Quattro romanzi italiani sulla Grande Guerra

Nel panorama abbastanza desolante della narrativa italiana contemporanea il centenario della Grande Guerra ci ha finora regalato quattro romanzi che, quanto meno si distinguGrande guerraono.

Presagio” di Andrea Molesini (Sellerio 2014), la cui trama è incentrata sulla figura storica di Niccolò Spada, fondatore dell’Hotel Excelsior di Lido di Venezia, è un’elegante elaborazione narrativa, sul tema, diffusissimo nella letteratura mitteleuropea, da “La montagna incantata” di Thomas Mann fino a “La marcia di Radetszky” di Joseph Roth, della Grande Guerra come fine dei valori umanistici e cosmopolitici della civiltà europea. L’abbiamo trovato molto più interessante del più fortunato e più convenzionalmente romanzesco “Non tutti i bastardi sono di Vienna” (Sellerio 2011) con cui l’autore ha vinto il Premio Campiello.

Grande guerraL’invisibile ovunque” (Einaudi 2015), del collettivo bolognese Wu Ming, è una raccolta di racconti di valore, a nostro giudizio, eccezionalmente alto. I Wu Ming affrontano soprattutto due tematiche che hanno in comune il limite tra la realtà storica e l’immaginario: la pazzia, sia come espediente per sfuggire a una realtà al di là di ogni ragione, che come conseguenza reale di situazioni più estreme di qualsiasi invenzione; e i tentativi di alcuni pittori surrealisti di utilizzare a fini bellici la tecnica del “camouflage”, di un travestimento in cui si perdono i confini tra il reale e l’immaginabile. Riescono in questo modo a piegare la tecnica, tipica del collettivo, della “docufiction”, che di per sé tende a esiti iperrealisti, fino a renderla capace di rappresentare una esperienza umana che gli stessi poeti che la vissero considerarono al di là di ogni ordinaria possibilità di comunicazione.

Grande guerra“Come sugli alberi le foglie” di Gianni Biondillo (Guanda 2016) è un romanzo storico sulla generazione di giovani poeti, musicisti e artisti figurativi che sognarono di rivoluzionare i loro linguaggi adeguandoli alla realtà sconvolgente dell’industrializzazione, credettero nel Futurismo, pensarono che la guerra potesse essere “igiene del mondo” o comunque rottura delle incrostazioni del potere, e che, nell’impatto drammatico con l’esperienza della guerra reale trovarono in molti casi la morte, in altri la disillusione, in altri la via per inserirsi in una “stanza dei bottoni” che avrebbe ben presto assunto la forma del regime fascista, che però, una volta consolidatosi, preferì il classicismo celebrativo alle sperimentazioni avanguardistiche. Il libro, specie nelle parti documentarie, è a tratti interessante e godibile. Non funziona abbastanza, però, quello che vorrebbe essere il filo conduttore romanzesco, la biografia dell’architetto comasco Antonio Sant’Elia morto in guerra nell’ottobre 2016 e la storia della sua relazione con un’evanescente Clio.

Grande guerraPrima dell’alba” di Paolo Malaguti (Neri Pozza, 1917), è di un livello forse più ordinario rispetto a “L’invisibile ovunque”, ma merita assolutamente di essere letto per la forza con cui denuncia quei risvolti della guerra su cui si è cercato per decenni di far calare il silenzio. Il romanzo fonde tecniche giallistiche (l’inchiesta dell’Ispettore Ottaviano Malossi) e tecniche di ricostruzione storica da una prospettiva bassa, ricreata anche ricorrendo al gergo delle trincee e a una lingua fortemente ibridata del parlato del Nordest (l’esperienza di guerra del “Vecio” tra Caporetto, il Piave e un ospedale militare di Bologna), per avanzare un’ipotesi su un fatto storico: la morte del generale Andrea Graziani, sovrintendente allo sgombero dopo Caporetto e poi Luogotenente Generale della Milizia Volontaria sotto il Fascismo. Il corpo del generale fu ritrovato il 27 febbraio 1931 sulla massicciata della ferrovia tra Prato e Firenze, e la sua morte fu immediatamente derubricata a tragico incidente per volontà del regime, che non voleva che si rivangassero le imprese, in cui il personaggio si era distinto, di spietato fucilatore di soldati italiani, non sempre disertori o sbandati, ma anche solo responsabili di atti minimi di indisciplina. L’ipotesi su cui il libro è costruito prende spunto dalla fucilazione del soldato ventiquattrenne Alessandro Ruffini, già veterano del fronte dell’Isonzo, reo solo di non aver buttato via il sigaro mettendosi sull’attenti a un’improvvisa ispezione del generale durante un trasferimento nelle retrovie, dalla linea del Piave a Padova. Ogni capitolo del libro è dedicato alla memoria di alcune delle vittime di questa “giustizia” di guerra, che furono complessivamente più di mille, e che meriterebbero di essere onorate come tutti gli altri caduti di quell’inutile strage.

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