Quando l’artista diviene arte: The Keith Haring Show

Nel 2005 i quindici anni della morte di Keith Haring, una delle figure più in vista nel panorama artistico del secondo Novecento, hanno fornito il casus belli per una grande retrospettiva sul pittore della Pennsylvania in seno alla Triennale di Milano. L’esposizione, a cura di Gianni Mercurio e Julia Grue, ha occupato le sale neoclassiche del Palazzo Reale dal 28 settembre 2005 al 29 gennaio 2006 e pone un interessante interrogativo: cosa accade quando l’artista diviene arte?

Ovviamente non arte in senso stretto, piuttosto soggetto di ricerca artistica e filo conduttore dell’arte stessa. Non si trattava solo di un’esposizione (monumentale, peraltro, se si considera che constava di un corpus di un centinaio dipinti, opere murali, disegni, sculture e opere su carta di grande formato) volta alla diffusione della conoscenza dell’opera di Haring presso il grande pubblico, era la ricostruzione minuziosa dell’attività artistica di Keith Haring con uno sguardo attento agli elementi che l’hanno influenzata: gli elementi autobiografici ma anche la sua fondamentale ricerca estetica, le varie esperienze artistiche precedenti o contemporanee che il pittore ha scelto di fagocitare e inglobare nel proprio lavoro, citandole in modo palese oppure rielaborandole secondo il proprio stile. In definitiva è proprio questo l’obiettivo primo di Keith Haring: riassumendo in modo sicuramente superficiale, aggregare, inglobare e metabolizzare i differenti linguaggi dell’arte, fino a giungere a un modo di comunicare con lo spettatore diretto e ampiamente fruibile.

A questo proposito, è molto interessante la musica ambientale composta appositamente per l’esposizione dal M° Lorenzo Ferrero con la collaborazione di Nicola Guiducci, una musica che va a ricollegarsi al peculiare modus operandi di Keith Haring. La composizione di Ferrero si segnala per la sapiente combinazione di elementi musicali (ma non solo) fortemente eterogenei tra loro: estratti dalle più popolari musiche degli anni ’80, frammenti dal gusto prettamente classico di alcune composizioni dello stesso Ferrero e un vasto catalogo di suoni rielaborati al sintetizzatore. 

Il riferimento alla musica degli anni ’80 è particolarmente rilevante dato che, come si può evincere dalla lettura dell’articolo Crack is Wack/ Don’t believe the hype: Keith Haring e la musica di Virginia Monteverdi, l’interesse di Keith Haring per determinati generi musicali ha avuto fondamentali ripercussioni sulla sua attività artistica. A questo proposito può risultare interessante sapere che lo stesso Haring era legato da profonda amicizia al sopracitato Nicola Guiducci, storico dj e proprietario – assieme a Lucio Nisi – della discoteca milanese Plastic. La profonda amicizia con Guiducci e la frequentazione del Plastic (pare che prendesse l’aereo appositamente per andarci a ballare il fine settimana) rappresentano uno dei motivi principali che giustificano l’esistenza di un così saldo legame tra il nome di Keith Haring e quello della città di Milano, in particolare con i luoghi dove creava, come ricorda Guiducci in un’intervista a Repubblica: «il negozio Fiorucci, la galleria di Salvatore e Caroline Ala, che allora era in via Mameli, e il laboratorio di Pedano, in viale Umbria, dove creava le sculture». La musica dello stesso Guiducci riveste un ruolo di primissimo piano all’interno della sfera artistica di Haring: non solo disse che «Nicola mette della musica che mi fa sentire come se fossi a New York», ma anche che – cosa ben più importante – creava con la sua musica in testa. A confermarlo è proprio Nicola Guiducci, nella già citata intervista a cura di Luigi Bolognini: «Sì, e per nulla metaforico. Perché quando non era a Milano io incidevo e gli spedivo delle cassette con le mie ultime scoperte e creazioni. E lui le ascoltava mentre dipingeva e scolpiva, lo ispiravano, gli davano la carica. Quando i suoi omini ballavano, insomma, lo facevano anche al ritmo della mia musica».

Il tema dell’artista come oggetto di indagine da parte del mondo esterno – un sostanziale rovesciamento del comune “modo di procedere” – è stato anche il fil rouge della recente mostra, sempre a Palazzo Reale, avvenuta dal 21 febbraio al 18 giugno 2017, curata ancora una volta da Gianni Mercurio. Come la celebre mostra del 2005, anche Keith Hairng. About art vantava un catalogo assolutamente notevole: ben centodieci opere (alcune di dimensioni monumentali), diverse delle quali mai esposte o addirittura inedite in Italia. 

Il modo poco convenzionale ma sicuramente affascinante in cui si è deciso di instaurare un rapporto dialettico tra l’artista, lo spazio ospitante e il pubblico ha il gran merito di aver fornito in unica soluzione una sintesi tra un nuovo modo di rendere fruibile un artista al grande pubblico, stimolare un forte pensiero critico e porre lo stesso artista sotto nuovi riflettori, in cui la sua figura si sposta dal tradizionale ruolo di creatore ed entra funzionalmente all’interno del processo creativo, un risultato che probabilmente incontrerebbe l’approvazione di Haring.

 

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