L’America svelata di Duane Hanson

Fibra di vetro colorata e tanta vita per Duane Hanson, classe 1925, americano di nascita e grande osservatore della sua epoca. Le sue sculture  sono un inno allo stereotipo, un invito alla presa di coscienza: la loro aura di iperrealismo si libera nel silenzio delle sale museali come una grassa, inopportuna risata che irrompe nel buio di una sala cinematografica, durante la tragedia del momento catartico.

È così che Hanson si fa portavoce del disagio della sua (ormai perfino nostra) epoca; sotto quell’ esasperazione realistica dei suoi soggetti antropomorfi soggiace una cruda verità: come dichiarò lo stesso Hanson nel corso di un’intervista: “Non riproduco la vita, faccio una dichiarazione sui valori umani. La mia opera si occupa di persone che conducono un’esistenza di calma disperazione. Mostro il vuoto, la fatica, l’invecchiamento, la frustrazione. Queste persone non sanno reggere la competitività. Sono degli esclusi, degli esseri psicologicamente handicappati.” 

Turisti è il titolo di una serie di gruppi scultorei realizzati in più versioni: da quella del 1970 a quella del 1988. L’America che Hanson mostra è quella dei frequentatori di fast food, dei turisti del “tutto compreso”, vestiti di camicie hawaiane e calzettoni bianchi a vista, fieri portatori di uno sguardo vuoto e assente, di un atteggiamento di grande aspettativa; la macchina fotografica al collo è d’obbligo: manca solo la giusta prospettiva verso le cose della vita.

D. Hanson, Turisti, 1988

D. Hanson, Turisti, 1988

Davanti a Turisti, 1988 si ha l’impressione del deja-vu, il richiamo alla mente della celeberrima scena delle Vacanze Intelligenti di Alberto Sordi è naturale, soltanto che stavolta l’arte ci parla davvero di qualcosa: dell’inappetenza culturale volta a favore dell’escursionismo di massa.
Hanson ci offre il suo specchio e ci permette di osservare e di osservarci : di vederci riflessi, seppur in maniera degenerata, eppure sempre molto concreta, nell’ immobilità degli istanti di vita che egli elèva a stato d’arte : è il sogno americano che si sgretola cedendo il passo all’ incubo, tutto contemporaneo, dell’apatia intransigente.

Duane Hanson morì il 6 gennaio del 1996 all’età di settant’anni, nella sua arte si era servito delle grandi proiezioni fotografiche su parete per dare vita tridimensionale alla fotografia, modellando resine, fibre vitree e poliestere, ebbe il coraggio di svelare e rivelare aspetti fondanti ed evidentemente ricorrenti della società di massa, già musa ispiratrice della pop art.

La corrente iperrealista, della quale fu grande esponente, non gli sopravvisse a lungo: sebbene oggi qualcuno si cimenti nell’arte di cui Hanson fu grande maestro, spetta a lui il grande merito di aver colpito, impressionato e  guidato il fruitore della sua opera, verso un sentimento di sana e profonda autocritica.

 

Giulia Buscemi

 

 

 

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