Concerto dedicato alla Virgo, tra Vivaldi e Pergolesi

PISA – Il terzo appuntamento dell’edizione 2018 di Anima Mundi – la rassegna internazionale di musica sacra da quest’anno diretta dal M° Daniel Harding – è un concerto dedicato alla Virgo. Una decisione quantomai appropriata dato che la Cattedrale di Pisa, dove si è tenuto il concerto nella sera del 12 settembre, è dedicato a Santa Maria Assunta e che proprio quest’anno ricorrono i 900 anni della dedicazione. Il programma constava di due brani “in tema”: il Concerto per violino e archi in do maggiore RV 581 di Antonio Vivaldi, dall’eloquente sottotitolo In due cori per la SS. Assunzione di Maria Vergine, e il celeberrimo Stabat Mater di Giovanni Battista Pergolesi.

Il Concerto vivaldiano è stato caratterizzato da due particolarità: la compagine orchestrale si presentava divisa in due orchestre (appunto, «in due cori») ed era assente la figura direttoriale, di cui nel primo movimento si è avvertita la mancanza: qualche lieve imprecisione ritmica dell’insieme, subito rientrata, ma comunque fastidiosa. Lo Stabat Mater di Pergolesi è, anche agli occhi di chi poco conosce la musica colta, palesemente una composizione sacra;  ben più rara è la natura del Concerto in due cori ove si fondono assieme due differenti nature, quella del concerto (quindi della musica profana) e della musica sacra. Questo forte dualismo si riflette – naturalmente – nello spirito della composizione: il carattere solitamente spigliato e brillante del Vivaldi concertistico appare qui molto più composto, ripiegato nella propria interiorità.
Questo è l’aspetto sostanziale su cui si è focalizzata l’esecuzione dell’Orchestra Senzaspine e del violino solista, il M° Laura Marzadori. La presenza di una doppia orchestra è l’occasione per Vivaldi di creare interessanti giochi melodici, tutti stoccate e risposte, e per calarsi in una mimesi timbrica in cui l’orchestra d’archi – complice anche il basso continuo affidato a due organi – riesce a evocare ora la suggestione dei fiati, grazie al sapiente impasto coloristico, ora, con efficaci note ribattute, lo strepito delle trombe. L’orchestra è stata eccezionalmente abile nel saper creare quel clima di raccoglimento richiesto dalla partitura, analogamente il M° Marzadori ha saputo individuare la dimensione più adeguata per inserirsi nel dialogo tra le due anime della partitura, con un gusto sì virtuosistico ma mai eccessivo o invadente. Ciò a concesso ampio respiro ai primi due movimenti, con una felicissima riuscita del secondo, Largo, dotato di una luce diafana, di intima riflessione. Rimarchevole anche l’esecuzione dell’Allegro conclusivo: è il movimento in cui traspare in modo più netto la pura vena vivaldiana, ma anche qui il violino di Laura Marzadori più che all’esibizionismo è teso ad una grazia alata, anche nella suggestiva cadenza di bravura.

Da sinistra: Eva Macaggi, Tommaso Ussardi, Anna Ussardi

Lo Stabat Mater ha visto, oltre al ricompattarsi dell’orchestra, l’ingresso del soprano Eva Macaggi, del mezzosoprano Anna Ussardi e – finalmente – del direttore d’orchestra, il M° Tommaso Ussardi. Il capolavoro di Pergolesi è un banco di prova durissimo, specie se gli esecutori sono di giovane età come in questo caso: un testo scarno, essenziale nella sua drammaticità, in altre parole nudo. È richiesta la massima precisione possibile, d’esecuzione e d’intento. Parlando specificatamente dell’esecuzione, si è trattato indubbiamente di una performance di ottimo livello, con un tessuto orchestrale ben lavorato, senza fronzoli, davvero molto vicino all’essenzialità della partitura pergolesiana se si eccettua il naturale margine interpretativo. Genericamente dinamiche e articolazioni sono rispettate, anzi, hanno un’ottima verve; allo stesso modo è ottima la scelta dei tempi e delle velocità: una delle paure maggiori dello spettatore quando va ad assistere all’esecuzione dello Stabat Mater di Pergolesi è che il direttore scelga tempi – diciamolo apertamente – fiacchi e che tutta l’opera risulti poi un boccone davvero indigesto, invece il M° Ussardi ha scelto tempi comodi ma scorrevoli, ora quieti e gravi, ora tesi e nervosi; personalmente mi sarei spinto ancora un po’ oltre colle due fughe, il Fac, ut ardeat e l’Amen finale, ma privilegiare un tempo che permetta di seguire ogni passaggio di una fuga ad uno che recherebbe solo pasticci e confusione è una cortesia sempre gradita.
Per quanto concerne l’aspetto interpretativo, meritano sicuramente una prima menzione le due soliste: Eva Macaggi e Anna Ussardi hanno regalato al pubblico uno Stabat Mater intenso, gravido di dolore, di cordoglio, di intensi slanci drammatici, dai tragici trilli del soprano in Cuius animam gementem, alla ricchezza di sfumature del mezzosoprano nel più lieve Quae maerebat et dolebat, fino al massimo dell’orrore e della desolazione nella sesta sezione dell’opera («Vidit suum dulcem natum moriendo desolatum dum emisit spiritum»).

Diversa è la questione per quanto concerne il M° Tommaso Ussardi. Come già accennato sopra, all’esecuzione in senso tecnico non si possono muovere particolari critiche; il punto è l’interpretazione: quella prescelta è ricca di sfumature interessanti, di spezie e profumi ricercati, elegante e molto aggraziata, e in tutto questo si è persa la crudezza della partitura di Pergolesi. Troppe carinerie, troppa buon educazione. Quando le due soliste intonano «pro peccatis suae gentis vidit Jesum in tormentis, et flagellis subditum» si devono sentire le sferzate, analogamente è di cattivo effetto che nel Fac, ut ardeat dopo le tre note staccate ci siano tre note legate, una figurazione che ritorna molto spesso, perché toglie molta dell’incisività del brano e ignora bellamente la scrittura di Pergolesi (che si premura di specificare lo staccatissimo nei violini I e II che raddoppiano rispettivamente soprano e mezzosoprano); anche certe ritmiche nervose risultano piuttosto smorzate, come nel Cuius animam, nell’Eia, mater o nell’Inflammatus et accensus, per non citare che pochi esempi. Poco felice la scelta di rimpiazzare, alla fine dell’Amen conclusivo, i valori brevi intervallati da pause voluti da Pergolesi con valori lunghi e – per giunta – sovrastati un cospicuo rallentando: il tutto non fa che spegnere la tensione che si è accumulata fino a quel momento e che in quel momento deve esplodere in tutta la sua ferocia.
Ottima invece l’esasperazione dei momenti maggiormente patetici (nel senso del pathos) dell’opera, esaltando i molti elementi di disturbo inseriti in partitura da Pergolesi, come nel caso del massiccio numero di appoggiature che spesso dà origine a degli urti considerevoli e nel caso dell’ampio ricorso al tritono, che conferisce un sapore caratteristico a molti momenti dell’opera. Anche se in alcuni momenti la direzione difetta di mordente, il punto di partenza raggiunto dal M° Ussardi e dall’Orchestra Senzaspine è ottimo; c’è da augurarsi che continuino a studiare questa straordinaria partitura per indagare anche i suoi lati più reconditi, ha tutte le carte in regola per diventare uno dei loro lavori di punta.

Photocredit: La Reclame – Massimo Giannelli.

lfmusica@yahoo.com

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