Pietro Gori, l’anarchia e Pisa. Un legame lontano

 Pisa, «dolce terra di studi e amori»

 

PISA – Se c’è un personaggio che rappresenta l’espressione più pura e romantica dell’Ideale, l’immagine disinteressata della lotta senza macchia e senza paura al servizio della liberazione degli ultimi è – senza ombra di dubbio, soprattutto sulla costa toscana – Pietro Gori: “il cavaliere errante dell’anarchia”, l’autore di Addio a Lugano, la poesia (poi divenuta una nota ballata) che racconta la sua espulsione dalla Svizzera.

Pietro Gori nasce il 14 agosto 1865 a Messina da Francesco e da Giulia Lusoni, nel 1878 si trasferisce con la famiglia a Rosignano Marittimo e, dopo gli studi liceali sostenutiti a Livorno e maturati con ottimi voti, si iscrive alla facoltà pisana di Giurisprudenza approdando così, nell’autunno del 1885, sulle rive dell’Arno. Ed è proprio a Pisa, nell’ambiente universitario da lui frequentato, che entra in contatto con il mondo anarchico del quale presto diventa una delle figure di riferimento, un importante conferenziere e uno dei più grandi agitatori politici di tutti tempi. Della sua permanenza nella nostra città, del suo legame con il proletariato pisano vogliamo brevemente raccontare da questa pagina web, coscienti che ben altre penne hanno illustrato la straordinaria grandezza di questo personaggio.

Pietro Gori

A Pisa il giovane Gori vive gli anni della sua formazione culturale e politica, frequenta la facoltà di Giurisprudenza, come segretario dell’Associazione studentesca organizza una commemorazione di Giordano Bruno, segue i corsi di Francesco Carrara, ma soprattutto frequenta la città: un ambiente che va pian piano industrializzandosi, dove sono trainanti il settore del tessile, dei laterizi e delle vetrerie. Conosce, con la stessa curiosità, il mondo accademico e quello del proletariato pisano nel quale, insieme alla folta rappresentanza di mazziniani e garibaldini, si è fortemente radicata un’importante componente internazionalista. Questi sono gli anni nei quali al Caffè dell’Ussero gli studenti si incontrano con gli operai e appunto con i vecchi internazionalisti pisani, tra questi Oreste Falleri (noto con il soprannome di Diobello) ed Enrico Garinei. Secondo Virgilio Saverio Mazzoni (un altro importante anarchico pisano, di origine livornese, che diventerà Segretario della Camera del Lavoro Sindacalista pisana) saranno proprio i vecchi militanti dell’Internazionale ad avvicinare, nei frequenti incontri, il giovane Pietro Gori alle dottrine libertarie.

Ed è durante la sua permanenza a Pisa che Pietro Gori stampa, con la tipografia Il Folchetto, il volume Pensieri ribelli che viene immediatamente sequestrato dalle autorità per il suo carattere sovversivo. A tal proposito scrive il Prefetto di Pisa al Ministero dell’Interno il 14 Maggio 1889:

«Per dare maggiore impulso alla propaganda che il partito socialista ha stabilito doversi fare nelle campagne di questa provincia fu effettuata la stampa di un opuscolo dettato da Pietro Gori col titolo Pensieri ribelli […] le 1500 copie su ricordate furono portate la sera stessa dal Gori e dal Nista nella sala della società dei fornai in via Belle Torri ove convennero i rappresentanti dei vari gruppi anarchici, i quali presero incarico di diffondere fra i gregari più giovani gli opuscoli stessi […] ordinanza di sequestro emessa alquanto tardivamente da giudice istruttore».

È il periodico pisano L’Elettrico che ci ricorda, nella sua edizione del 7 Luglio 1889, il conseguimento del diploma di laurea in Giurisprudenza di Pietro Gori con una tesi di sociologia criminale dal titolo La miseria e il delitto, che vede relatore il professore David Supino: uno studio ispirato alle idee dell’allora nuova scuola penale positiva. Si tratta di una tesi originale che sarà oggetto anche di successive pubblicazioni. Con questa attenta e puntuale ricerca Gori intende dimostrare che il delitto è una delle conseguenze di una patologia sociale che trova le sue più profonde radici nella miseria che le classi popolari sono costrette a vivere: sostiene infatti Gori «che la genesi del delitto debbasi ricercare, oltre che nell’individuo, anche nella società, in quanto agisce sopra di lui». In questo lavoro, tra i vari aspetti trattati, Gori tocca temi che hanno mantenuto una straordinaria attualità negli anni successivi, come la considerazione che il monopolio latifondista del Mezzogiorno abbia favorito lo sviluppo di organizzazioni criminali mafiose, funzionali e legate al potere politico ed economico. La conclusione della sua tesi è che se è vero che la cultura, l’istruzione e la conoscenza possono considerarsi straordinari antidoti contro il delitto, è altrettanto vero che quest’ultimo non potrà essere estirpato dalle classi subalterne se queste continueranno a vivere in condizione di miseria e povertà.

È evidente che un giovane così brillante e capace di analizzare, scrivere, parlare e denunciare la piaga della povertà e dello sfruttamento, divenga presto oggetto dell’attenzione della pubblica sicurezza, dalle cui carte oggi vogliamo ricordare la struttura fisica dei suoi 22 anni: statura 1,80, corporatura snella, capelli neri, barba nascente, sopracciglia nere, viso lungo, occhi neri piccoli, naso giusto, bocca regolare, segni particolari: vaiolato in faccia.

È altrettanto ovvio che un giovane del suo profilo venga chiamato ad altri impegni. Così da Pisa, «dolce terra di studi e amori», Gori spicca il volo per il mondo, nella sua veste di apostolo dell’Ideale. 

Prima di concedersi alla divulgazione del libero pensiero il giovane Gori deve però superare il processo pisano per la pubblicazione dei Pensieri ribelli che, secondo l’accusa, contiene «concetti ed espressioni offensive le inviolabilità del diritto di proprietà, provocanti l’odio tra le varie classi sociali, attaccanti l’ordinamento delle famiglie e la religione di Stato». Gori riesce a trasformare il processo nei suoi confronti in una straordinaria occasione di propaganda portando il tema della difesa sul terreno della politica, certamente a lui più favorevole, ed è in questa circostanza che definisce la rivoluzione «una trasformazione – anche pacifica – delle istituzioni sociali. Non tutte le rivoluzioni si fanno colla violenza e colla effusione del sangue umano». Al termine del dibattimento il giovane Gori sarà prosciolto da ogni accusa.

Così, dai banchi di quel tribunale Gori parte per lunghissimi e ripetuti viaggi per l’Italia e per il mondo nel ruolo di conferenziere, agitatore politico e avvocato legato alle sorti degli ultimi. Porta la sua parola negli Stati Uniti, in Argentina, poi in Egitto, sarà l’avvocato difensore di Sante Caserio (il giovane anarchico italiano che nel 1894 uccise Sadi Carnot, il Presidente della Repubblica Francese), scrive opere teatrali e poesie che poi, messe in musica, verranno cantate nei cortei che hanno attraversato il Novecento. Collabora con molte riviste, partecipa a vari congressi tra questi quello dell’Internazionale operaia e socialista che si svolge a Londra tra luglio e agosto del 1896. Diventerà un vero e proprio mito vivente, portando parole di rivolta tra gli ultimi della terra, senza che questo girovagare lo allontani dalle sue origini. Spesso presente a Pisa e in provincia, a Rosignano, a Livorno; nel tratto di costa che va da La Spezia a Civitavecchia, tra il 1885 e i primi anni del Novecento, ogni città, ogni minuscola borgata, ha conosciuto il suo verbo e le sue parole di libertà.

Mantiene forte il legame con Pisa, dove continua ininterrottamente a tenere numerose conferenze, alcune di queste al velodromo Stampace in zona San Paolo a ripa d’Arno. Sarà proprio Gori, nel dicembre del 1897, che terrà a battesimo l’apposizione in via Cariola, (dal 1901 via Giordano Bruno) nel quartiere di S. Martino, di una lapide dedicata al monaco nolano, manifestazione alla quale per i socialisti partecipa Andrea Costa. Nell’ottobre del 1902 tiene al Teatro Politeama la commemorazione di Émile Zola. Nel febbraio del 1906 commemora in città il geografo anarchico Élisée Reclus.

Le prime notizie sull’aggravarsi dello stato di salute di Gori (che morirà di tubercolosi) preoccupano la città di Pisa, e l’affetto si manifesta anche dalle colonne dei giornali cittadini non legati al mondo libertario. Scrive il periodico cittadino Il ponte di Pisa, a firma de Il Duchino, sull’edizione del 2 settembre 1906:

«Da qualche giorno si trova ammalato nella sua villetta di Rosignano Marittimo l’avvocato Pietro Gori, l’anarchico geniale che ha commosso tante volte la folla con quei mirabili discorsi che sono come una cinematografia luminosa dei luoghi visitati e delle miserie incontrate ed un inno alato alla redenzione, alla giustizia, all’amore. Ora sta assai meglio, dopo avere tenuto in costernazione gli amici; ed ora gli amici, come faccio io, gli mandano saluti ed auguri affettuosamente».

E successivamente, sempre la penna de Il Duchino, sulle colonne dello stesso giornale, nel dicembre del 1906, manda ancora gli auguri per il malessere che colpisce Gori e per l’operazione chirurgica che subirà in quei giorni:

«Qualche giorno fa fu colpito qui a Pisa, proprio di faccia all’Università, da leggera emottisi; e fu costretto a mettersi subito a letto. Lo curarono con amorosa sollecitudine l’illustre prof. Queirolo e il dott. Ferruccio Fontana, assidui, pazienti, premurosi. La sorella lo vegliò giorno e notte con tutto il fervore dell’adorazione. […] L’altro giorno l’ avv. Gori fu sottoposto alla dolorosa operazione chirurgica che gli fece con sapiente abilità il prof. Cassanello; e tanto riuscì felicemente che l’ammalato, dopo le sofferenze dei giorni trascorsi, incominciò a riaversi. […] Gli amici, quelli vicini che lo assistono col cuore di fratelli, quelli lontani che sono stati trepidanti per la sua salute, tutti insieme gli mandano l’augurio caldo della guarigione».

E ancora Il Ponte di Pisa nel novembre del 1910 questa volta a firma Il Mattaccino, quando le condizioni di salute di Pietro Gori andranno a peggiorare:

«L’ avv. Pietro Gori è a Portoferraio in gravissime condizioni di salute. All’amico, buono e gentile, che ha l’ingegno fiammante, mandiamo l’ augurio affettuoso della guarigione».

Pietro Gori ricambia l’affetto dei pisani, è lui che detta l’epigrafe sulla lapide, inaugurata il 13 ottobre 1910 in via San Giovannino, di fronte al Teatro Redini (oggi via Pietro Gori, ma prima dell’avvento del fascismo via Ferrer) che ricorda appunto l’omicidio del pedagogista libertario spagnolo Francisco Ferrer y Guardia. Ed è proprio in questa occasione che il legame e l’affetto che Gori ha per Pisa e i pisani, così come la sua impronta politica sulla città, si manifesta compiutamente. Questo sentimento di affetto reciproco si coglie nella struggente lettera, integralmente riportata da L’Avvenire anarchico il 13 ottobre 1910, che “il dolce apostolo del libero pensiero”, impossibilitato a partecipare alle manifestazioni di protesa contro l’uccisione di Francisco Ferrer per l’aggravarsi della malattia che presto lo porterà alla morte, invia all’Associazione razionalista pisana:

«Da questa mia lotta oscura con il male fisico, il pensiero trasvola alla città dei miei primi sogni, delle mie prime battaglie; risaluta il suo popolo forte e pensoso; rialeggia tra le sue bandiere, che oggi si inchinano nel nome ed alla memoria dell’ultimo martire della prepotenza militaresca e confessionale. E dalla tristezza del tramonto e della morte, benedice le aurore sante della giustizia e della libertà».

Queste le parole di Pietro Gori scolpite, per l’occasione, nel marmo:

«Educare a le verità storiche / de la ragione e de la scienza / fu il delitto capitale / di Francisco Ferrer / nel cospetto di coloro / che in nome di dio e del re / lo vollero morto. / Ma la sua ultima voce / coperse il fragor de’ fucili / destò gli echi del mondo / e sommosse l’anima, / o forte Spagna giovane, / del popolo tuo cavaliere. / I razionalisti e i liberi pensatori pisani ne l’anniversario del sacrificio XIII ottobre MCMX / Q.M.P».

A Pietro Gori la città di Pisa, dopo la Liberazione, ha dedicato una strada nel centro storico; negli anni le occasioni di ricordo e le commemorazione sono state frequenti e molteplici, tra queste ci sembra opportuno ricordare l’ultima, quando in occasione dei cento anni della morte, nel gennaio 2011, la Biblioteca Franco Serantini – che raccoglie testi e importanti documenti sul personaggio – ha organizzato un convegno di studi di profilo nazionale dal titolo: Nostra patria è il mondo intero: «Pietro Gori nel movimento operaio e libertario italiano e internazionale». Gli atti del convegno – che è stato un eccezionale momento di confronto tra storici – sono stati pubblicati dalla BFS Edizioni per i quaderni della Rivista Storica dell’Anarchismo (2012) e rappresentano oggi un importante documento per la conoscenza di Gori. Molti altri sono gli studi che possono essere utili all’approfondimento del personaggio, tra questi sicuramente la pubblicazione della tesi di laurea nel volume a cura di Maurizio Antonioli e Franco Bertolucci (BFS Edizioni, Pisa, 2011), che dedica particolare attenzione al periodo della formazione pisana del giovane Gori, la cui mia recente lettura ha suggerito questa breve riflessione.

Oggi la figura del cavaliere errante dell’anarchia va purtroppo pian piano scomparendo nell’oblio della storia, così come succede per molti altri interessanti personaggi, con il rischio di perdere la memoria del pensiero di uno straordinario protagonista che ha animato la vita politica locale, italiana e internazionale dal 1885 al 1911, anno della sua prematura scomparsa.

Pietro Gori è stato un intellettuale, avvocato, propagandista e politico che ancora oggi mantiene una sua attualità e utilità anche fuori dai confini libertari, tanto da poter condividere l’affermazione che si può essere goriani anche senza essere anarchici.

 

Per un approfondimento sui vari nomi citati nell’articolo si veda:
Dizionario Biografico degli Anarchici Italiani (BFS Edizioni, Pisa, 2002)

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