Elogio della follia: Daniela Maccheroni

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Oltre quella porta – Esseri dimenticati”, al centro espositivo SMS

Fino al 28 settembre, il centro espositivo San Michele degli Scalzi, a Pisa, ospita uno sconvolgente elogio della follia. I dipinti e le sculture di Daniela Maccheroni, pittrice pisana, invitano a riflettere sulla condizione di emarginazione sociale ed emotiva che caratterizzava i pazienti degli ospedali psichiatrici, e rivelano anche se stessa e la sua personalità artistica, attraverso vari autoritratti.

Le opere esposte raccolgono diversi temi, tecniche e figure e sono spesso corredate da poesie dello scrittore Alessandro Scarpellini, che riflettono lo stesso disagio.

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All’inizio dell’esposizione l’osservatore viene accolto e sconvolto da un grande autoritratto della pittrice crocifissa in blu, al chiaro di luna, reso con pennellate convulse e spezzate e circolari che richiamano la disperazione dell’ultimo Van Gogh. Proseguendo i colori dei dipinti divengono progressivamente più innaturali: corpi gialli, verdi, rossi, e le forme si contorcono.

L’uomo in quanto essere non più umano, ma assemblaggio di pezzi intercambiabili, come una bambola meccanica, subisce continue trasformazioni inquietanti. Diventa deforme, con mani e piedi enormi e sproporzionati come in certe opere caricaturali del realismo di Daumier, viene privato della sua essenza antropomorfa per diventare simile ad un oggetto, come risulta visibile nel dipinto Elettroshock fantastico; diviene l’automa ai servizi delle torture di medici, inservienti, suore crudeli e infermiere con enormi clisteri, camice di forza, elettrodi e medicinali.

Andando avanti si perde sempre più la coscienza della carne che riveste il corpo: i corpi sono privi di vita, offerti alle prove della scienza psichiatrica come in Il bagno e Operazione chirurgica. L’ultimo aiuto è l’esempio di questa distruzione fisica e mentale, in cui un gruppo di pazzi si tengono per mano in un cerchio distorto che, se a primo acchito richiama la florida Danza di Matisse, non è altro che una danza di grottesca disperazione e resa. Vivo è il ricordo della pittura espressionista tedesca per i temi, il divisionismo, la tecnica: lo si percepisce nelle deformazioni dei corpi e nella medesima assenza di pudore, che mostrano l’uomo nei momenti più intimi e in questo caso degradanti, come avevano fatto Schiele e Kokoschka; nell’uomo oggetto privato della calotta cranica che ricorda Georg Grosz, nell’affusolarsi dei volti di Munch, e nella desolazione di Alfred Kubin e dei suoi mostri della mente, riscontrabile soprattutto nelle stampe.

Daniela riporta anche se stessa: i suoi autoritratti mostrano una tecnica completamente diversa, non sono caotici, irreali e spezzati, ma insistono sul senso di iperrealismo e precisione lenticolare: la pittrice è spesso seminuda su sfondo scuro e circondata da un alone giallastro che la consacra come creatrice. Però sa anche lei essere parte del carnevale dei pazzi: con Autoritratto con lingua beffa tutti gli osservatori mettendosi lei stessa dalla parte della follia.

Visitando l’esposizione fate attenzione ai curiosi e vistosi cappelli che Daniela ha realizzato e appeso al soffitto: presa dalla contemplazione li ho urtati diverse volte senza rendermene conto.

Virginia Villo Monteverdi

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