L’immateriale leggerezza dei materiali per vivere meglio e con stile

“Sei un materialone!”, detto a una persona, suona come un’offesa, per dire che non ha sentimenti, guarda solo alla vita pratica e, probabilmente, è anche uno attaccato ai soldi e alle cose materiali, uno squallido spilorcio.

Materiale come sostantivo ha significato che deriva da quello di materia, ma mentre materia si usa per una sostanza omogenea, materiale indica più spesso un composto, un mix di sostanze non sempre omogenee che, messe insieme, servono a costruire qualcosa. Si usa materiale anche per indicare prodotti che derivano da una elaborazione di materie prime per produrre manufatti. Le classificazioni tradizionali dei materiali sono state pensate secondo le caratteristiche di costituzione e le proprietà principali di comportamento, fisiche, chimiche e meccaniche che, a loro volta, dipendono dalla struttura atomico-molecolare e dal tipo di legame tra atomi. Qui si passa dal mondo dei chimici e dei fisici a quello di chi usa a modo materiali preparati da altri, ingegneri, architetti, magari geometri, spesso bistrattati e accusati di essere i meno preparati da un punto di vista estetico, ma pur capaci di costruire solide strutture. Insomma, ci si passi il paragone, un geometra sarebbe più “materiale” di un ingegnere, a sua volta molto più materiale di un architetto, per non dire del confronto con un designer. Il passo successivo porta agli archistar, che stanno praticamente sulle nuvole, alla ricerca della vera essenza immateriale dei materiali.

Frotte intere di artigiani trattano da secoli diversi materiali, messi a disposizione da madre Natura o inventati da menti umane più o meno ingegnose, per produrre oggetti di ogni tipo, che ci mettiamo addosso per proteggerci o per belluria, o che si trovano all’interno e all’esterno delle nostre case. Solo per sopravvivere materialmente, o per vivere al meglio nell’immateriale della percezione mentale: dipende da noi e dalla nostra fantasia.

Per tradizione, il progettista industriale ha privilegiato gli aspetti fisici dei prodotti, lasciando all’abilità ideativa, immanente solo nella mente e nelle mani del designer, l’armonizzazione estetica tra caratteri materiali degli oggetti e le funzioni che devono svolgere. In fondo il ricciolo del manico e le punte della cassa di un violino servono a farlo suonare in un certo modo, ma molto di più farlo percepire come un oggetto “classico”. Anche senza, o con riccioli e punte diversi, suonerebbe lo stesso, almeno agli orecchi dei non esperti.

Sempre più spesso, sempre più diffusamente nello spazio, tra le competenze del progettista si devono includere le capacità di considerare sistematicamente i caratteri immateriali degli oggetti, legati ai sentimenti e alle percezioni di chi li usa, allo scorrere del tempo, al ruolo delle azioni praticate, a tutti i legami logici che compongono un sistema di relazioni materiali e immateriali.


È da tempo che i designer sono consapevoli del crescente slittamento di attenzione dalla materialità dei prodotti al loro contenuto immateriale di conoscenza, alla capacità degli oggetti di essere un sistema, un’intensa miscela, di prodotto e servizi. I contenuti immateriali hanno natura culturale, sociale ed economica e, proprio per questo, ne costituiscono la parte essenziale, addirittura preponderante, dell’utilità. Il carattere moderno dei contenuti immateriali è dato dalla possibilità di personalizzazione estrema del prodotto, la cui componente principale – come si comprende bene – può avere natura “eterea” tanto quanto lo può essere la percezione soggettiva di un individuo. Ognuno di noi si sente e si vuol mostrare come unico: e il contenuto immateriale degli oggetti che sceglie è il mezzo migliore per comunicare la propria unicità.

Ecco un punto: quali sono le relazioni tra la mente e la materia, ovvero che natura ha la nostra consapevolezza delle cose reali? Le cose hanno un’essenza propria legata alla natura materiale, o sono quello che ci appaiono? Il discorso sul materialismo entra anche nei livelli più alti del dibattito scientifico, quello a cui partecipano i filosofi. Per alcuni scienziati la natura del cervello e della mente è materiale, visto che il nostro pensiero altro non è che l’attività elettrica dei neuroni. I neuroscienziati sono in grado, con un cappellino pieno di elettrodi, di fotografare il cervello mentre si accende e si spenge come le luci di un albero di natale davanti alle cose che ci piacciono o ci sono sgradite. Quando mangiamo un piatto di spaghetti, lo stufato al barolo con polenta o la torta della nonna, dentro il nostro capo corre l’elettricità che spenge e accende lampadine sensoriali. Chissà che lucine, e di che colore, si accendono nel cervello di alcune amiche mie davanti alle vetrine del centro… Non è bello pensare che un problema di gusto e di coscienza sia una questione che assomiglia alla connessione della rete elettrica o di quella wi-fi?

Fortunatamente ci sono anche scienziati che la pensano come filosofi, cioè diversamente; dietro al funzionamento del cervello, e quindi dietro la vera natura del mondo materiale, c’è ancora uno spazio vuoto, da riempire con un po’ di mistero. E basta un’oncia di mistero per rendere misterioso tutto il quadro. Dopo più di cento anni di ricerca sulla fisica subatomica, gli scienziati sono in grado di dirci come la materia si comporta, ma non che cosa sia in realtà. Senza troppo scomodare né Zichichi, che provava a farci capire che cosa è la curvatura dello spazio, né il bosone di Higgs, che spiega tanto ma non tutto, ci basta sapere che il nostro cervello (materiale) e la mente (immateriale) sono entrambi ancora un mistero. E che pertanto hanno natura misteriosa anche la consapevolezza e la percezione del reale. Possiamo quindi continuare a credere che la realtà del mondo in cui viviamo coincida con la percezione soggettiva che ne abbiamo. Beh, provo a scendere dal pero su cui sono salito per vedere cose più immediatamente tangibili e vicine all’esperienza quotidiana che ci insegna che le nostre scelte dipendono da gusti variabili nel tempo e nello spazio. Io stesso non ho gli stessi gusti che avevo dieci/venti anni fa, né posso avere i gusti di chi è nato e vive in un altro continente. E non è vero che i miei gusti, come quelli di tutti, sono fondati i gusti sulla mia percezione soggettiva delle qualità immateriali di oggetti materiali?

Largo alla qualità, viva la qualità, allora? Sì, visto che il futuro degli oggetti sarà sempre più fondato sulla loro capacità di avere, e comunicare il più possibile, caratteri immateriali. Il valore delle cose sarà proporzionale alla quantità di informazione contenuta e alla loro capacità di intrecciare relazioni comunicative con il massimo numero possibile di persone.

Ogni consumatore, quotidianamente immerso nella propria rete sociale, è un moltiplicatore di informazione e di conoscenza e quindi responsabile dell’immagine e della reputazione dei prodotti che usa.

Chi progetta e costruisce oggetti deve quindi essere anche un po’ antropologo, capace di decifrare l’intreccio di elementi razionali ed emozionali che guidano la scelta di un oggetto. Avrà gli strumenti di un sociologo per capire come i comportamenti che guidano queste scelte si formano nella società. Magari dovrà essere anche un po’ psicologo, per coinvolgere emozionalmente i consumatori nella scelta dei prodotti. Magari anche un futurologo… o invece uno che ha imparato bene la lezione che viene dal nostro passato, che è quella di capire che cosa vuole la gente. Oggi questo si studia in modo più consapevole e sistematico come co-progettazione, come collaborazione interattiva produttore/consumatore che determina l’essenza finale dei prodotti. I valori culturali, la vita sociale, la routine quotidiana dei consumatori “entrano” nel prodotto finale allo stesso modo delle materie prime, ma sono determinanti per definire le caratteristiche che daranno successo. Difficile? No, ce l’abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni. Questa cosa che sembra teorica e complicata è l’essenza magica sia del Made in Italy che dell’Italian style.

 

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