Cinema e donne Kathryn Bigelow

Kathryn Bigelow, Female Hollywood Heroine 1978-1995

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Biker movie, horror, poliziesco, azione, cyberpunk, drammatico, guerra. Sono questi i generi cinematografici che Kathryn Bigelow, californiana, classe 1951, ha frequentato e fatto propri durante la sua ormai pluritrentennale carriera. In questo articolo ci soffermeremo sulle opere che vanno dal 1978 al 1995, anno di uscita di Strange Days.

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Estimatrice del cinema d’azione di Sam Peckinpah, Akira Kurosawa, Walter Hill, George Miller, la Bigelow è sempre riuscita a dare alle sue pellicole la propria impronta camaleontica ma allo stesso classica e votata alla narrazione più diretta. L’esordio avviene nel cinema sperimentale, nel 1978, con il cortometraggio The Set-Up, un lavoro di diciassette minuti nel quale vengono racchiuse tutte le esperienze avanguardistiche che la (non ancora) regista aveva accumulato negli anni settanta tra la California e New York, nel periodo in cui si occupava di pittura, installazioni ambientali e video-arte, collaborando con personalità di spicco come Richard Serra e Vito Acconci. Il passaggio dall’arte pittorica all’arte cinematografica è stata raccontata in questo modo dalla regista: «ho smesso di dipingere quadri, giro dei film: e non è la stessa cosa. Il cinema è uno strumento sociale, ti mette in contatto con molta più gente, ti spinge a chiederti continuamente, anche sul piano politico: Perché faccio questo film? Comunque non è stato difficile passare da un linguaggio all’altro, esiste un crossover tra le due forme d’espressione…». The Set-Up è un’opera teorica, visivamente votata verso la fascinazione della violenza e vicina agli interessi che la regista aveva verso la semiologia.

Il 1980 vede la Bigelow cominciare ad affacciarsi sul mondo dei lungometraggi. Ottiene il ruolo di script supervisor (detto più semplicemente, segretaria di produzione) in un piccolo film di Mark Reichert intitolato Union City, in cui recitano due female star del pop-rock contemporaneo: Deborah Harry dei Blondie e Pat Benatar (anche se in una piccola parte).

Il debutto dietro la macchina da presa è dietro l’angolo, tant’è che nel 1982, insieme al co-regista e produttore Monty Montgomery, gira e scrive The Loveless, un biker-movie ambientato negli anni ’50, interpretato da un debuttante Willem Dafoe e da una ribelle al limite dall’androginia come Marin Kanter. Dalle parole di Michela Carobelli, studiosa di cinema americano autrice del volumeKathryn Bigelow – La compagnia degli angeli” è possibile ricostruire la genesi della pellicola e considerarla come un’opera tributo a Roger Corman e Marlon Brando, virata verso un nichilismo di fondo estremo ed autodistruttivo e riletta tramite un’immagine pittorica che rimanda ad Edward Hopper. «The Loveless sembra emblematico di una cosciente e progressiva presa di possesso di sé e del proprio vissuto, della propria formazione culturale e dei propri padri cinematografici, per poi inevitabilmente dover lasciar morire qualcosa del passato che impedisce di crescere, di autodefinirsi individualmente».

theloveUn’autodefinizione, in questo caso femminista, viene fuori dalla scelta di apparire come attrice – per non dire comparsa – nel film Born In Flames (Lizzie Borden, 1983): un’opera indipendente di fantascienza sociale, politica, utopistica, rivoluzionaria e sessista. Nel 1985 scrive un episodio del telefilm poliziesco Un giustiziere a New York (The Equalizer, 1985-1989): il frammento in questione è il quinto della prima stagione ed ha come titolo Lady Cop. Sembra quasi un titolo premonitore di quella “lady cop” che vedremo nel 1989…ma ci torneremo dopo.

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Il primo vero squillo della carriera di Kathryn Bigelow è Il buio si avvicina (Near Dark, 1987). Proprio nella seconda metà degli anni ‘80, decennio nel quale l’horror ha vissuto una delle sue più brillanti stagioni, portando sullo schermo tutte le contraddizioni sociali in varie declinazioni di stile, approccio alla materia e teorizzazioni di ideali, la Bigelow realizza un film di vampiri sovvertendo i classici stilemi dei succhia-sangue su celluloide. Ambientato tra California, Arizona e Oklahoma, Bigelow riesce a posizionare fuori dal tempo una vicenda fondata su forti dualismi tra natura addomesticata e civiltà distruttiva (che può essere letto come un eco della lezione di John Boorman), tra spazi liberi (il ranch di Caleb) e situazioni costrittive (il camper su cui vivono i vampiri), tra un amore reso possibile solo da un sacrificio estremo ed una violenza mai troppo splatter e calibrata. Il buio si avvicina funziona grazie anche all’ottimo lavoro del direttore della fotografia (Adam Greenberg) che già in Terminator (The Terminator, James Cameron, 1984) era riuscito – ricordiamoci la memorabile scena finale – a catturare la magia delle strade desertiche statunitensi e all’uso intensivo della musica dei Tangerine Dream.

bsNel 1989, continuando la collaborazione col fido sceneggiatore Eric Red, gira Blue steel – Bersaglio mortale (Blue Steel, 1989): storia di Megan, una poliziotta di New York (una Jamie Lee Curtis completamente a suo agio con pettinatura maschile e pistola d’ordinanza) che si trova perseguitata da broker di Wall Street, omicida e maniaco. Il film è costruito dalla Bigelow non come un qualsiasi poliziesco dove la carta dell’ironia è spesso usata per allentare la tensione, ma come un percorso interiore della protagonista che si risolve solamente tramite l’incontro-scontro con un personaggio folle (da leggersi come il rovescio della medaglia della personalità di Megan). Se ne Il buio si avvicina il western era usato come sfondo scenografico e per costruire le situazioni da “branco”, in Blue steel il genere americano per antonomasia è usato per delineare le personalità e soprattutto, in una rilettura metropolitana, per dare vita ai migliori duelli che una donna abbia mai girato in quel di Hollywood. La sua posizione femminile è spesso stata vittima di fraintendimenti che tentò di spiegare durante la promozione del film: «appartengo emotivamente al femminismo e simpatizzo con le loro lotte d’uguaglianza. Ma io penso che c’è un punto in cui l’ideologia diventa troppo dogmatica. Io non sto dicendo che Blue steel è un trattato femminista ma c’è comunque una coscienza politica alle spalle».

Passano due anni e la regista firma il suo lavoro più spettacolare, ovvero Point Break. Mare, cielo, aria, terra: con questo atipico poliziesco, contaminato dallo sport-movie, Kathryn Bigelow riesce a dar risalto ad ogni singolo elemento naturale grazie a modalità di ripresa in soggettiva inedite per far provare allo spettatore le emozioni di Johnny Utah/Keanu Reeves, agente sottocopertura in quel di Los Angeles, con il compito di sgominare una banda di rapinatori mascherati capitanati da Patrick Swayze. Anche in questo caso Carobelli individua dei forti dualismi destinati a scontrarsi: lo yuppismo dell’agente FBI e la vita tra l’hippy e la new age della gang di surfisti sono una nuova rilettura dall’antico scontro tra civiltà e natura. Bigelow, grazie all’aiuto dell’operatore James Muro, riesce a costruire un film nel quale i corpi in movimento sono i protagonisti incontrastati – siano essi in mare o in cielo – di un «magico incontro di spiritualità, armonia e forza fisica».

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Strange Days è il film-manifesto di un periodo storico ben preciso, la metà degli anni ’90, nel quale la diffusione dei personal computer cominciava ad essere capillare e l’uso della tecnologia iniziava ad essere fruita nell’intimità; cinematograficamente parlando si inserisce nella seconda ondata del cyberpunk che stava producendo pellicole tipo Johnny Mnemonic, Il tagliaerbe e i successivi Matrix e Existenz che trattavano di realtà virtuale come di una protagonista assoluta della nostra vita futura. In Strange Days viviamo in una Los Angeles di fine millennio dove viene utilizzato un marchingegno a calotta (SQUID) che permette di registrare non solo le immagini di quello che uno vede ma anche le emozioni. Le emozioni che la Bigelow vuole trasmetterci in questo film rasentano il caos, come caotiche sono le visioni in soggettiva, caotica è la linea narrativa e la stessa Los Angeles è un fiume in piena di odio, razzismo ed intolleranza. Strange Days, pur essendo un film di fantascienza, ha come Blade Runner molte caratteristiche del film noir, anche se la regista ha sempre rifiutato questo paragone: “il paragone tra Blade Runner e Strange Days lo fate soprattutto voi europei. Né io né Cameron abbiamo mai pensato a quel film come modello”. Il film, continua Bigelow, è stato scritto leggermente prima dei fatti di sangue di South Central e del pestaggio di Rodney King (Los Angeles, Marzo 1991), tuttavia questi fatti hanno trasformato Strange Days in «un film politico, politico nella misura in cui si racconta una società futuribile stratificata su criteri razzistici».

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Kathryn Bigelow, che negli anni 2000 ha abbracciato un’inedita estetica di guerra con la trilogia formata da K-19, The Hurt Locker e Zero Dark Thirty, è una regista che è sempre riuscita a tenere alta l’asticella della qualità e per questo è un’artista da consigliare a qualsiasi neofita del grande schermo e da riscoprire per chi già la conosce.

Tomas Ticciati 10624821_10152368776106780_4144014628716043784_n

Tomas Ticciati
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