Il Foglio Letterario

Intervista a Gordiano Lupi, direttore della casa editrice Il Foglio Letterario

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Quindici anni sono passati dalla fondazione della rivista Il Foglio Letterario, trasformatasi, quattro anni dopo, in prolifica casa editrice. Diretta dallo scrittore, saggista, traduttore ed appassionato di cinema, Gordiano Lupi (nato a Piombino nel 1960), oggi Il Foglio Letterario può essere considerata un rifugio per gli amanti di un certo tipo di cultura (cinematografica, letteraria, musicale, narrativa) che un tempo poteva essere alla portata di tutti, ma che oggi si ritrova – paradossalmente – ad essere scambiata per sottocultura, spesso dileggiata, occasionalmente rivalutata con superficialità. Ma lasciamo la parola a Gordiano, augurando a Il Foglio Letterario cento di questi giorni.

Prima di cominciare a celebrare questo “compleanno in intervista”, mi piacerebbe sapere, direttamente dalle tue parole e dai tuoi ricordi, quali sono stati i passi decisivi che hanno trasformato la rivista in casa editrice.

Molte cose accadono senza che ce ne accorgiamo, un po’ come un figlio che ti cresce sotto gli occhi e tu non puoi far niente perché non accada. A un certo punto la rivista non ci bastava più per le cose che avevamo da dire e ci siamo resi conto che l’oggetto libro, le collane di una casa editrice, facevano al caso nostro. E poi, già nel 2003, le riviste letterarie stavano agonizzando…

Com’era l’ambiente editoriale nel 2003, anno del vostro debutto sul mercato? Internet mostrava già quelle caratteristiche di catalizzatore culturale che sarebbero poi esplose negli anni ’10 del XXI secolo?

L’ambiente editoriale è sempre stato pessimo, almeno da quando lo frequento. Gli editori a pagamento sono la feccia del mercato, ma i grandi editori non sono da meno. Giganti con i piedi d’argilla, costruiscono fenomeni sul sex-appeal, fanno scrivere romanzi agli editor e poi assoldano una bella ragazza per portarli in televisione… Non c’è niente di più ridicolo dell’editoria italiana. A un certo punto qualcuno decide che si devono leggere thriller, noir, romanzi storici, sfumature di grigio, romanzi erotici… e allora si pubblica soltanto quello. E la cultura? E l’editoria dei Calvino, Pavese, Buzzati, Bianciardi…? Un optional. Per fortuna che grazie a internet sono nate tante iniziative editoriali serie, piccole e di nicchia, ma rispettose del pubblico e delle passioni.

Ad inizio anno è uscito un tuo romanzo che ha riscosso molto successo: “Calcio e Acciaio”, titolo che è stato in concorso per il Premio Strega 2014. Anche se non è stato edito per i tipi de Il Foglio (ma per Acar Edizioni), vuoi parlarci dell’iter creativo che ha portato alla nascita di questo gioiello di narrativa realista?

Ti ringrazio per i complimenti. Calcio e acciaio è il mio romanzo, il solo che avrei dovuto scrivere. Lo definisco il mio posto delle fragole, perché amo molto Bergman e le suggestioni di quel grande film pervadono il mio piccolo romanzo. Racconta la storia di un ritorno a casa, l’importanza delle proprie radici nella vita di un uomo, cerca di far assaporare il tempo perduto e ricostruisce il modo di vivere in provincia. Il calcio dilettantistico è la scenografia di fondo, perché il protagonista è un allenatore, ex calciatore di successo, che torna nella sua città natale e decide di non abbandonarla più. Calcio e acciaio racconta molte storie d’amore: per la propria città, per una donna, per il calcio… Il romanzo è frutto di tre anni di lavoro e deriva dai miei primi racconti, che uscirono nel 1998, sotto il titolo Lettere da lontano.

Pur essendo diretta da Fabio Zanello, la collana dedicata al cinema vanta molti titoli scritti di tuo pugno e/o in collaborazione con vari studiosi e critici: ricordiamo i volumi dedicati a Lucio Fulci, Enzo G. Castellari, Ruggero Deodato, Fernando Di Leo e soprattutto la gigante Storia del Cinema Horror Italiano, in (per adesso) 4 volumi. Recentemente, al Pisa Book Festival, ho acquistato il nuovissimo volume da voi pubblicato, ovvero l’intervista di Jan Švábenický ai cineasti Aldo Lado ed Ernesto Gastaldi. Nella prefazione c’è una frase dell’autore che mi ha colpito molto e che condivido in pieno: “Personalmente, non sono d’accordo con l’uso dei termini angloamericani usati adoperati per catalogare i generi popolari come B-movie, exploitation, kitsch, cinema bis, trash e molti altri, perché non si tratta dei termini storiografici oggettivi, ma di termini critici ed estetici…Sono uno storico e un ricercatore e, quindi preferisco definizioni valide da un punto di vista oggettivo”. Sei d’accordo con me nel definire questa frase come un manifesto di come andrebbe trattato il cinema di genere e popolare che amiamo molto? Ho sempre pensato che l’utilizzo di certi termini sia dovuto per un verso ad una rivalutazione a priori che va a sfociare in pura superficialità citazionistica (tipica del popolo medio del web) e dall’altro ad uno snobismo di fondo che – purtroppo – sempre ha convissuto con il cinema popolare. Sei d’accordo?

La collana cinema è uno dei nostri fiori all’occhiello e pubblica titoli che piacciono molto agli appassionati. Cerchiamo di dare spazio al cinema meno considerato dalla critica alta e parliamo di registi non sempre apprezzati dalla cinematografia ufficiale. Figurati che io ho pubblicato persino una dispensa gratuita su Nando Cicero. Jan Švábenický fa bene a ragionare così, ma io che non sono uno studioso, non posso pensarla come lui. Da divulgatore della materia, uso regolarmente termini come cinema bis, exploitation, kitsch, trash… ma questo non vuol dire che non tratto con rispetto il cinema popolare! Mi occupo con lo stesso piacere di Fellini e di Cozzi, di Pasolini e di Laurenti. Trovo del buono in tutto, di solito, o almeno trovo il motivo per cui vale la pena vedere o rivedere un film. L’altra sera mi sono visto due lavori di De Molinis, credo uno de peggiori registi del cinema italiano, ebbene, Candido erotico l’ho apprezzato più che vent’anni fa e l’ho definito un piccolo capolavoro.

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Al Pisa Book Festival 2014 sono stati presentati i romanzi di due giovani autori toscani. Simone Giusti è l’autore di “Guerre Corporative”, Federico Guerri di “24:00:00 – una commedia romantica sulla fine del mondo. Come sei entrato in contatto con i due autori? Quali sono le caratteristiche narrative che maggiormente ti hanno colpito dei loro libri?

Sono due autori molto diversi, ma entrambi dotati e promettenti. Federico Guerri è un uomo di teatro, scrive romanzi e monologhi con una facilità estrema, inventa trame e personaggi che ti fanno innamorare e non te ne puoi staccare. 24:00:00, per esempio, un grande romanzo sulla fine del mondo, sul cambio di prospettiva, ha tra i protagonisti uno scrittore che vuole compilare la grande narrazione, scrivendo il libro dei libri, il meglio di quello che è stato pubblicato. Un personaggio lunare, fiabesco, surreale e al tempo stesso poetico, pervaso dall’amore per la sua dolce compagna. Guerri viene dal successo di Questa sono io, un noir diverso dal solito, molto teatrale, che ha superato le mille copie di venduto in poco meno di un anno. Simone Giusti è uno scrittore naturale, molto cinematografico, amante dei generi thriller, fantastico, cyberpunk. La sua scrittura è rapida, senza fronzoli, intensa, precipita il lettore in un turbinio di eventi e in una serie di trame concatenate tra loro che si svolgono a una velocità impressionante. Fa anche il regista cinematografico e la serie Evoc (giunta al terzo episodio) è il suo fiore all’occhiello. Tra l’altro nella collana Demian abbiamo pubblicato il racconto da cui deriva la prima pellicola.

Rimaniamo un momento sulla narrativa. Sfogliando il vostro catalogo mi sono imbattuto in altri due titoli interessanti. “Freak Memories – 21 racconti brevi e storie di arte, musica e letteratura”, libro di Bruno Panebarco e “Cento milioni di mosche”, romanzo di Dino Del Ciotto. Puoi presentare ai lettori di TuttoMondo queste due pubblicazioni targate Il Foglio Letterario?

Panebarco è autore di Fedeli alla roba, un successo con Stampa Alternativa, da noi ristampato e ancora in catalogo. Lui è la memoria storica (sulla sua pelle) della generazione che è finita nel giro della droga negli anni Settanta. Fraek Memories riprende le atmosfere di Fedeli alla roba ed è un bel libro testimonianza. Cento milioni di mosche è il terzo romanzo del quarantenne Dino dal Ciotto. Racconta la storia di Vittorio, un ragazzo apatico e inconcludente che un giorno si trova a dover fare i conti con un grave problema e dispone di una sola settimana per porvi rimedio. Il romanzo è una storia d’amore, anche se non si direbbe, confusa tra personaggi surreali come improbabili biografi di Fellini, inesistenti zii hollywoodiani, feroci produttori di film pornografici, avvocati vendicativi, vecchietti lanciatori di dentiere e due imbranati killer pronti a far fuori il protagonista.

Quali sono le iniziative previste per l’anno nuovo? Vuoi anticipare qualche nome, titolo, indizio?

Un libro in uscita è il mio Soprassediamo!, che si propone di raccontare il cinema popolare di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Abbiamo l’Almanacco del Foglio Letterario, un libro agenda che raccoglie molti nostri autori e che celebra i 15 anni di casa editrice. Tu pensa che il primo lo facemmo nel 2003 e fu uno dei nostri primi libri. Completeremo la Storia del Cinema Horror Italiano e la Storia dello Spaghetti Western (di Matteo Mancini). Ma molto bolle in pentola… Dal 28 al 30 novembre saremo a Venturina per la Fiera della Creatività, poi faremo le fiere di Modena e di Imperia. E da buoni editori underground saremo spesso in piazza nella nostra Piombino a vendere libri, soprattutto a Natale!

 Ringraziando Gordiano Lupi per la sua immensa disponibilità, rinnovo l’augurio per il quindicesimo anniversario e invito tutti i lettori di TuttoMondo a sfogliare il folto catalogo virtuale della casa editrice piombinese.

 

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Tomas Ticciati
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