Cibo, fame e “Cuori Affamati”

Hungry Hearts (Hungry Hearts, Saverio Costanzo, 2014)

Mai come in questi giorni in cui Milano, l’Italia, è il centro del mondo, tra padiglioni avveniristici dove parte di ciò che doveva essere manca, e il non essere che vi rimane è artisticamente mascherato con un camouflage, possiamo affermare che è la fame il motore del mondo.

Dall’altra parte del pianeta la terra è scossa e mugugna come lo stomaco gonfio di un continente intero, affamato di un vuoto per cui non c’è alcun camuffaggio che tenga. La fame, in tutte le sue declinazioni, è il più animalesco dei desideri. Se c’è un’umanità affamata di sicurezza, di speranza e considerazione, se c’è qualcuno a cui lo stimolo della fame raggiunge il cervello rendendolo suscettibile a mere demagogie o che si dichiara affamato ma non sa di cosa, siamo tutti mossi da questo stimolo vitale, siamo cuori affamati. Ed è citando per vie traverse la celeberrima canzone del Boss, Bruce Springsteen, quando Tuttomondo decide di parlare di alimentazione, che riproponiamo un film italiano, presentato a Venezia nel 2014, ispirato dal romanzo Il bambino indaco di Marco Franzoso. Si tratta di Hungry Hearts di Saverio Costanzo.

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foto-hungry-hearts-5-lowServivano la porta difettosa della toilette di un ristorante cinese, e un attacco di dissenteria, a far incontrare a New York due anime schive e indirizzarle verso un percorso di rivalutazione nei confronti di tutto ciò che acriticamente, e culturalmente, è considerato normale e necessario per la alimentazione umana. Lui, Jude (Driver), americano, lei, Mina (Rohrwacher), italiana, si trovano per lavoro nella Grande Mela, e da un imbarazzante aneddoto nasce la storia d’amore che li renderà genitori. Dopo la nascita del bambino che non desiderava, suggestionata dalla profezia di una santona, Mina scivola gradualmente da una visione critica, ma ragionevole, all’ossessione di preservare il neonato dalle contaminazioni del mondo esterno, diffidando di qualsivoglia parere scientifico allopatico e delegittimando il compagno negli aspetti di condivisione che riguardano l’allevare e il nutrire un figlio. L’uomo, resosi conto della gravità della situazione di fronte agli inaccettabili parametri di crescita del bambino, cercherà di intervenire prima di incorrere in contorni ancor più tragici.

hungry-hearts-7La parabola di trasformazione del personaggio di Mina, come madre e come compagna, essenzialmente assume i tratti di un horror psicologico. La macchina da presa di Costanzo ci mostra il progressivo formarsi delle crepe all’interno di un rapporto, la disarmonia che prende il sopravvento di pari passo con l’insana radicalizzazione nelle convinzioni di uno dei due partner. Le scelte registiche contribuiscono alla messa in scena di un ambiente claustrofobico, tramite inquadrature con ottiche e angolazioni a loro volta claustrofobiche, enfatizzate dalle caratteristiche fisiche degli interpreti. Il buon risultato ottenuto su tutto il resto è limitato dal didascalismo dei dialoghi e da un doppiaggio non sempre all’altezza. Questi dettagli, accostati alla crudezza di alcuni passaggi, rischiano a volte di confondere lo spettatore riguardo alla credibilità di ciò che sta vedendo, e di rendere il film, se non faticoso, di pesante digestione. Il nucleo di Hungry Hearts è una vicenda che potrebbe essere un fatto di cronaca attorno al quale ruotano come satelliti varie questioni, come quella del veganismo, dalla quale è consigliabile liberarsi se si è onnivori intransigenti. E’ forse proprio questo il punto, con questo film l’autore non è interessato tanto a discutere sulla bontà o meno di uno stile di vita vegano, o a dare giudizi su una storia triste, se vogliamo deplorevole. Hungry Hearts è un punto di vista neutrale, un racconto dell’incontro e della tragica separazione di due persone che, come molte, si trovano sole in una metropoli che non poteva essere altra città se non New York, secondo una visione narrativa di più ampio respiro rispetto alla storia descritta nel libro. Persone sole, cuori affamati verso i quali provare anche tenerezza, di fronte alla tragedia che vivono. E’ amore assurdo, estremo, possessivo, materno, quello che infatua Mina nelle sue scelte sbagliate.

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La critica ha rivisto nel personaggio della Rohrwacher la Rosemary di Polanski, o riconosciuto nell’andamento del film movenze hitchcockiane, e ancora il discorso sulla madre come natura maligna ricorda il personaggio della Gainsbourg nel recente Antichrist di Lars Von Trier. Senza andare a smuovere paragoni ingombranti, con onestà, è lecito sostenere che all’interno del panorama cinematografico italiano di questi anni dieci, è un film anomalo, pensando allo sguardo dei vari Sorrentino, Garrone o Castellitto. Per questo sicuramente è un film da vedere per spettatori curiosi e affamati come voi.

Leo D’Arrigo

Tomas Ticciati
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One comment to “Cibo, fame e “Cuori Affamati””
  1. Bravo come sempre, originale nel legare la fame dell’anima a quella di troppa gente in questo mondo squilibrato, riesce sempre ad interessare e a fare riflettere sul film che viene proposto. Complimenti
    Roberta

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