Sei gradi di separazione considerazioni di un giovane 3.0

Nei giorni del Pisa Book Festival, tra i vari stand, ce n’è stato uno che mi ha colpito particolarmente: le edizioni Bel Ami, che vendevano (e vendono tuttora) questa graphic novel dal sapore esistenziale.

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Sei gradi di separazione di Matteo Farinella è un omaggio alla celebre teoria di Stanley Milgram, secondo la quale, per connettere due individui qualsiasi, bastano in media sei passaggi. Sul retro della copertina si legge “Forse anche meno, in una società come la nostra connessa da reti digitali e dalla possibilità di viaggiare molto più facilmente”.

Relazioni a distanza. Se ne parla tanto, ce ne sono tante. Nascono in vacanza, in occasioni particolari, a volte direttamente sui social network e solo in un secondo momento si materializzano, trovano il loro carburante negli spazi social. Anni fa, nemmeno tanti, avere una relazione a distanza era affare serio: bollette del telefono, biglietterie, francobolli e poste erano solo alcuni dei tanti ostacoli agli amori di lungo chilometraggio. Oggi si può facilmente vedere in tempo reale il volto della persona cara, parlare per mezz’ore intere al telefono non è più un grosso problema, ci si scrive in continuazione, insomma, sembrerebbe proprio che le relazioni a distanza siano, in un certo senso, scontate. O perlomeno facili da gestire.

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Ma forse è solo un’amara illusione. La tecnologia accorcia le distanze, le relativizza. Ma non le elimina. Non del tutto. Anzi, a volte le aumenta; chi, della mia generazione, non conosce la pena che si prova davanti a un messaggio che tarda a partire o l’assurda colla per occhi che è il “visualizzato” non corrisposto? Chi non ha presente il senso di solitudine che ne deriva? È una solitudine nuova, della nostra generazione;  la solitudine è parte integrante dell’esperienza umana ma questo tipo è indubbiamente generazionale e facile preda di incomprensioni da parte dei “migranti digitali” che sono i nostri genitori, i nostri avi, che proprio non vedono da dove nasca la questione.

E allora il senso di smarrimento sale. Se un tempo la distanza era effettiva, tangibile, reale, oggi è stravolta, perché è relativizzata ma al tempo stesso accentuata; è un elemento conflittuale che pone delle barriere laddove si pensava fossero crollate. Distanza quindi non solo come misura fisica, ma anche e soprattutto come vagabondaggio interiore. Visioni, paranoie, proiezioni di filmati mentali.

Questa è la generazione 3.0.

Sei gradi di separazione lo spiega bene, con immagini e parole ben dosate e terribilmente abili nel raschiare il pavimento delle più buie cantine che stanno sotto alle nostre perfette case di giovani del terzo millennio.

 10748745_1523796297863146_1898231803_nEmanuele Tognetti

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