Superare conformismo e consenso. La nuova sfida del giornalismo

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PERUGIA – Si è da poco conclusa la X edizione del Festival internazionale del Giornalismo di Perugia, cinque giorni in cui la città umbra è stato teatro di 259 eventi, luogo di incontro delle più autorevoli voci del giornalismo nazionale e internazionale, con un bilancio decisamente lusinghiero di 55/65 mila presenze stimate. Un successo che ci conferma quanto sia forte nel nostro Paese il bisogno di informare, informarsi e raccontare storie.Molti i panel del Festival, tra questi uno particolarmente interessante, dal titolo “Giornalismo politico, propaganda, conformismo e consenso”, ha visto importanti voci del nostro giornalismo intervenire su un tema scottante come quello della sfida che si pone oggi al mondo del giornalismo di fare informazione libera, autonoma e plurale. Protagonisti del dibattito Mauro Calise (professore all’Università di Napoli Federico II), Marco Damilano (vicedirettore L’Espresso), Jacopo Iacoboni (giornalista della Stampa), Wanda Marra (giornalista del Fatto Quotidiano) e Alessandra Sardoni (giornalista e conduttrice di Omnibus per La7).

Il politologo Calise ha messo l’accento sul ruolo che oggi i giornalisti hanno come «professori di quella cultura della comunicazione», parlando del cosiddetto “Fattore M” (dove M sta per Magistratura e Media) per spiegare «la crescita all’interno del sistema politico italiano, e non solo, del ruolo dei media e della magistratura e del conseguente cortocircuito fra questi due poteri». Partendo da tale assunto, la domanda che si pone è: «In che misura il giornalismo, e in particolare quello politico, si percepisce oggi come un nuovo potere e che tipo di potere esercita?».

Il giornalismo in Italia ha avuto, e in parte conserva ancora oggi, una sua centralità.Ma se esso è stato, come ricordato da Damilano, teatro privilegiato della lotta politica della nel corso di tutta la Seconda Repubblica, lo stesso non si può dire oggi dove, il giornalismo, pur avendo formalmente lo stesso potere, di fatto vive un momento di messa in discussione della sua autorevolezza. In uno panorama nel quale il potere politico sta riprendendo forza, quello a cui assistiamo è di fatto uno svuotamento di tutti gli altri poteri, compreso quello dell’informazione. Questo ha come conseguenza la delegittimazione del ruolo importante che il giornalista può e deve svolgere all’interno di una società democratica, finendo per incorrere nel rischio dell’autocensura e del conformismo. Damilano ha definito questa situazione come l’anticamera del prototipo del “giornalismo dimezzato” (voce dell’area di governo o cassa di risonanza del partito di opposizione): «Un giornalista dimezzato è prima di tutto un giornalista conformista che consegna quel poco di potere che ha direttamente nelle mani di qualche padrone».

Ciò non ci può non far interrogare sull’atteggiamento con il quale il giornalismo si pone e accoglie oggi la nuova narrazione della politica, nella sua difficoltà a essere contraltare critico agli altri poteri. Iacoboni individua, tra le possibili cause di questa tendenza, il venir meno di una coscienza di gruppo della categoria, complice in ciò una generica difficoltà di elaborazione teorica dal parte del mondo giornalistico di questa diffusa inclinazione a un certo conformismo e alla ricerca forzata del consenso. Assuefazione al conformismo che trova il suo contraltare, non meno pericoloso, nella tendenza, invece, da parte di certo mondo dell’informazione, a promuovere la personalizzazione estrema della figura del giornalista, a scapito della capacità di veicolare contenuti significativi. A ciò si aggiunge un problema di prassi, un’ abitudine diffusa e trasversale al conformismo, una certa pigrizia dei giornalisti nell’affrancarsi dall’attuale “storytelling” della politica per crearne una propria: responsabile in questo anche un certo conformismo dei direttori dei giornali che non permettono sempre al giornalismo di esprimere in modo autonomo la propria opinione.

In questo panorama il giornalismo finisce per avere meno potere di quello che aveva in passato o che potrebbe avere oggi. Questo perché è sempre meno un contropotere, è sempre più invischiato con tanti altri centri di potere, con una contiguità particolare con quello politico. Marra fa notare che tale contiguità è tale da rendere difficile al giornalismo fare barriera e mantenere solida la propria forza nel trasmette informazioni oggettive e trasparenti.

A una crisi generale di valori, si aggiungono anche fattori concreti di non poco conto, che sono stati messi ben in evidenza dalla giornalista Alessandra Sardoni. Oggi tra la cause dell’attuale debolezza del giornalismo in Italia non possiamo non considerare la carenza di risorse indotta dalla crisi economica. Prime vittime di questa mancanza di risorse sono le agenzie di stampa, minate nella loro capacità di coprire in modo capillare in prima linea le notizie, dal venir meno di mezzi essenziali allo svolgimento di questo fondamentale lavoro. Senza dimenticare poi che la gran parte delle risorse delle agenzie di stampa dipendono direttamente dai finanziamenti della Presidenza del Consiglio, con evidente asimmetria di potere tra le due parti. A ciò si aggiunge, come fattore macroeconomico di rischio per lo stato di salute del giornalismo, la crescente concentrazione del sistema editoriale italiano, secondo una dinamica comune al nostro come ad altri paesi.

C’è quindi a monte un problema di sistema che restituisce un’immagine di debolezza al giornalismo. L’unica forza del giornalista, ma che, se abusata, potrebbe divenire una debolezza, resta la sua capacità di attingere a piene mani agli atti delle procure per diffondere le proprie notizie. Modus operandi da non criticare in toto, senza però dimenticare che compito essenziale del lavoro del giornalismo è anche quello di ricercare e creare a sua volta notizie, importanti anche nel lavoro d’inchiesta della magistratura. Esempio in tale senso è l’inchiesta Vatileaks condotta dal giornalista dell’Espresso Emiliano Fittipaldi (presente quest’anno al Festival) sugli scandali del Vaticano, dal cui lavoro di inchiesta hanno preso avvio i successivi lavori di accertamento e indagine della magistratura.

Marco Damilano

Marco Damilano

Il vero cortocircuito del nostro tempo, e in questo l’analisi di Calise è quanto mai pertinente, è che tutto nel nuovo millennio rischi di diventare sola comunicazione.In tal modo, in questa confusione tra mezzo e fine, assistiamo al tentativo costante da parte di ogni potere di fare comunicazione come strumento essenziale di consolidamento della propria legittimità, tanto più necessaria all’interno di uno scenario globale, dove al vuoto di potere si supplisce accrescendo il proprio potere di comunicazione.

Questo è tanto più vero in Italia, dove la categoria dei giornalisti si trova fra due fuochi, immersa tra poteri che limitano la possibilità di fare informazione, nella consapevolezza che oggi la comunicazione è in grado di spostare in modo significativo un elettorato prevalentemente di opinione. Se quindi da un lato c’è la politica (e Renzi ne è l’esempio lampante) che fa comunicazione senza delegarla più all’intermediazione del giornalista, dall’altro sta acquisendo sempre più campo la comunicazione dal basso, proveniente dal mondo della rete. Il giornalismo si trova tra questi due poli, nella difficoltà di trovare il proprio spazio per inserirsi tra e contrastare questi nuovi modi di comunicare, che corrono facilmente il rischio di appiattirsi in senso conformista.

Come muoversi in questo nuovo scenario? 

L’unica risposta potrebbe essere quella di tornare a fare un buon giornalismo, con tutti gli strumenti a sua disposizione, così da restituirle la sua forza di contropotere. In uno scenario tanto mutato, in cui l’avvento del mondo del web di fatto ho cambiato tutte le carte in tavola, un’affermazione di tal genere potrebbe sembrare utopica. Ma il vero spazio di potere del giornalismo si gioca sulla sua capacità di arrivare laddove nessuno è ancora arrivato, e questo è possibile laddove si salvaguardino le specificità di una professione, senza appiattirla nell’omologazione diffusa dell’informazione. Elemento cruciale in questa partita potrebbe essere il ritorno dalla dimensione della disintermediazione della comunicazione a quella della sua mediazione, dove ogni notizia, qualsiasi sia la sua fonte, presupponga il necessario lavoro di mediazione del giornalista.

Solo così il giornalismo salvaguarderà il suo potere, evitando di rinunciare a quella trasparenza di informazione che costituisce un elemento costitutivo di ogni sistema democratico e realmente plurale.

L’articolo è stato scritto in occasione della mia partecipazione al Festival Internazionale del Giornalismo e qui è stato riproposto ai nostri lettori, sperando di averne qualcuno il prossimo anno al Festival come “seguitore”.

http://magazine.journalismfestival.com/giornalismo-politico-propaganda-conformismo-e-consenso/

bianca

 

 

 

Biancamaria Majorana

 

 

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