Il divino nelle campagne di Pisa

Il restauro del Giudizio Universale del ciclo del Trionfo della Morte

PISA – Una mattina di pioggia, due capannoni in una stradina della prima campagna vicina al centro di Pisa, una piccola porta aperta da cui si intravedono figure su un fondo azzurro.

Entro e ho un attimo di stordimento, mi sento distaccata di colpo dalle cose terrene e immersa nel divino, circondata da grandi figure: angeli e santi, regine e apostoli, monaci e diavoli, la Vergine e il Cristo Giudice e una folla di dannati, dai volti straziati dall’angoscia e dallo stupore del castigo, e di beati dall’aria ferma e composta. E colori, colori bellissimi, tutte le sfumature degli azzurri, delle terre, delle malve, dei gialli, dei verdi, dei rosa, un turbinio che l’occhio non riesce a catturare per intero, ma che tocca profondamente l’anima.

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Poi le voci e il rumore delle sedie spostate mi hanno riportata a terra, fra cose umane, come umana purtroppo è stata la distruzione degli affreschi del Camposanto Pisano, avvenuta il 27 luglio del 1944. Uno spezzone di granata provocò l’incendio del tetto e la colatura delle lastre di piombo che lo ricoprivano, e per tre giorni gli affreschi furono esposti a temperature elevatissime, che quasi li “cossero”.

Altrettanto umana è stata però anche la volontà fortissima di riportarli in vita. Alla fine degli anni Novanta l’Opera della Primaziale Pisana nominò una direzione lavori presieduta allora dal prof. Umberto Baldini e oggi dal prof. Antonio Paolucci, con la supervisione dei capi restauratori Carlo Giantomassi e Gianluigi Colalucci. Da allora, un team di persone ha lavorato con pazienza, determinazione, rigore e scientificità, nella ferma convinzione di poter riportare le opere, almeno in parte, allo splendore originario della decorazione del Camposanto Monumentale, un’opera immensa, costituita da quasi duemila metri quadrati di decorazioni murarie, iniziate nel 1300 e proseguite fino all’inizio del Seicento.

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Il Camposanto Monumentale divenne una delle mete imprescindibili del Grand Tour, raffigurato in dipinti e disegni, raccontato in lettere e diari. Certo noi non potremo ammirare la bellezza e la grandiosità della visione ante distruzione. In particolare non rivedremo più il luccichio dell’oro che illuminava le corone di re, regine, angeli e santi o che sapientemente toccava i finimenti o i particolari degli abiti, dato che l’oro veniva steso a freddo sopra gli affreschi già ultimati, e per questo fu il primo a sciogliersi al calore del fuoco. Altri affreschi sono stati irrimediabilmente distrutti, ma il lavoro fatto dai restauratori ha dell’incredibile. Hanno lavorato su strati pittorici sottilissimi, a volte di soli otto micron, riposizionando frammenti per ricomporre le immagini. Hanno tolto le opere strappate dall’intonaco dai vecchi supporti di eternit, scelto nel periodo postbellico nel primo affannoso tentativo di salvare gli affreschi, trasferendole su nuove superfici. Hanno poi genialmente risolto il problema di rimuovere la caseina che era stata usata nello stesso periodo per far aderire gli strappi ai supporti, e che con gli anni aveva provocato grossi problemi. Per far questo hanno usato speciali batteri coltivati dal microbiologo Giancarlo Ranalli dell’università di Campobasso, che li ha addestrati a nutrirsi della caseina sul retro dell’affresco e di altre colle animali sulla superficie. Per risolvere il problema della condensa dopo la ricollocazione delle opere nel Camposanto hanno inventato un sistema di retro riscaldamento della superficie dell’affresco, che ne innalza la temperatura di due, tre gradi, evitando pericolose condense che alla lunga andrebbero a compromettere la superficie pittorica. Il sistema, unico a tutt’oggi, è gestito da un complesso apparato di sensori che ogni dieci minuti rileva l’umidità, attivando il riscaldamento quando necessario.

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L’unione delle più avanzate risorse scientifiche genialmente affiancate alla manualità e alla sapienza pittorica dei restauratori ha fatto sì che il restaurato Giudizio Universale del ciclo del Trionfo della Morte, attribuito a Buonamico di Martino da Firenze detto Buffalmacco, abbia ancora oggi, dopo tutta la sua storia travaglia, un impatto emotivo e visivo grandissimo.

Fra breve l’affresco sarà ricollocato in parete nel Camposanto Monumentale, e tornerà a dialogare con le altre opere, perché anche il visitatore di oggi possa rivivere le stesse emozioni dei viaggiatori del Grand Tour.

Claudia Menichini

Francesco Bondielli
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