E l’Aretin mi disse: «Quel folletto è Gianni Schicchi»

Il terzo ed ultimo pannello che andrà a chiudere il Trittico Hindemith/Puccini che sarà rappresentato oggi 19 novembre e domani al Teatro Verdi di Pisa è il capolavoro comico di Puccini: Gianni Schicchi.

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Gianni Schicchi, figurino di Carramba per la prima rappresentazione dell’opera omonima, 1918

Quest’opera è fortemente collegata alle genesi del Trittico pucciniano, difatti quando Giacomo Puccini concordò col librettista Giovacchino Forzano l’idea d’un Trittico, il compositore aveva già le idee ben chiare sui generi operistici cui dovessero appartenere le tre “pannelli”: verista (Il Tabarro), lirico (Suor Angelica) e comico (Gianni Schicchi, per l’appunto). L’opera verista era già in fase di composizione e Forzano stava ultimando il libretto di Suor Angelica, ma mancava ancora il soggetto comico; Forzano lo trovò nel XXX Canto dell’Inferno di Dante, condannato in quanto «falsatore di persone»:

E l’Aretin che rimase, tremando 
mi disse: «Quel folletto è Gianni Schicchi, 
e va rabbioso altrui così conciando.
[…] Sostenne
per guadagnar la donna de la torma, 
falsificare in sé Buoso Donati, 
testando e dando al testamento norma».

Quello che Dante tratteggia in modo tanto aspro e severo, nelle mani di Forzano si rivela un episodio dalla eccezionale vis comica, complici le argute trovate dal gusto spiccatamente toscano per l’umorismo, e forse è proprio per questo che Puccini dedica allo Schicchi la musicalità e l’orchestrazione più raffinata e all’avanguardia dell’intero Trittico.
Difatti la musicalità di Gianni Schicchi è solo apparentemente semplice; molto affascinante la didascalicità che Puccini affida alla propria musica: similmente ai suoi predecessori, in particolar modo Verdi e Wagner, Puccini utilizza brevi archi melodici, piccoli temi musicali, che sottolineano una particolare situazione o la vogliono evocare. È il caso del Preludio in cui si contrappongono quelli che il M° Pietro Busolini identifica come tema del lutto, un ostinato di crome, e ritmicamente puntato tema della meschinità, così come appare spesso il tema dell’inganno, una piccola fanfara di triadi ribattute, ad esempio nell’arioso di Rinuccio Avete torto e Puccini sottolinea queste parole con il tema dell’inganno proprio per metterci in guardia e farci capire che le cose non andranno come programmato. L’inganno di Gianni, infatti, è duplice poiché non solo si sostituisce al defunto Buoso Donati (la notizia del cui decesso è nota solo ai familiari) per modificare il suo testamento ed evitare che tutti i suoi averi vadano ai frati di Signa piuttosto che al parentado, ma inganna gli stessi parenti di Buoso modificando il testamento a proprio beneficio senza poter – naturalmente – essere smascherato.

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Foto del cast della prima rappresentazione a New York nel 1918 (© Archivio Storico Ricordi)

Molto interessante anche l’utilizzo di ritmi ben definiti e concisi: genericamente nella partitura prevalgono tempi rapidi e ritmi in 2/4 o 4/4 (difatti lo Schicchi è spesso chiamata “l’opera dei legni”, in quanto sono proprio i legni gli strumenti cui il compositore fa più frequentemente ricorso), per evidenziare il colore vivace e la concitazione del libretto, quindi in diretta contrapposizione con le tinte opprimenti del Tabarro (o, come in questo caso, coll’angoscioso carattere di Sancta Susanna) e con le atmosfere eteree di Suor Angelica. Inoltre, a differenza delle altre due opere, lo Schicchi è pervaso da una sorta di spirito cameristico in quanto difficilmente gli strumenti suonano tutti assieme; genericamente il compositore preferisce utilizzare specifici gruppi strumentali per meglio caratterizzare la scena. È proprio questo l’aspetto più straordinario dell’opera, la caratterizzazione: abbiamo ben quindici personaggi, sostanzialmente un coro, ma Puccini piuttosto che trattarli come un elemento omogeneo e unitario, riesce a dare una precisa connotazione musicale ad ogni personaggio. Ad esempio, per far risaltare in modo ancor più evidente l’ipocrisia dei parenti di Buoso il Maestro utilizza in generale un gran ventaglio di tonalità in maggiore, mentre riserva le tonalità in minore proprio ai parenti.

Sono molti gli esempi che si potrebbero produrre per sottolineare la grandezza dello Schicchi, come gli episodi musicali sostenuti da «ostinati ribattuti spesso inaspriti da episodi politonali e dallo scontro di taglienti dissonanze di sapore bartokiano» (Michele Dall’Ongaro), oppure i molti momenti contrappuntistici, l’intensivo uso del cromatismo nell’accompagnamento orchestrale e viene da domandarsi come mai Puccini abbia dato fondo alla sua creatività proprio in questo soggetto. Sicuramente una gran parte del merito va all’ambientazione e dalle trovate umoristiche gustosamente toscane (ad esempio, Simone accende le candele nella camera ardente del defunto Buoso non appena il suo nome compare nel testamento, ma le spegne quando comprende che non riceverà assolutamente nulla), ma è interessante notare che Puccini aveva una singolare preoccupazione: al suo librettista raccomandava sempre di scrivere un libretto da opera vera e propria, nonostante si tratti di una commedia, e non di scrivere pensando di star lavorando a un’operetta: «Io non compongo operette» è il lapidario commento di Puccini, che per ribadirlo in modo ancor più netto ha pensato bene di chiudere il suo Trittico con una delle migliori opere comiche che il teatro ricordi.

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Luca Fialdini

lfmusica@yahoo.com

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