La materia dell’arte: pura cosa mentale

Nel pensiero artistico contemporaneo tutto ciò che esiste può divenire materiale d’arte. Il materiale assume importanza quando l’occhio dell’artista lo giudica tale: può essere nobile, come l’oro o il bronzo, ma anche umile, come un sasso o una foglia, o astratto e concettuale come un sospiro.

Ciò che conta è l’uso creativo, geniale, magico o persino disturbante del materiale che l’artista sceglie per dare voce alla propria sensibilità.

Per secoli non fu possibile uscire dagli schemi codificati dei materiali atti a produrre un’opera d’arte, botteghe e manuali tramandavano gesti e sapienza ma al tempo stesso imponevano codici, materiali e iconografie, quelle accettate dalla nobiltà e dalla Chiesa, che per secoli furono gli esclusivi committenti di quasi tutta la produzione artistica occidentale. Poi arrivò la rivoluzione industriale e sorse un nuovo ceto, la borghesia, che presto fece suo il piacere di possedere un’opera d’arte. Così nel corso di poco più di un secolo tutto cambiò. Gli impressionisti scardinarono la sacralità dell’atelier, quella misteriosa fucina in cui si creavano le opere d’arte: andandosene tranquillamente a spasso con un armamentario del tutto nuovo coglievano estasiati i fenomeni atmosferici e il cambiamento delle stagioni, la vita nelle città e nelle campagne.

I tubetti di colore come li conosciamo oggi nacquero proprio da questo modo nuovo di intendere la pittura. Infatti, come si poteva girare per i boschi e le città portandosi dietro i colori in delicati vasetti di vetro, preparati secondo le istruzioni del più famoso manuale di pittura, Il libro dell’Arte di Cennino Cennini, scritto alla fine del Trecento e per secoli considerato una sorta di Bibbia degli artisti?

Tubetti di colore

Macinare il cinabro su pietra di porfido, pestare lapislazzuli e azzurrite nel mortaio di bronzo, mescolare all’allume, usare pennelli di vaio e carboncini ottenuti bruciando lentamente in forno rametti di salice, schiacciare le povere cocciniglie per ricavarne un bel rosso (e va bene che sono dannose per le piante, ma per fare un po’ di rosso ne servivano migliaia) e passare ore e ore a preparare tavole e tele, colori e diluenti: no, tutto questo non si poteva più fare.

Così secoli e secoli di codificazione dei materiali dell’arte scomparvero nel giro di pochi anni, dapprima messi in crisi dal bisogno di una nuova libertà creativa che cercava negli spazi aperti le infinite variazioni della luce naturale. Poi furono abbandonati il chiaroscuro e la prospettiva, e il colore stesso venne trasformato, diviso, sovrapposto e ricomposto attraverso la retina mediante le teorie del Divisionismo e del Pointillisme, mentre Cubismo e Astrattismo segnarono il netto abbandono della fedeltà formale a corpi e oggetti. A seguire furono abbandonati tele, pennelli, creta e bronzo per una ricerca sempre più concettuale ed estrema: il Dadaismo, con i famosi Ready-made, arrivò a usare oggetti correnti, estrapolati dal loro contesto per essere inseriti in spazi artistici e trasformati in veri oggetti d’arte. Da quel momento non fu più la mano dell’artista a prevalere, ma la sua mente. Come scrisse Joseph Kosuth “Tutta l’arte (dopo Duchamp) è concettuale (in natura) perché l’arte esiste solo concettualmente.” Leonardo, che era avanti a tutti, già nel ’400 aveva scritto che la pittura doveva essere pura cosa mentale.

Marcel Duchamp, Fontana

Procedendo nella rarefazione concettuale, nel corso del ’900 si è arrivati a usi apparentemente incongrui anche del corpo e di “materiali umani”. E’ rimasta famosa la Merda d’Artista di Piero Manzoni, inscatolata e numerata diligentemente in 90 scatolette da 30 grammi, prodotte nel maggio del 1961 e vendute al prezzo corrente dell’oro.

Piero Manzoni, Merda d’artista

Yves Klein usava invece i corpi delle sue modelle come fossero pennelli, ricoprendoli del famoso Blu Klein e muovendoli poi su enormi fogli bianchi in performance affollatissime. Si è giunti così agli usi estremi del corpo dell’artista, considerato come luogo stesso dell’arte, e quindi usato, legato, esaltato o negato, addirittura profanato, come in alcune performance di Marina Abramovic e di Orlan.

Bill Viola, The Greeting

Un passaggio ulteriore si è avuto con l’uso dei nuovi mezzi visivi contemporanei, che ha ampliato ulteriormente la possibilità di esprimere concetti artistici con mezzi non tradizionali, come nei video potenti e bellissimi di Bill Viola, uno dei primi a usare questo mezzo per sperimentazioni artistiche di grande suggestione. Nelle sue opere Viola si confronta con immagini mutuate dalla cultura visiva rinascimentale, filmate con tempi rallentati e solenni che rendono le rappresentazioni intense e drammatiche. Diversamente concettuale è l’opera di Bruce Nauman, che nei suoi lavori forgia scritte iconiche con tubi luminosi colorati.

Bruce Nauman

Oggi l’arte contemporanea è un intreccio di linguaggi e tecniche che si sovrappongono mescolandosi e a volte scontrandosi, un grande insieme di alto e basso, un compenetrarsi di concetti e materiali innovativi con quelli più tradizionali, perché nel frattempo si è assistito anche al ritorno di alcuni alla rappresentazione visiva più classica.

L’artista ha quindi oggi a disposizione una gamma di materiali impensabile solo fino a pochi anni fa, ma sempre uno solo è il suo scopo: rivelare verità sconosciute, andare oltre il comprensibile, vedere oltre e indicarci strade nuove.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Claudia Menichini
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