La maestria unica di Wes Anderson

Le avventure acquatiche di Steve Zissou (The Life Aquatic with Steve Zissou, Wes Anderson, 2004)

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Una cosa è certa: Wes Anderson (1969) è uno di quei registi che partendo da ambienti puramente indie – e in un certo qual modo rimanendoci – è riuscito ad acquistare con il passare degli anni una rilevanza internazionale e commerciale (The Grand Budapest Hotel ha incassato qualcosa come 175 milioni di dollari nel mondo). Oltre alla maestria nel sapere utilizzare l’inquadratura come un vero e proprio quadro, un tableau vivant, composto da pedine antropomorfe e da colori sempre carichi e saturi, Wes Anderson si è ritagliato un posto importante tra i grandi della settima arte anche per aver riempito le sue pellicole d’attori rinomati: quelle facce che hanno aiutato molte storie ad accrescere la loro carica emotiva, fino a farle entrare nell’immaginario collettivo (cosa che il cinema americano degli anni Zero non usa più fare).

Il merito di aver ripescato, a fine anni ’90, il talento cristallino e malinconico di Bill Murray è un altro pregio del regista da tramandare ai posteri.

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Le avventure acquatiche di Steve Zissou, scritto da Anderson insieme a Noah Baumbach, è la storia dell’esploratore e documentarista oceanografico Steve Zissou (interpretato da Murray), che, abbattuto per la morte del suo partner lavorativo Esteban, divorato dal fantomatico squalo giaguaro, orienta la sua esistenza verso la ricerca di questo predatore del mare, per una improbabile vendetta, ma soprattutto per girare il documentario definitivo della sua carriera, dopo un periodo costellato di fallimenti.

Se questo è il filo narrativo sul quale si sviluppa il film, possiamo riscontrare che all’interno di esso è presente una stratificazione di eventi e di situazioni – spesso buffe, a volte sentimentali, mai alla ricerca della lacrima facile – volta a creare un microcosmo fatto di legami familiari tra terra (Ned, il figlio ritrovato di Zissou) ed acqua (lo squalo giaguaro).

L’acqua è la protagonista assoluta: larga parte del film si svolge sulla Belafonte, imbarcazione che Wes Anderson rende ancora più magica tramite una costruzione dell’immagine tipica delle case delle bambole, con una vista – per lo spettatore – a sezione che permette di vedere gli interni del natante-laboratorio. Le animazioni in stop-motion delle creature subacquee di Henry Selick ci permettono di entrare in empatia con questa fasulla e variopinta riproduzione di una realtà che si avvicina sia al meta-cinema che al mockumentary.

C’è molta Italia nelle ambientazioni settantiane de Le avventure acquatiche di Steve Zissou. Napoli, Roma, il Mediterraneo sono le location scelte da Wes Anderson per dare alla pellicola un sapore fortemente europeo, per tributare Federico Fellini visto che «per Le avventure acquatiche di Steve Zissou abbiamo pensato tanto ad un film come 8 1/2», affermò il regista a Federico Gironi di “Nocturno”, in un’intervista del 2006.

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La frase di chiusura del film – «in memory of Jacques-Yves Cousteau and with gratitude to the Cousteau Society, which was not involved in the making of the film» – rispecchia la volontà di Anderson di tributare, tramite la figura di Steve Zissou, il famoso esploratore e documentarista francese.

Ciò nonostante il film si tiene lontano da uno sterile calligrafismo che non rientra nei binari stilistici del regista texano. Sono di Andrea Bruni le parole che più mi hanno convinto nel cercare di concludere questo articolo con una definizione arty del cinema di Wes Anderson: «ogni suo film è uno story-board “ipocinetico” disegnato da un grande artista Avant-Pop… come uno spettacolo di pupi siciliani col copione scritto da Beckett».

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Tomas Ticciati
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