Collinarea: l’urgenza che si deve raccontare

LARI – Il Festival Collinarea, nato da un progetto dell’associazione Scenica Frammenti, prende vita nelle colline pisane dal 23 al 30 luglio con una settimana ricca di spettacoli presentati dalle molteplici compagnie coinvolte nell’organizzazione dell’evento dedicato quest’anno al tema dell’urgenza.

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Il tema si è rilevato quanto mai attuale poiché il Collinarea Festival ha rischiato di non esistere più ed è stata proprio la necessità del racconto ad aver spinto gli attori a partecipare anche in assenza di guadagno. Infatti, come spiegato dal direttore artistico Loris Seghizzi sul sito internet dell’evento, i problemi si sono presentati con grande ritardo dal momento che soltanto a febbraio la Fondazione Teatro Toscana ha comunicato agli organizzatori che non sarebbe stato possibile finanziare il progetto come previsto e successo negli anni precedenti. Così, anche per il festival Collinarea, il diciottesimo compleanno è stato occasione per dare una prova di impegno civile e sociale: il merito va ad attori, registi e organizzatori che hanno lavorato senza prospettiva di guadagno, evidentemente animati dall’urgenza di raccontare.
Le serate sono organizzate con vari spettacoli messi in scena in diversi punti del paese. Il programma quotidiano è sempre diverso ed è forse possibile indivuare un nesso tra le pièce di ogni giornata. Colpisce in particolare il programma di domenica 24 luglio quando l’urgenza si conclude nel viaggio come quello di Orfeo verso Euridice, messo in scena dalla Compagnia Ordine Sparso, oppure quello Sull’Oceano raccontato dalla compagnia Mo-Wan Teatro.
orfeoLa visita nell’Ade si presenta come un interessante momento di teatro interattivo. Gli spettatori sono condotti dagli attori attraverso il castello del paese che si trasforma per l’occasione nel regno degli inferi. La storia dei due innamorati è un racconto commovente ed eterno in grado di conquistare il pubblico, ma l’originalità dell’idea registica sta nel catturare lo spettatore attraverso un percorso sensoriale che attiva l’olfatto e il gusto e sul finale nasconde la vista. Certamente coinvolgente, a tratti quasi inquitante, “Orfeo” vede come suo unico limite l’impostazione di alcuni attori che recitano il loro personaggio senza farlo davvero parlare; il rischio è quello di dimenticarsi dello spettatore, intimorito e bisognoso di essere accompagnato verso le successive tappe del viaggio.
mowanSono le 22 della stessa serata e ad anirmasi questa volta è il piccolo e accogliente teatro di Lari. Lo spazio è neutro, al centro una sedia bianca. Entra in scena l’Attore che inizia a raccontare le poetiche vicende degli immigrati italiani in America. A bordo del Galileo troviamo contadini del sud e calzolai del nord, operai di tutta Italia e benestanti signori in cerca di nuove emozioni. Il racconto in prima persona è quello di un giovane proletario in cerca di fortuna, entusiasta di godersi venti giorni di assoluto riposo senza rimorsi. Improvvisamente il ritmo della storia cambia: non siamo più a Genova nei primi anni del Novecento, siamo nella contemporanietà e l’Attore – che parla sempre in prima persona – non è più un giovane di terza classe, ma un impiegato oberato di lavoro, aggredito dalle mail e incastrato in una relazione insoddisfacente con una narcolettica compagna che vuole trascinarlo in crociera. Le due storie sono raccontate da un eccezionale Michele Crestati che alterna magistralmente i due piani non perdendo mai il ritmo che connota ciascuno di questi. Lo spettatore si affeziona a tutti i personaggi ne riconosce l’accento, le abitudini e si commuove di fronte alle loro storie.
Il pubblico si relaziona all’urgenza: quella di una migrazione che non riesce ad arrestarsi, così la storia si conclude con il racconto dello sbarco: il sorriso, le emozioni e le speranze che animarono tutti quegli italiani arrivati sulle coste del Brasile non sono poi diversi da quelli dipinti sui volti neri e affollati del barcone che chiede aiuto alla nave da crociera.
Oggi i profughi hanno cambiato colore, ma l’Oceano si comporta come ha sempre fatto, accogliendo le anime di chi muore solo con il proprio spavento e accompagnando il destino di chi riesce a toccare terra.

 

Giulia Contini

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