Anima Mundi: Pinnock, Orliński, The English Concert

PISA – Giovedì 12 settembre la Cattedrale di Pisa ha schiuso le porte al terzo appuntamento di Anima Mundi, giunta quest’anno alla diciannovesima edizione. La rassegna senz’altro gode di una posizione di rilievo nel panorama internazionale, ma non molte realtà musicali possono permettersi The English Concert diretti dal loro fondatore Trevor Pinnock.

Trevor Pinnock e The English Concert

La prima cosa che colpisce del suono degli English Concert è l’intonazione e la compattezza della compagine: durante l’esecuzione del Concerto grosso op. 6 n. 1 di Georg Friedrich Händel – uno dei compositori-simbolo dell’attività di Pinnock e degli English Concert – i violini I suonano come se fossero un unico violino e altrettanto i violini II. Ci si sarebbe forse attesi un’esecuzione pirotecnica, chiassosa, invece quella offerta dall’orchestra britannica è stata ineccepibile per eleganza ed esemplare per il contegno, volto a porre l’accento esclusivamente sulla musica (a quanto pare non tutti cedono al divismo). In una Cattedrale immersa in una singolare penombra, la musica cavata dagli strumenti barocchi era pura luce.

Molta era l’attesa per l’esibizione del giovane controtenore polacco Jakub Józef Orliński, solista del vivaldiano Stabat Mater RV  621 per contralto e archi. Composizione a lungo obliata e ripresentata al pubblico soltanto nel 1939, oggi è stabilmente mantenuta in repertorio da diversi controtenori. La grafia del Prete Rosso si fa qui asciutta al limite dell’essenziale, ricca di tensioni cromatiche: una partitura in cui la scrittura degli archi è quantomai scarna, decisione volta a non avere nulla che potesse sovrastare la voce o concorrere con essa. In quella che avrebbe potuto essere una normale composizione d’occasione (presumibilmente per l’Addolorata), emergono soluzioni tanto ardite da apparire senz’altro moderne, ad esempio il crudo accompagnamento dell’Eia Mater. Peculiare, ma assolutamente appropriata, la decisione di eliminare qualsivoglia virtuosismo – se si eccettua la convenzionalità dell’Amen conclusivo – dalla parte vocale, creando un clima costantemente perturbato e commosso, un clima che si ritrova nella perfetta interpretazione di Orliński. 

Jakub Józef Orliński

Come è avvenuto con Händel, anche in Vivaldi il M° Pinnock sceglie la via dell’assoluta aderenza alla partitura: nulla viene spettacolarizzato. Rimarchevoli soprattutto il summenzionato Eia Mater e il dolente Quis es homo, dove dolore e tormento interiore sono sublimati da Pinnock in estatica bellezza. Anche Orliński adotta la linea del direttore degli English Concert: non eccede mai, ogni aspetto dell’esecuzione è accuratamente preparato, il canto è sempre sul fiato, la voce non è mai pesante. Esistono dei momenti in cui Orliński sfodera la sua effettiva potenza vocale, ma si tratta di episodi assai rari e studiati a tavolino per rendere il maggior effetto possibile, mantenendo intatta l’atmosfera di tragica sacralità dello Stabat Mater

Le medesime scelte vengono rinnovate nell’atipica Sinfonia “Al Santo Sepolcro”, titolo quasi aforistico per la sua brevità e che si innesta perfettamente sul tema della composizione precedente. Vivaldi articola questa Sinfonia in soli due movimenti, Adagio molto, con predominanza di note lunghe, tritoni e appoggiature, e Allegro ma poco, che è in sostanza una doppia fuga in cui Vivaldi rifiuta ogni possibilità di virtuosismi ma anzi la rende insolitamente dimessa, travagliata, una vera e propria meditazione sulla Passione. 
Come nel caso dello Stabat, Pinnock seleziona sonorità tenui, capaci di isolare lo spettatore dal contesto terreno in cui è immerso e innalzarlo in un non luogo in cui esistono un altro tempo e un altro spazio. È davvero impressionante la pulizia, la compattezza e la purezza del suono di questa orchestra nel piano e nel pianissimo, non comune anche in realtà musicali di questa levatura.

Il ritorno di Orliński fa compiere un brusco salto al calendario, dalla Settimana Santa al Natale: questa è la destinazione di Tam non splendet sol creatus per contralto e archi di Nicola Fago. La composizione – facente parte del primo disco di Orliński, Anima Sacra – è brillante, luminosa, ideale per la voce del controtenore polacco e stavolta presenta anche agilità e virtuosismi. Ad ogni buon conto, più che il tecnicismo belcantistico il punto di forza di Orliński è la sua strepitosa musicalità, dettaglio messo in luce dalla meravigliosa pastorale Dum infans iam dormit.

Il concerto giunge al termine come una perfetta Ringkomposition con il Concerto grosso op. 6 n. 5 di Händel, in cui Trevor Pinnock celebra ancora una volta la straordinaria alchimia (unica, verrebbe da dire) tra il compositore di Halle e The English Concert. In conclusione Pinnock e Orliński hanno regalato al pubblico due bis, Alla gente a Dio diletta dall’oratorio Il Faraone sommerso di Nicola Fago e Vedrò con mio diletto dal Giustino di Antonio Vivaldi, due ringraziamenti al pubblico italiano che ha assistito a una delle esecuzioni più emozionanti della storia di Anima Mundi.

Photocredit: courtesy of Anima Mundi

lfmusica@yahoo.com

 

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