse la proprietaria aveva capito diventando mia complice in un inganno a fin di bene. Insomma, tanto per esser sinceri, acquistato un libro lo leggevo in un pomeriggio e una notte, poi lo riportavo dicendo che ce l’avevo già, e la padrona della cartoleria me lo cambiava sorridendo senza chiedermi altri soldi. A lei devo parte della mia cultura e anche a Gabri professoressa che abitava sopra di me e mi ha iniziato al mondo fantastico e reale dei libri. Poi in quel negozietto, sparito da tempo c’è stato Maurizio Serretti all’inizio della sua carriera con la sua arte di design di capelli e di forme, e noi, di nascosto, proprio da Via Balduinetti ogni tanto intravedevamo le signore che si facevano depilare – lasciandosi andare con gli occhi socchiusi in lettini immacolati, le gambe nude e altro che non si può dire. Più che vedere immaginavamo, anche perché ci scacciava via in malo modo se ci vedeva, negandoci l’altra parte del cielo e il mistero dell’amore che avrei conosciuto poi da solo e altrove.

VIA PORTA DOLFI

Era il vicolo parallelo a Via Balduinetti, luogo di lunghi discorsi sull’amore e sul pallone con gli amici che vi abitavano. Posto anche di nascondino ed altri giochi compreso battaglie a sacchetti d’acqua che facevamo fra noi in tempi non sospetti e molto precedenti alla moda che poi è dilagata per Ferragosto sulle spiagge. Sulla destra abitava Tubo, lungo e magro, che ora lavora alle Poste e che era una specie di confidente per tutti, anche perché sapevi che non t’avrebbe mai tradito.

Non so perché quella piccola strada, che aveva invece la volta quando confluiva in Via San Paolo, si chiamasse Porta Dolfi. Eran nobili i Dolfi? Eran commercianti? E a quale porta si riferiva?

Sulla sinistra invece, quasi a metà, ci abitavano due ragazzi bellissimi dai tratti quasi orientali e che parevano provenire dal paese degli Elfi. Lui, credo si chiamasse Andrea e lei Antonella. Filiformi, eterei e delicati, sensuali e quasi farfalleschi nella loro bellezza. Avevan tratti di viso e di corpo che li distingueva da noi. Quasi nobili nelle loro fattezze. Non le ho mai fatto la corte essendo introverso e timido, altri ebbero con lei dolcissime storie da ragazzini, e non l’ho più rivista o riconosciuta in Pisa. Ma ancor prima, con quella piccola via, faceva angolo la casa dove stava la gattaia, signora un tempo ricca e sempre raffinatissima che ospitava decine di gatti d’ogni colore nelle grandi stanze di un appartamento che dava poi sul Lungarno. L’odore di gatti, però, si sentiva per le scale, fuori, e fra quei vecchi mobili che testimoniavano un’antica ricchezza e una solitudine addolcita dalle fusa dei mici che la facevano sentire una “regina” ed erano suoi compagni / compagne di sogni – ore – pensieri – ricordi. Anche lei, qualcuno potrebbe dire, ora è polvere ed ossa da qualche parte sotto la terra e in una bara di legno sicuramente marcita. Ma ha vissuto, c’è stata, ha incontrata la vita e a suo modo l’ha amata.

VIA CARABOTTAIA

Ignota a me l’origine di questo nome, ma ben conosciuta è la voltina che è al limite di Via San Paolo. Era porta dei nostri passaggi a pallone per far goal di testa. Improvvisavamo nella via e sotto la volta gare di reti e portieri, con passaggi abili e misurati, anche perché poche allora erano le auto parcheggiate e la gente un po’ brontolava… ma faceva giocare ragazzi allegri per strada.

ancora gatti nella via…

S’arrivava da lì anche alla Scuola Elementare Leonardo Cambini dove insegnava il Maestro Fontani e altri valenti insegnanti. Era dedicata a questo scrittore e combattente della prima guerra mondiale (1882-1918) che aveva lasciato tutti i suoi averi per la costruzione della scuola e l’istruzione dei bambini. Io l’ho frequentata allora con la maestra Maria Colomba Buccellato, in banchi di legno che avevano calamai per l’inchiostro (usato nei primi anni, con i pennini che si spezzavano per una leggera caduta in terra o se pigiavi troppo). Era in quella piccola strada che mi veniva a prendere a scuola il mio gatto nero Bomba, da solo e senza che nessuno lo guidasse, quasi conoscesse l’orologio e il mio orario di uscita. Ho sospettato a volte fosse la reincarnazione di una strega o di una maga delle erbe, ma era maschio e amava fuggire per le gatte e non farsi vedere per giorni.

Sulla destra la corte di un palazzo che aveva l’ingresso principale in Via San Paolo e dove abitavano tanti miei amici quali il Di Puccio, Stefano e Paolo Micheletti (figli di Loris) e altri. Poco più in là la casa del custode, con suo figlio, poi diventato mio amico, feci a pugni e ci rimisi, per la velocità dei suoi colpi quasi fosse un boxer e una libellula insieme.

Sulla sinistra, invece, un guazzabuglio d’erbe e cespugli, di bacche strane, una impenetrabile giungla che non era quella del Borneo o della Malesia, ma che ci faceva sognare. Qualcuno diceva di avervi visto serpi oltre che merli, altri uccelli, tarantole, tartarughe e topi che là avevano sicure dimore scavate nella roccia. E’ da là che prendevamo palline rosse, forse pure velenose, per le nostre cerbottane e le nostre improvvisate battaglie con colpi che lasciavano un leggero succo rossastro nelle vesti. E poi procedendo una grande misteriosa villa con glicine rampicante sui grandi alberi un tempo abbandonati a sé e alla natura matrigna. Ora tutto è diverso… non c’è più la foresta di Sandokan e Janez de Gomera, ma un anonimo parcheggio asfaltato e cementificato di auto dei residenti e un giardino curato da qualche signor Padrone che ha i soldi per permettersi residenza così lussuosa e verde.

VIA DEL GALLORO

Che sia contrazione di gallo d’oro, allusione al risveglio dell’adepto dopo un preciso e segreto percorso alchemico ed esistenziale?

Dubito che qui, in scantinati, vi siano stati laboratori con l’athanor, le storte, gli alambicchi, filosofi ermetici, antichi libri in pergamena, uova filosofali ed altri strani strumenti conosciuti di certo da Fulcanelli o da Burgundio (Famoso giureconsulto, ambasciatore e alchimista della Repubblica Pisana – oltre che studioso, docente e commentatore di testi sacri, nonché traduttore di Giovanni Crisostomo e Giustiniano e Giovanni Damasceno e Galenio- vissuto per buona parte del XII sec (1110-1194, secondo il calendario pisano), il cui sepolcro, ornato con due leoni -simboli e allegorie della pietra filosofale e della filosofia ermetica, in particolare dell’inizio e della fine della Grande Opera-, è nella Chiesa di San Paolo a Ripa d’Arno) .

Vi si arriva da Piazza Aurelio Saffi e dal negozio auto/moto Benevenuti, oramai una istituzione a Pisa fra Via Francesco Crispi e il Ponte Solferino dove un tempo troneggiavano due leoni di pietra (prima della piena che ne causò il rovinoso crollo il 23 Novembre del 1966) da ogni parte.

Sulla sinistra una serranda che facevamo battere con furiose pallonate, essendo anche quello luogo di incontro, prima di una discesa che i più coraggiosi facevano con tavolette di legno con ruote costruite artigianalmente (non erano skateboard comprati o acquistati). Poco più in là uno spazio che ha avuto molteplici e diversi usi… palestra, parcheggio, autonoleggio.

Sulla sinistra invece il retro di molte botteghe, compreso un negozio d’articoli per pittori e artisti, un’agenzia immobiliare (prima emporio), un panificio, la pasticceria “Giordano” venuta più tardi dei miei anni d’infanzia e adolescenza, un negozio di generi alimentari ed altro. Poco distante il negozio del babbo di Graziano Fabrizi, ora medico estetico e prima instancabile organizzatore di mille eventi fra i ragazzi del quartiere ed oltre (la gloriosa ed invincibile squadra di calcio Spartak che si comprava le maglie con la raccolta di carta e cartoni, le domeniche di giochi nel magazzino in Via San Paolo puntando giornalini e fumetti, i tornei nella piazza con i quartieri circostanti, altre cose che sono “segreti” fra noi allora ragazzi, etc etc.).

Non andavamo dall’altro lato di Via Crispi, se non al bar all’angolo con Via La Maddalena e con Via Manzoni, e in casi di necessità (la tabaccheria, la farmacia)… finiva qui il nostro territorio di vita ed esperienza, anche se avevamo amici altrove e contatti oltre.

Più in là c’era Sant’Antonio e Via Alberto Mario (che per noi di San Paolo a Ripa d’Arno era altra terra), verso il mare s’arrivava fino alle mura e all’arco, verso la stazione fino a via Lavagna e via Zerboglio, e poi c’erano i muriccioli come limite naturale… anche se a volte scendevamo sulle rive dell’Arno a pescare crognoli e anguille con lenze ed esche inventate.

“W le cee W Artilafo baffi di stipa W la squadra di Naccio Pine” leggevamo dall’altra parte dell’Arno, sotto Via Volturno e la caserma della Guardia di Finanza.

Se ben ricordo.

I palazzi riflessi nell’Arno ci iniziavano ad altri misteri, ai segreti e nascosti vicoli del cuore e dell’anima….

1 Il vicolo o vico – dal latino viculus, diminutivo di vicus, che significa borgo – è una strada urbana secondaria a volte molto stretta. Il più delle volte il vicolo è una zona pedonale circondata da palazzi, spesso all’interno di un tessuto urbano medievale. Un vicolo cieco è un vicolo in cui un’estremità non ha alcuno sbocco (è chiusa).

 

Photocredit: Ilaria Soriani

 

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