Conversazione tra Giacomo Casanova e Giacomo Leopardi

Interno notte. Due signori eleganti si incontrano nel limbo. Luce grigia e clima freddo. Un po’ di nebbia. Entrambi portano il nome di Giacomo. Uno è Giacomo Casanova, l’altro Giacomo Leopardi. Entrambi avventurieri, ma in modo diverso: uno della vita, l’altro del pensiero. Ambedue infelici a modo loro, col problema delle donne, come ognuno sa. Da come si squadrano, non sembra che si piacciano. Ma non è detto, a volte gli opposti si toccano. Chissà… ne avranno da dire di cose, di idee da scambiarsi, visto che in vita non si sono potuti incontrare. Non resta che origliare con discrezione per sentire quello che si dicono.

GC: Signore, mi pare di leggere che lei sia nato appena una ventina di giorni dopo che io son trapassato in questo posto, a condurre questa mia seconda esistenza.

GL: Ah, dice? Ma scusi Signore, lei chi sarebbe?

GC: Ha ragione Signor Conte. Mi presento: Giacomo Girolamo Casanova nato in Venezia nel 1725 e morto lontano da casa il 4 giugno 1798…

GL: Ecco, sì, allora… dunque io sono nato il 29 giugno dell’anno della sua… come dire… dipartita, appunto una ventina di giorni dopo la sua, insomma… morte. Le confesso che non ne ebbi contezza. E non perché nacqui Conte, e sia quindi spocchioso (mio padre lo era) ma solo perché nessuno me lo disse. E ora che la posso incontrare sono in animo di essere cordiale. Avrei certe domande interessanti da porle. Come dire? tanto personali quanto fondamentali per la vita di un uomo. Siamo uomini, no?

GC: Chieda pure Giacomo… la posso chiamare così? mi risulta confidente. Siamo uomini, certo. Da qui dove ci troviamo entrambi ho seguito le sue vicende, i suoi successi letterari e mondani e… quei fatti con le donne…

GL: Mi chiami Giacomo, certamente. Io avrei da chiederle qualche cosa sulla felicità. Magari anche una domandina sulla vita in genere e le donne, ho letto che lei se ne intende.

GC: Quelli che oggi sono in vita, quelli che vede laggiù darsi un gran daffare sulla Terra, usano dire che il denaro non dà la felicità. Una bella frase, ma che vuol dire? Ho scritto da qualche parte che i soldi non c’entrano nulla, ma che l’uomo più felice è quello che conosce meglio l’arte di rendersi tale senza venir meno ai propri doveri, e il più infelice è quello che ha scelto un modo di vivere che lo costringe a fare ogni giorno, dal mattino  alla sera, malinconiche riflessioni sull’avvenire. Mi pare che, in tal senso, lei caro Conte, non si sia fatto mancare nulla, e dire che i soldi non le mancavano. Le piaceva il sabato solo perché viene prima della domenica che è per forza una delusione. Con questa idea, lei quanti giovanetti ha infelicitato? E quante donne ha allontanato da sé? Lei, caro amico, ha mai valutato che sono insensati gli uomini che immaginano che l’Essere Supremo possa rallegrarsi dei dolori, delle pene, delle astinenze che loro gli offrono in sacrificio? Lei, lo sanno tutti, pensa che la Natura sia Matrigna… una donna cattiva. Lei, con le donne, preferiva astenersi, che pretende?

GL: Comprendo che cosa mi vuol dire. E invidio i suoi natali da un padre attore e ballerino e una madre attrice di laguna… che, come dicono in molti, l’avrebbe generato non con il marito ma con un gran patrizio veneziano. Il ballerino, insomma, sarebbe… una specie di prestanome.

GC: Me ne vanto, di questo! E il fatto di avere un padre nobile, anche se non ufficialmente,  mi ha salvato diverse volte da manette e galere. Un privilegio.

GL: Difatti. La invidio Giacomo, per i suoi natali un po’ bastardi. Un padre nobile serve, ma avere anche una madre nobile, è troppo e a volte molto penoso. Le ho voluto bene, è ovvio, ma mia madre, Adelaide dei Marchesi Antici, era una donna  energica, molto, forse troppo, religiosa, perfino superstiziosa, per certi aspetti rituali. La famiglia aveva da essere dignitosa, legata alle convenzioni sociali. Queste idee codine mi fecero soffrire… e molto. Non ebbi l’affetto che chiedevo e che mi avrebbe fatto cambiare idea, forse, anche sul sabato e la domenica. Forse.

GC: Non è stato saggio lei vedere la sua vita come noiosa e infelice. Io ho sempre pensato che un uomo veramente saggio non potrebbe mai essere completamente infelice. Un po’, magari, ma sempre… mi pare esagerato! Anche con donne, mi creda, lei si aspettava troppo. Languire dietro una bella insensibile o capricciosa è da idioti. La felicità non dev’essere né troppo comoda né troppo difficile. E cambiare amante di frequente non è né troppo comodo né troppo difficile.

GL: Anche se mi facessi convincere da un esperto come lei, è tardi ormai. Sono… siamo morti. Del resto, mi dica Giacomo, lei è stato felice? o lo è più ora? qui dove entrambi ci troviamo?

GC: Ho toccato e posseduto molti corpi di donne, belle e brutte, alte e basse, qualcuna francamente inguardabile o inavvicinabile per l’odore che mandava, non proprio di violetta. Il sesso sa, mio caro Giacomo, hai i suoi odori ferini.

GL: Dice?

GC: Dico. Ma mi lasci dire di più. Essere qui mi ha fatto riflettere, su di me, su di lei. In fondo siamo simili, abbiamo provato gli stessi sentimenti, la stessa noia di vivere. La mia smania di passare da un letto a un altro, dalle braccia di un’amante a quelle di un’altra, ora che ci penso, assomiglia alla sua preferenza del sabato, perché il giorno dopo, la domenica, sarrebbe migliore. Passata la festa, si trepida per un altro sabato e un’altra domenica, e così via, annoiati a morte.

GL: …a morte ha detto? Qui, come siamo ora, morti, converrà con me che si comprende bene che cosa sia la noia che provano i vivi: è il desiderio della felicità, lasciato, per così dire, puro e che, in qualche modo, la noia sia il più sublime dei sentimenti umani. Ci si dovrebbe annoiare volentieri, insomma.

GC: Mi creda io mi sono annoiato molto in vita mia. E volentieri. Ma caro, lo sa che le nostre passioni e i nostri scritti ci hanno reso immortali. Io mi accontenterei, ne abbiamo di tempo da passare insieme.

GL: Mi tocca darle ragione, Giacomo, qui abbiamo tutto il tempo di aspettare che domani succeda qualcosa.

GC: Allora siamo d’accordo su tutto, Giacomo.

La conversazione tra i due Giacomo, riportata fedelmente, è vera perché ascoltata da me, anche se mi resta il dubbio se sia avvenuta nel Limbo o in qualche altra parte dell’Aldilà.

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