De Chirico e Les Italiens de Paris

A Lucca: Les Italiens de Paris

La cornice che ospita la mostra, dedicata al trinomio indissolubile De Chirico, Savinio e Les Italiens de Paris, è il Museo di Arte Contemporanea Lu.C.C.A., con la sua nuova sede nel centro storico lucchese, all’interno dell’antico Palazzo Bocella. La mostra, a cura di Stefano Cecchetto e Maurizio Vanni, si avvale della collaborazione di importanti istituzioni museali e raccolte private italiane.

metafisica

“Parlare de Les Italiens de Paris significa – sottolinea Maurizio Vanni – indagare un momento della storia dell’arte nel quale la cultura italiana proponeva il proprio essere attraverso uno sguardo critico e costruttivo del passato. Non tanto una rievocazione storica, ma una presa di coscienza di valori che le Avanguardie storiche avevano spazzato via e che, con modalità personali, ognuno di questi artisti riaffermava per aprire le porte al futuro”.

Filippo De Pisis, Hommage à Morandi, 1937, olio su tela, 54x72, Diocesi di Piacenza Bobbio

Filippo De Pisis, Hommage à Morandi, 1937, olio su tela, 54×72, Diocesi di Piacenza Bobbio

 

 

Il percorso espositivo ha come obbiettivo, attraverso la raccolta di circa 50 opere, l’individuazione del filo che univa gli esponenti del movimento artistico del Ritorno all’Ordine. Con un attenzione particolare verso alcuni di questi artisti italiani: Giorgio de Chirico, Alberto Savinio, Massimo Campigli, Filippo De Pisis, René Paresce, Gino Severini e Mario Tozzi, che all’inizio del 1928 si incontreranno nella fervente città parigina e saranno notoriamente riconosciuti come ” Les Italiens de Paris “. Ma cerchiamo di contestualizzare e indagare su quali sono le motivazioni che hanno unito il gruppo di artisti che, seppur contemporanei, perseguivano ricerche formali ed estetiche differenti.

Alla fine della grande guerra si comincia a diffondere nel mondo delle espressioni artistiche una esigenza comune, derivante dal rifiuto degli eccessi portati avanti dalle Avanguardie e dal bisogno di riferimenti stabili, porti sicuri dove rifugiarsi dopo i disastri della guerra. Queste variegate esigenze prenderanno il nome di “ritorno all’ordine”. La necessità di cercare nuovi assetti sociali, di ricostruire anche mentalmente la propria identità culturale e stilistica era un obiettivo sentito ovunque la guerra si fosse manifestata con particolare violenza. Il recupero dei grandi repertori classici, in termini di tecniche e iconografie era per molti la strada da percorrere. In Italia una generale diffusione del clima di ritorno all’ordine certamente fu esercitata dalla rivista “Valori plastici” fondata a Roma nel 1918. Collaboratori della rivista erano De Chirico, Savinio e Carrà.

Particolare di un opera di Campigli

Particolare di un’ opera di Campigli

Ed è in Italia, alla fine del 1916, che si era realizzato l’incontro tra Carrà, De Chirico e Savinio che aveva dato vita alla corrente denominata Metafisica. Così l’evoluzione dell’arte di de Chirico conosce un momento di straordinaria potenza, che coincide con il decennio che va dal 1910 al 1919, durante il quale nascono quei quadri accomunati sotto la denominazione di Pittura Metafisica e che più di tutte le opere successive hanno determinato la sua fama.
De Chirico, figlio di un ingegnere italiano, era nato in Grecia a Volos, e si era nutrito della mitologia di quel paese. A Monaco nel 1906, entrò in contatto con la filosofia tedesca di quel periodo e quando si trasferì a Parigi nel 1910, ebbe modo di conoscere le opere dei pittori cubisti. Le sue opere quindi si alimentano di varie componenti e si inseriscono nel clima di generale ritorno all’ordine per via del costante riferimento, specie a partire dagli anni ’20, all’arte come mestiere, che teorizza anche in un suo saggio del 1919 dal titolo “il ritorno al mestiere”, e per il generale rifiuto agli sperimentalismi eccessivi delle avanguardie artistiche.

Giorgio de Chirico, Gli Archeologi, 1961,olio su tela,80x60, Collezione Merini, Busto Arsizio

Giorgio de Chirico, Gli Archeologi, 1961,olio su tela,80×60, Collezione Merini, Busto Arsizio


De Chirico
ha attraversato il nostro secolo come l’ultimo individualista. Riuscendo a dimostrare che l’artista può seguire una logica nella sua mente, incomprensibile per gli altri. Può dipingere l’acropoli di Atene e i cavalli in riva al mare, gli archeologi e le piazze meridiane, i manichini come le statue greche, gli interni strapieni di oggetti come l’infinito, la squadra e la pera, l’uomo e la sua ombra, il viandante e il suo fantasma. Può esplorare il Rinascimento come il Barocco, può studiare i fiamminghi e Michelangelo, come può tornare alla sua antica pittura. Appena lo classificano, si trova già su nuove posizioni. Il maestro che tutto rifiuta, a patto di salvare lo spirito di contraddizione. Le sue pitture sono colme di una poesia malinconica e affatto nuova che sembra tuttavia afferrare le sue radici in un passato “di preistoria”, dove anche gli oggetti più comuni si presentano avvolti di mistero e di senso del presagio. Opere che sono state per alcuni artisti successivi una vera e propria folgorazione. Lo studioso tedesco Wieland Schmied, in una raccolta di saggi intitolata De Chirico e la sua ombra, dedicata alla Metafisica e alla sua influenza sull’arte del XX secolo, prende in esame proprio quei molteplici fili che dal nucleo generatore rappresentato dall’opera del maestro italiano si allontanano fino a imboccare le direzioni più impensate e remote.

 Giorgio de Chirico, Cavallo e Zebra,1929-30, olio su tela,50x70, Collezione privata.

Giorgio de Chirico, Cavallo e Zebra,1929-30, olio su tela,50×70, Collezione privata.

Mirabili sono le parole con cui Soffici parla della pittura dechirichiana, in un articolo apparso nel 1914 sulla rivista futurista “Lacerba”, consacrandolo così:

“Giorgio de Chirico è, anzitutto, assolutamente moderno, e se la geometria e gli effetti della prospettiva sono gli elementi principali della sua arte, i suoi mezzi ordinari di espressione e di emozione, è anche vero che la sua opera non somiglia a nessun’altra, antica o moderna, che si sia formata su codesti elementi. La pittura di De Chirico non è pittura, nel senso che si dà oggi a questa parola. Si potrebbe definire una scrittura di sogni. Per mezzo di fughe quasi infinite d’archi ed i facciate, di grandi linee dirette, di masse immani di colori semplici, di chiari e di scuri quasi funerei, agli arriva a esprimere, infatti, quel senso di vastità, di solitudine, d’immobilità, di stasi che producono talvolta alcuni spettacoli riflessi allo stato di ricordo nella nostra anima quasi addormentata. Giorgio de Chirico esprime come nessuno l’ha mai fatto la malinconia patetica di una fine di bella giornata in qualche città italiana, dove in fondo a una piazza solitaria, oltre lo scenario delle logge, dei porticati e dei monumenti del passato, si muove sbuffando un treno, staziona il camion di un grande magazzino o fuma una ciminiera nel cielo senza nuvole.”

Tutto questo scorrere di idee, di inizi e di vecchie conclusioni ritrovate è racchiuso nelle 8 sale espositive del museo. Vi invito a visitare la mostra, visibile fino al 14 febbraio 2016, un’occasione unica per rendersi partecipi e orgogliosi di quello che Carrà citerà come “italianismo artistico”.

Orario mostra:
Dal martedì alla domenica ore 10-19
Chiuso il lunedì
Biglietti: intero 9 euro / ridotto 7

Per info:
Lu.C.C.A. – Lucca Center of Contemporary Art
Via della Fratta, 36 – 55100 Lucca tel. +39 0583 492180      info@luccamuseum.com

                                                                                                                                                     

 Antonella Piazzolla

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2 comments to “De Chirico e Les Italiens de Paris”
  1. questi articoli portano a conoscenza molti personggi dell’era contemporenea di cui poco si conosce ma bisogna parlarne più spesso, è un buon articolo che spiega i vari passaggi della vita di De Chirico

    • Grazie, da parte di tutta la sezione di arte.
      E’ sempre un piacere avere un riscontro positivo da parte dei nostri lettori, la vostra approvazione è la nostra più grande gratificazione!

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